Obama considera l’Europa una vetrina. È immagine e non contenuto, è contorno e non sostanza. È un podio dal quale parlare a chi sta altrove. L’Air Force One che l’ha riportato a Washington ha fatto spegnere i flash dei fotografi e ha consegnato il presidente americano ai suoi veri interessi. All’Europa restano le fotografie, il glamour, il codazzo mediatico, però non ha una sola eredità politica. Ha avuto difficoltà quando gli hanno fatto una domanda: «Perché a Parigi resta solo un giorno e poi va via? Non le piace?». Obama ha sorriso e ha dovuto pensare. Già, perché? Perché a Berlino è rimasto giusto il minimo indispensabile e a Parigi anche? «Ma no, no. Io e Sarkozy siamo amici, quando c’è bisogno di sentiamo». La verità è che qui, in Europa, non c’è nulla che lo attragga se non la possibilità di usare il grande, immenso consenso che ha tra gli europei per far passare messaggi diretti in Medio Oriente o in America. Del suo viaggio tra Germania e Francia resteranno le immagini simbolo: lui piegato sulla tomba di Buchenwald, con la rosa bianca che s’appoggia delicatamente sulla memoria dell’Olocausto; lui che parla nella distesa di 9.837 bare di soldati Usa a Colleville-sur-Mer. È tutto molto carico di significato e tutto molto affascinante, però c’è l’impressione che il luogo sia lo sfondo per qualcos’altro. Nel lager nazista il presidente americano si rivolgeva agli ebrei di Israele e a tutta la comunità ebraica americana. «Non ho pazienza con chi nega la storia» può essere diretto a tutti i negazionisti del mondo, ma è ovvio che ha come terminale l’Iran ed è un tentativo di rassicurare Israele dopo le aperture al mondo arabo. Al Cairo Obama ha parlato direttamente ai musulmani: luogo e tema sono stati perfettamente combacianti. Perché il Medio Oriente è una priorità. L’Europa no. Lo dicono tutti gli analisti Usa: «Obama ha due aree geopolitiche di interesse e cioè l’Estremo Oriente con la Cina e il Medio Oriente con la questione israelo-palestinese e l’Iran». In un ordine gerarchico l’Europa viene anche dopo l’America latina. Siamo un simbolo, un terreno di consenso. Obama non vede né Parigi, né Londra, né Berlino come fondamentali. Justin Vaisse, esperto di relazioni transatlantiche della Brookings Institution, il più importante pensatoio filodemocratico, l’ha spiegato più volte: «L’agenda di Obama in Europa è già stata completata. Lui voleva solo voltare pagina dopo l’era Bush voleva dare una nuova immagine dell’America». Allora il viaggio aveva solo il compito di creare suggestioni. L’ha fatto, perché il presidente più mediatico della storia conosce l’immagine meglio di tutti i suoi predecessori e sa che bisognava andare nei luoghi delle radici europee per fare centro. L’aveva fatto già in campagna elettorale, andando a Berlino a parlare davanti alla folla nella città emblema dell’Occidente ritrovato. La realtà è che il disinteresse politico è manifestato dalla mancanza di volontà di ricucire i rapporti con i leader europei. Con la Merkel è rimasto il gelo, con Sarkozy, al di là della facciata, rimane un rispetto che però non si è trasformato in amore. Non trova un leader, non ha ancora individuato una voce. «Per Obama l’Europa non è un problema, né la soluzione di un problema», ha detto al Figaro l’ex ministro degli Esteri francese Hubert Védrine. La cronaca gli dà ragione, le decisioni della Casa Bianca anche. Obama ha scelto il Cairo per parlare con i musulmani, poi è arrivato in Germania. Il D-Day visto dalla Normandia è un richiamo alle origini dell’atlantismo, è la voglia di dare certezza a dei rapporti che sono scontati o così dovrebbero essere. Però a chi parlava ieri Obama? Alla Francia, all’Europa, a Sarkozy e Brown? Oppure agli americani d’America, a chi ha paura che lui sia un presidente meno patriota con meno memoria dei morti americani nel mondo? «È un omaggio agli eroi che cambiarono il corso della storia». Le parole unite alla folla che lo attornia sono il messaggio per chi negli Stati Uniti è ancora scettico sul suo completo americanismo. L’Europa è solo un palcoscenico, anche un po’ banale.
domenica 7 giugno 2009
Obamnianiii, tiè!
