giovedì 17 marzo 2011

Non sanno, non ricordano...


Non ricordano. O forse non sanno. Non hanno mai saputo. E balbettano risposte striminzite. Due presidenti, un solo silenzio. Quello che sigilla il cratere aperto nel novembre ’93 dall’allora Guardasigilli Giovanni Conso: incredibilmente il ministro della giustizia non prorogò il 41 bis per circa trecento mafiosi. Un gesto inspiegabile in un momento drammatico di lotta a Cosa nostra, in piena emergenza, e dopo i mesi terribili delle bombe ai monumenti. Lo Stato si chinò, anzi s’inchinò davanti alle mani insanguinate dei boss, ma Oscar Luigi Scalfaro e Carlo Azeglio Ciampi non sanno. Forse, non hanno mai saputo. Oggi, comunque, non ricordano. Anche perché i fatti affiorano dopo tanto tempo. E la responsabilità ricade tutta sulle spalle dell’enigmatico Conso che oggi mette a verbale la soluzione umanitaria: «Credevo in assoluta buona fede che, a fronte delle stragi che erano da poco avvenute, era più opportuno, onde evitare di acuire ancor di più la tensione, non accanirsi con i detenuti e dare dei segnali di distensione».

Un buco nero, zero didascalie. Scalfaro mette subito le mani avanti: «Voglio subito precisare che, più in generale, sia quando ero ministro che successivamente ricoprendo la carica di presidente della Repubblica, nessuno mi ha mai messo al corrente né io ebbi altrimenti notizie di alcun genere su presunte trattative fra lo Stato e la criminalità organizzata». Possibile? «Avevo frequenti interlocuzioni - prosegue Scalfaro - con il prefetto Vincenzo Parisi, allora capo della polizia, per motivi istituzionali era un funzionario che stimavo profondamente per la sua professionalità. Posso dire con assoluta certezza che nulla ebbe a dirmi, durante il lungo periodo in cui abbiamo intrattenuto rapporti, circa una possibile trattativa fra Stato e mafia, né al riguardo del 41 bis e di possibili connessioni con l’applicazione di quel regime penitenziario e gli episodi stragisti del ’93». E la mancata proroga del carcere duro per i trecento mafiosi? «Mai saputo nulla», è la risposta laconica. Ma Scalfaro, che è un politico navigato, uno dei padri della Repubblica, ha una sua interpretazione: «Oggi, avendo recentemente appreso tale notizia dagli organi di stampa, posso soltanto supporre, pur non avendo nessuna conoscenza in merito, che quella decisione sia stata presa dal ministro Conso per ragioni di umanità nei confronti dei detenuti». Scalfaro riflette un attimo, poi rafforza la pista buonista: «Il ministro Conso è sempre stata persona di grande sensibilità umana ed è possibile che per tale ragione, consultandosi coni suoi collaboratori, abbia adottato quella decisione». È il 15 dicembre 2010 quando Scalfaro e Ciampi vengono ascoltati dai pm di Palermo che cercano conferme alla loro difficile inchiesta sulla trattativa fra Cosa nostra e lo Stato. Trattativa che sarebbe passata attraverso le richieste del papello: e fra queste c’era proprio l’abolizione del 41 bis. Le deposizioni dei due presidenti emeriti spuntano fra le 1850 pagine inedite depositate al processo contro il generale del Ros Mario Mori e il colonnello Mauro Obinu, accusati di favoreggiamento alla mafia.

Scalfaro non sa. Ciampi non ricorda. Il primo è granitico, il secondo più sfumato, il risultato è lo stesso. Ciampi: «Non ho alcun ricordo in merito a possibili problematiche e divergenze di opinioni all’interno del governo da me presieduto inerenti l’applicazione del cosiddetto 41 bis. Posso affermare con assoluta certezza che la linea del governo in tal senso era estremamente rigida. Non ricordo che vi fossero ministri che avevano opinioni diverse in tema di contrasto alla criminalità organizzata». Va bene, ma allora come si arrivò a quella sconcertante ritirata? Mistero. «Non venni avvertito né prima né dopo quella mancata proroga - aggiunge Ciampi - Non so nemmeno dare una spiegazione per la condotta del ministro Conso che, con la mancata proroga di tali decreti, certamente andava in netta contrapposizione con le linee guida del governo da me presieduto in tema di lotta alla mafia». Gira e rigira si ritorna a Conso, altra icona dello Stato, le cui dichiarazioni sono state pure depositate a Palermo. E Conso si assume tutta la responsabilità di quella retromarcia: «Era opportuno dare dei segnali di distensione».

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