sabato 5 marzo 2011

L'incommentabile Cialente


E poi dicono che la colpa della mancata ricostruzione del centro storico dell’Aquila è colpa del satrapo di Arcore. Sentite qua: da quasi due an­ni il governo ha stanziato quattro miliardi di euro che a tutt’oggi, però, giacciono inu­tilizzati per una fantozziana controversia fra il sindaco Pd de l’Aquila, Massimo Cialen­te (quello che strepita ogni due per tre contro l’esecutivo Berlusconi) e Gaetano Fonta­na, braccio tecnico-operati­vo per il rifacimento della cit­tà terremotata, coordinatore della cosiddetta Struttura tec­nica di missione.

LA BATTAGLIA IDEOLOGICA: Quattro miliardi benedetti, che andavano (vanno) spesi tutti e subito così da richieder­ne poi altrettanti e altri anco­ra. Soldi bloccati con argo­mentazioni capziose dal pri­mo cittadino che si ostina a non attuare quanto previsto dalla legge, deciso com’è a far valere le sue ragioni, che pre­vedono altre soluzioni, meno risolutive e solo apparente­mente più rapide. Per capire a che livello di schizofrenia arri­vi talvolta la politica occorre circumnavigare a piedi la par­te nobile della città sventrata dal sisma il 6 aprile 2009: silen­zio mortale, qualche soldato di guardia ai varchi, cani ran­dagi e topi a spasso fra le mace­rie. Se le new town in periferia sono state tirate su a tempo di record, in centro non si muo­ve paglia. Niente. Le gru fer­me, nessun sospetto d’inizio lavori nei palazzi puntellati co­me i bastoncini dello shan­ghai. Il perché di quest’impas­se è folle, ed è presto detto: da tempo, perché così dispone il decreto legge 39/09 (articolo 14,comma 5 bis) l’amministra­zione comunale guidata da Massimo Cialente avrebbe do­vu­to predisporre un vero e pro­prio «piano di ricostruzione» del centro storico. Ovverosia un dettagliatissimo piano glo­bale di ripristino della parte più antica della città, con mi­gliorie e/ o abbattimenti dei pa­­lazzi pericolanti, con interven­ti non a se stanti (palazzo per palazzo, chiesa per chiesa) ma da considerare in un «uni­cum» nella ricostruzione di tutto il centro.

COSA IMPONE LA LEGGE: Forse non tutti sanno che la ricostruzione leggera e pesan­te della periferia della città ha discriminato tra prima e secon­da casa, prevedendo per que­st’ultima stringenti limitazioni al risarcimento dei danni a cau­sa dell’inserimento di un tetto massimo di 80mila euro, tra l’al­tro concesso per una sola volta e solo in presenza di utilizzo professionale o commerciale dell’immobile (cioè se nello sta­bil­e vi è effettivamente una par­tita Iva). Per il centro storico, in­vece, la distinzione tra prima e seconda casa non è prevista dalla legge. Il «centro storico» è pertanto inteso dalla legge co­me un unicum meritevole di tu­tela diretta in ragione del pre­minente interesse pubblico sot­teso al suo recupero. Per sinte­tizzare ancora meglio: il rappor­to che dovrebbe costituirsi tra i singoli interessi in relazione al piano di recupero è lo stesso che intercorre tra «contenuto» e «contenitore», intendendo con il primo la somma aritmeti­c­a dei singoli edifici con il corre­do delle numerose e variegate posizione giuridiche soggetti­ve, e con il secondo l’insieme degli stessi in una logica di in­sieme giuridico, sociale, urba­nistico, architettonico, artisti­co ed economico. Il decreto legge, dunque, prevede l’obbligo di predispo­sizione di questi specifici «pia­ni di ricostruzione», espressa­mente sanciti dalla legge sulla ricostruzione e, se non bastas­se, ribadito dalle note di strate­gi­a redatte dalla Struttura Tec­nica di Missione. Il Comune dell’Aquila, però, del decreto legge non ha tenuto conto. Ha avviato un’ipotesi di ricostru­zione che prevede l’applica­zione diretta dell’attuale nor­mativa dettata dalle diverse or­dinanze della presidenza del Consiglio (buone per le perife­rie) anche ai singoli edifici del centro storico. La ragione per cui il sindaco Cialente sta pen­sando di aggirare l’obbligo dei «Piani» risiede ufficial­mente nel tentativo, invero meritevole, di accorciare i tempi della ricostruzione. Pur­troppo, però, una simile impo­stazione è destinata a creare maggiori danni rispetto a quel­li che tenta di riparare.

OCCASIONE PERSA: Il rischio che potrebbe con­cretizzarsi attraverso l’applica­zione diretta al centro storico dell’attuale impalcatura giuri­d­ica dettata dalle numerose or­dinanze, è che singole porzioni di edificio, o addirittura interi palazzi, non vengano recupera­ti per assenza del diritto alla ri­parazione a carico dello stato in considerazione del titolo giuri­dico di possesso (seconda ca­sa). Nel centro storico della cit­tà di L’Aquila sono presenti cir­ca 9 mila immobili; di questi 3mila hanno una destinazione non residenziale, mentre solo 2mila sono prime case e dun­que recuperabili attraverso l’applicazione delle ordinanze che hanno regolato la ricostru­zione della periferia. In questo senso il Piano di Ricostruzione previsto dal decreto legge rap­presenta l’unico strumento in grado di tutelare il centro stori­co proprio perché non discrimi­na tra prime e seconde case. Inoltre esso, proprio perché «piano» urbanistico, potrebbe porsi quale fonte normativa at­traverso cui introdurre, senza far ricorso a strumenti ablatori, disposizioni di salvaguardia che consentano un integrale ri­pristino del tessuto urbanistico anche in presenza di eventuale inerzia dei singoli proprietari.

L’EMERGENZA CONTINUA: Le numerose ordinanze post terremoto sono state concepite per garantire una tutela «individuale» ai singoli proprietari di immobili, men­tre il piano di ricostruzione è stato inteso come strumento di tutela del preminente «be­ne pubblico» rappresentato dal «centro storico» nel suo insieme. Va da sé che il diritto di ciascun cittadino di poter fruire nuovamente degli spa­zi pubblici del centro, passa necessariamente attraverso il ripristino della sicurezza statica di tutti i suoi palazzi, proprio in ragione del rischio indotto che un mancato re­stauro di un palazzo potreb­be arrecare all’incolumità pubblica. A ciò si aggiunga che nel centro storico dovran­no inevitabilmente essere ri­fatti anche i sottoservizi (fo­gne, condutture dell’acqua, gas, impianti elettrici) e che gli edifici sono spesso addos­sati l’uno all’altro senza solu­zione di continuità. Qualun­que approccio serio e ragio­nevole non può che passare attraverso il coinvolgimento dell’insieme dei variegati in­teressi, pubblici e privati, in un progetto di sintesi e coor­dinamento tecnico e giuridi­co che, per l’appunto, è stato individuato dal legislatore nel «piano di ricostruzione». Che se approvato un anno fa, con i quattro miliardi di euro a disposizione, a quest’ora avrebbe già permesso di cura­re le prime ferite del centro storico dell’Aquila.

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