L’Europa ama Barack ma lui non ricambia di Giuseppe De Bellis
Obama considera l’Europa una vetrina. È immagine e non contenuto, è contorno e non sostanza. È un podio dal quale parlare a chi sta altrove. L’Air Force One che l’ha riportato a Washington ha fatto spegnere i flash dei fotografi e ha consegnato il presidente americano ai suoi veri interessi. All’Europa restano le fotografie, il glamour, il codazzo mediatico, però non ha una sola eredità politica. Ha avuto difficoltà quando gli hanno fatto una domanda: «Perché a Parigi resta solo un giorno e poi va via? Non le piace?». Obama ha sorriso e ha dovuto pensare. Già, perché? Perché a Berlino è rimasto giusto il minimo indispensabile e a Parigi anche? «Ma no, no. Io e Sarkozy siamo amici, quando c’è bisogno di sentiamo». La verità è che qui, in Europa, non c’è nulla che lo attragga se non la possibilità di usare il grande, immenso consenso che ha tra gli europei per far passare messaggi diretti in Medio Oriente o in America. Del suo viaggio tra Germania e Francia resteranno le immagini simbolo: lui piegato sulla tomba di Buchenwald, con la rosa bianca che s’appoggia delicatamente sulla memoria dell’Olocausto; lui che parla nella distesa di 9.837 bare di soldati Usa a Colleville-sur-Mer. È tutto molto carico di significato e tutto molto affascinante, però c’è l’impressione che il luogo sia lo sfondo per qualcos’altro. Nel lager nazista il presidente americano si rivolgeva agli ebrei di Israele e a tutta la comunità ebraica americana. «Non ho pazienza con chi nega la storia» può essere diretto a tutti i negazionisti del mondo, ma è ovvio che ha come terminale l’Iran ed è un tentativo di rassicurare Israele dopo le aperture al mondo arabo. Al Cairo Obama ha parlato direttamente ai musulmani: luogo e tema sono stati perfettamente combacianti. Perché il Medio Oriente è una priorità. L’Europa no. Lo dicono tutti gli analisti Usa: «Obama ha due aree geopolitiche di interesse e cioè l’Estremo Oriente con la Cina e il Medio Oriente con la questione israelo-palestinese e l’Iran». In un ordine gerarchico l’Europa viene anche dopo l’America latina. Siamo un simbolo, un terreno di consenso. Obama non vede né Parigi, né Londra, né Berlino come fondamentali. Justin Vaisse, esperto di relazioni transatlantiche della Brookings Institution, il più importante pensatoio filodemocratico, l’ha spiegato più volte: «L’agenda di Obama in Europa è già stata completata. Lui voleva solo voltare pagina dopo l’era Bush voleva dare una nuova immagine dell’America». Allora il viaggio aveva solo il compito di creare suggestioni. L’ha fatto, perché il presidente più mediatico della storia conosce l’immagine meglio di tutti i suoi predecessori e sa che bisognava andare nei luoghi delle radici europee per fare centro. L’aveva fatto già in campagna elettorale, andando a Berlino a parlare davanti alla folla nella città emblema dell’Occidente ritrovato. La realtà è che il disinteresse politico è manifestato dalla mancanza di volontà di ricucire i rapporti con i leader europei. Con la Merkel è rimasto il gelo, con Sarkozy, al di là della facciata, rimane un rispetto che però non si è trasformato in amore. Non trova un leader, non ha ancora individuato una voce. «Per Obama l’Europa non è un problema, né la soluzione di un problema», ha detto al Figaro l’ex ministro degli Esteri francese Hubert Védrine. La cronaca gli dà ragione, le decisioni della Casa Bianca anche. Obama ha scelto il Cairo per parlare con i musulmani, poi è arrivato in Germania. Il D-Day visto dalla Normandia è un richiamo alle origini dell’atlantismo, è la voglia di dare certezza a dei rapporti che sono scontati o così dovrebbero essere. Però a chi parlava ieri Obama? Alla Francia, all’Europa, a Sarkozy e Brown? Oppure agli americani d’America, a chi ha paura che lui sia un presidente meno patriota con meno memoria dei morti americani nel mondo? «È un omaggio agli eroi che cambiarono il corso della storia». Le parole unite alla folla che lo attornia sono il messaggio per chi negli Stati Uniti è ancora scettico sul suo completo americanismo. L’Europa è solo un palcoscenico, anche un po’ banale.
