sabato 19 marzo 2011

La rivolta di Lampedusa

Lampedusa in rivolta di Mariateresa Conti

Hanno occupato fisicamente i moli di attracco, a decine. E coi loro corpi, minacciando di buttarsi ogni qualvolta la motovedetta con a bordo l’ennesimo carico di disperati tentava di attraccare, hanno impedito lo sbarco. Invano, perché alla fine l’attracco è avvenuto ugualmente, nel porticciolo di un albergo. Ma è il segnale di un’esasperazione che sta ormai superando i livelli di guardia. È rivolta, a Lampedusa, assediata dal flusso di clandestini in fuga dall’inferno delle rivolte d’Africa. Non rivolta dei migranti, che pure nel centro di accoglienza, dove sono stipati in tremila circa a fronte di una capienza di circa 900 persone, non se la passano bene. No, l’insurrezione, vera, è quella dei lampedusani, inferociti per i disagi che il sovraffollamento dell’isola sta causando e soprattutto preoccupati per la stagione turistica che sta andando in fumo. Il che, per un’isola la cui economia si regge solo sul mercato delle vacanze, non è un dettaglio. Un dato: il crollo a picco delle prenotazioni per Pasqua sta procurando quattro milioni e mezzo di danni. E l’ipotizzata tendopoli, cui gli abitanti dell’isola si oppongono, aggraverebbe la situazione. Un quadro pesante, cui si aggiunge il ricordo dei missili libici sparati contro l’isola nell’aprile del 1986. Timore su timore.

Che l’atmosfera fosse incandescente si era capito già al mattino nella maggiore delle Pelagie, da sempre ospitale con i disperati che da anni approdano sulle sue coste. Gruppi di manifestanti avevano occupato l’area marina protetta di Legambiente, dove era stato ipotizzato di trasferire circa 200 migranti. Ma nel pomeriggio, complice il tam-tam che dava in arrivo ben 13 barconi, è esplosa la rivoluzione. Gli isolani si sono concentrati sul molo Favaloro, il punto di attracco principale, e hanno minacciato di buttarsi ad ogni tentativo di avvicinamento della motovedetta della Guardia costiera con a bordo 116 migranti soccorsi in mare. La tensione è salita alle stelle. Gruppi di lampedusani si sono spostati al molo di cala Pisana quando si è sparsa la voce che l’attracco poteva essere spostato, per aggirare la protesta. Alla fine i profughi, a bordo anche donne e bambini, sono riusciti ad approdare all’ormeggio sotto l’hotel «La Perla». Ma i presidi sono continuati anche in serata, in attesa dei nuovi approdi, cinque secondo le stime.

Quasi delle ronde anti-sbarco, quelle organizzate, con tanto di postazioni di avvistamento. La situazione è al limite. «Abbiamo acqua potabile a sufficienza solo fino a stasera (ieri per chi legge, ndr) – è l’sos del sindaco di Lampedusa, Bernardino De Rubeis – poi mancherà anche per i residenti, non solo per i migranti. Occorre avviare subito ponti aerei e mezzi navali militari. Gli isolani sono ospitali da sempre. Ma ora sono inaspriti, impauriti». I trasferimenti al Villaggio della solidarietà di Mineo (Catania), in realtà, sono cominciati. Nelle ex abitazioni dei militari americani un tempo di stanza a Sigonella sono arrivati ieri 200 richiedenti asilo, altri 200 arriveranno oggi. Ma sono stati svuotati i centri di accoglienza di Bari, Caltanissetta e Trapani. A Lampedusa, che pure sta esplodendo, la situazione è sempre più difficile. Appelli a che si trovi una soluzione, oltre che dal sindaco, arrivano anche dal vescovo di Agrigento e dall’Unhcr. Ma nonostante l’esasperazione, qua e là, l’ospitalità della gente di mare fa capolino. Mentre sul molo divampava la protesta un pescatore, con la sua barca, ha portato un medico sulla motovedetta della Guardia costiera in attesa di attracco. Si era sparsa la voce che ci fossero dei malati da curare. E non se l’è sentita di non dare una mano. Intanto, il mare restituisce cadaveri. Due forse del naufragio di lunedì scorso al largo delle coste tunisine, sono affiorati ieri. Il dramma continua.

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