Obama considera l’Europa una vetrina. È immagine e non contenuto, è contorno e non sostanza. È un podio dal quale parlare a chi sta altrove. L’Air Force One che l’ha riportato a Washington ha fatto spegnere i flash dei fotografi e ha consegnato il presidente americano ai suoi veri interessi. All’Europa restano le fotografie, il glamour, il codazzo mediatico, però non ha una sola eredità politica. Ha avuto difficoltà quando gli hanno fatto una domanda: «Perché a Parigi resta solo un giorno e poi va via? Non le piace?». Obama ha sorriso e ha dovuto pensare. Già, perché? Perché a Berlino è rimasto giusto il minimo indispensabile e a Parigi anche? «Ma no, no. Io e Sarkozy siamo amici, quando c’è bisogno di sentiamo». La verità è che qui, in Europa, non c’è nulla che lo attragga se non la possibilità di usare il grande, immenso consenso che ha tra gli europei per far passare messaggi diretti in Medio Oriente o in America. Del suo viaggio tra Germania e Francia resteranno le immagini simbolo: lui piegato sulla tomba di Buchenwald, con la rosa bianca che s’appoggia delicatamente sulla memoria dell’Olocausto; lui che parla nella distesa di 9.837 bare di soldati Usa a Colleville-sur-Mer. È tutto molto carico di significato e tutto molto affascinante, però c’è l’impressione che il luogo sia lo sfondo per qualcos’altro. Nel lager nazista il presidente americano si rivolgeva agli ebrei di Israele e a tutta la comunità ebraica americana. «Non ho pazienza con chi nega la storia» può essere diretto a tutti i negazionisti del mondo, ma è ovvio che ha come terminale l’Iran ed è un tentativo di rassicurare Israele dopo le aperture al mondo arabo. Al Cairo Obama ha parlato direttamente ai musulmani: luogo e tema sono stati perfettamente combacianti. Perché il Medio Oriente è una priorità. L’Europa no. Lo dicono tutti gli analisti Usa: «Obama ha due aree geopolitiche di interesse e cioè l’Estremo Oriente con la Cina e il Medio Oriente con la questione israelo-palestinese e l’Iran». In un ordine gerarchico l’Europa viene anche dopo l’America latina. Siamo un simbolo, un terreno di consenso. Obama non vede né Parigi, né Londra, né Berlino come fondamentali. Justin Vaisse, esperto di relazioni transatlantiche della Brookings Institution, il più importante pensatoio filodemocratico, l’ha spiegato più volte: «L’agenda di Obama in Europa è già stata completata. Lui voleva solo voltare pagina dopo l’era Bush voleva dare una nuova immagine dell’America». Allora il viaggio aveva solo il compito di creare suggestioni. L’ha fatto, perché il presidente più mediatico della storia conosce l’immagine meglio di tutti i suoi predecessori e sa che bisognava andare nei luoghi delle radici europee per fare centro. L’aveva fatto già in campagna elettorale, andando a Berlino a parlare davanti alla folla nella città emblema dell’Occidente ritrovato. La realtà è che il disinteresse politico è manifestato dalla mancanza di volontà di ricucire i rapporti con i leader europei. Con la Merkel è rimasto il gelo, con Sarkozy, al di là della facciata, rimane un rispetto che però non si è trasformato in amore. Non trova un leader, non ha ancora individuato una voce. «Per Obama l’Europa non è un problema, né la soluzione di un problema», ha detto al Figaro l’ex ministro degli Esteri francese Hubert Védrine. La cronaca gli dà ragione, le decisioni della Casa Bianca anche. Obama ha scelto il Cairo per parlare con i musulmani, poi è arrivato in Germania. Il D-Day visto dalla Normandia è un richiamo alle origini dell’atlantismo, è la voglia di dare certezza a dei rapporti che sono scontati o così dovrebbero essere. Però a chi parlava ieri Obama? Alla Francia, all’Europa, a Sarkozy e Brown? Oppure agli americani d’America, a chi ha paura che lui sia un presidente meno patriota con meno memoria dei morti americani nel mondo? «È un omaggio agli eroi che cambiarono il corso della storia». Le parole unite alla folla che lo attornia sono il messaggio per chi negli Stati Uniti è ancora scettico sul suo completo americanismo. L’Europa è solo un palcoscenico, anche un po’ banale.
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2 commenti:
Bello il tuo blog, e io ho bisogno di scaricarmi un po'.
Ci sono altri motivi per una siffatta visita di Obbbbama in Europa, che ne testimoniano la (scarsa)considerazione (e un'utilitarietà particolare). In Europa si votava durante la fase visita di Obbbama, e lui voleva con la sua allure (che io non gli trovo punto per nulla) far presente le magnifiche sorti e progressive della 'sinistra' liberal.
Perchè così interessato? Al di là di un preteso internazionalismo (del resto i socialisti avevano o no l'Internazionale, e non conoscevano confini nazionali, dunque, era una trasversalità che anticipava la fuffa mondialista odierna, tutte le nazioni uguali che si trovassero all'interno 800000 etnie a scapito degli autoctoni). C'è dell'altro: a Obbbama fa comodo un'Europa debole, invasa, spodestata, spersonalizzata, mondialista e qualunquista e non certo un'Europa di Nazioni, identitaria, forte e consapevole. Indebolendo l'Europa con la balla della 'democrazia' sempre più plutocrazia bancaria, gli Usa in grave crisi sperano di esser sempre un pochettino più influenti di un'Europa in crisi, ma ancora più in crisi se sotto le sinistre spersonalizzanti e autocastranti suicide.
Come vedi la sinistra, a legger bene, fa sempre il gioco del grande Capitale.
Bhe, anticapitalisti solo a parole, i sinistri. Ma riprendendo il discorso di Obbama, in effetti è scappato via di corsa (e meno male direi) per non creare troppi imbarazzi. Come se, capitando a fagiolo sotto elezioni, non fosse imbarazzante di per se. Ma nessuno però parla della sua ingerenza (visto che anche tu parli di indebolimento della Ue, e sappiamo già quanto è debole su certi argomenti) insistente per l'ingresso della Ue nel nostro continente... Obbama non mi piace, non mi è mai piaciuto e non solo perchè è nero ma perchè è anche viscido e fasullo come e peggio di un musulmano vero. E forse, adesso col cambiamento del vento, l'europa potrebbe andare un pò meglio.
Grazie del complimento, di solito vengono qui per insultarmi. E io perdo tempo a cancellare i commenti.
Elly
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