martedì 15 marzo 2011
Punti di vista
Il 2011 non è l'anno delle rivoluzioni arabe ma della morte dell'Occidente di Giancarlo Loquenzi
L’anno 2011 non sarà ricordato come quello delle rivoluzioni arabe i cui destini sono ancora fumosi e contraddittori. Ma potrebbe essere ricordato come l’anno della morte dell’Occidente. Niente di quello che è accaduto sino ad oggi in quei paesi e apparentemente nulla di quello che sta per succedere è minimamente influenzato dai voleri e dagli interessi di quello che una volta era chiamato il “mondo libero” e che ancora oggi racchiude in sè il massimo della potenza militare ed economica del pianeta.
Al contrario, se si guarda in particolare alla Libia – un piccolo paese di 6 milioni di abitanti e con un esercito di qualche decina di migliaia di uomini – sembra che le voci congiunte di tutti i paesi occidentali contino meno di zero. E’ vero che il mondo occidentale non ha parlato in modo tempestivo e tonante e che ci sono state molte stecche, ma se si mettono insieme le dichiarazioni che i capi di Stato hanno inanellato nell’ultimo mese, tutte, nessuna esclusa, chiedevano le immediate dimissioni di Gheddafi, la sua resa e il suo esilio, Russia compresa. Poteva variare il condimento di minacce e la perentorietà dei toni: ma richiesta era divenuta quasi un ritornello in ogni discorso pubblico, in ogni dichiarazione ufficiale, in ogni consesso internazionale: “Gheddafi vattene”. Dopo circa un mese dall’esplosione della crisi libica e un numero imprecisato di vittime tra i ribelli e i civili anti-regime, il Colonnello è ancora lì, più minaccioso e stralunato che mai e si sta riprendendo il paese pezzo a pezzo. Mentre con voce sempre più flebile e imbarazzata, Obama, Sarkozy, Mevedev, Cameron, Napolitano e tutti gli altri continuano a chiedere, quasi a pietire, che se ne vada.
Di fronte a questa lancinante evidenza Stati Uniti ed Europa non sono ancora riusciti ad accordarsi su nulla, anzi si dedicano a lotte intestine o a minacce da parata. C’è un embargo militare in atto contro Gheddafi e il suo regime, ma non si è capito se questo valga anche per i ribelli, così nessuno si azzarda a rifornirli di armi anche se tutti si precipitano, in modo un po’ pusillanime, a “riconoscerli”. C’è in ballo da settimane una “no-fly zone”, di cui sfugge ormai la reale utilità, che tutti continuano a chiedere – Lega Araba compresa – ma che nessuno sembra in grado di mettere in pratica. Ci sono delle portaerei americane a largo di Bengasi, con truppe pronte anche a un eventuale sbarco stando alle parole di Obama, ma che per ora servono come base per qualche minore operazione umanitaria. C’è una ricorsa in Europa tra Cameron e Sarkozy su chi fa la voce più grossa, che sembra più dettata da esigenze domestiche e affaristiche e che alla fine si nasconde dietro i tempi lunghi dell’Onu e l’indecisione della Nato. In Italia, primo partner commerciale della Libia, la politica estera l’ha fatta più Giorgio Napolitano con il suo Consiglio Supremo di Difesa che non tutto il governo messo assieme. Solo che alla fine non si capisce se abbiamo scontentato più Gheddafi o i ribelli. Intanto sulle nostre coste arrivano migliaia di fuggiaschi che la Francia respinge con decisione alla frontiera di Ventimiglia chiedendoci di tenerli ben chiusi in Italia. E che l’Europa non vuole vedere, salvo poi essere solerte nella sdegnata protesta quando l’Italia li respingeva in patria fino a qualche mese fa.
Questa è la scena del glorioso Occidente di fronte alla crisi libica. Cosa faranno le nostre cancellerie, le nostre armate, le nostre aziende, i nostri “palazzi di vetro” quando Muammar Gheddafi tornerà a sedersi sul suo trono dopo aver schiacciato sotto il tallone quel che resta della protesta? Può il mondo libero e democratico, dopo essersi esposto a minacce e a parole, tollerare un simile esito e continuare a definirsi tale? O può fare finta di niente e tornare a fare affari e trattati con la Libia come prima? Le cose sono andate troppo oltre e forse non subito ma il destino di Gheddafi appare segnato. Anche perché quel particolare equilibrio che lo ha tenuto in sella per 42 anni si è infranto e si reggeva proprio sulla legittimazione fornita al suo regime dalla comunità internazionale bisognosa di petrolio e collaborazione frontaliera. Difficile credere alle minacce del Rais, intenzionato a farla pagare a tutti, Lega Araba compresa, tranne che alla Cina. Difficile pensare che alla prima buona occasione i ribelli della Cirenaica non tornino a insorgere e che le tribù ostili al Colonnello non trovino l’unità necessaria ad abbatterlo. Il dubbio resta ancora una volta sul ruolo che vorrà avere in tutto questo l’Occidente e l’Italia in primo luogo che su questo fronte potrebbe reclamare una posizione di leadership. Perché è vero che gli Usa hanno responsabilità proporzionate al ruolo di grande potenza, ma è anche vero che nella classifica degli scambi commerciali con la Libia, Washington è al 69° posto, Roma al 1°. Sarebbe tragico e ironico al tempo stesso, che la morte dell’Occidente avesse nel Mediterraneo lo stesso epicentro della sua nascita, ma non sembra improbabile.
(tratto da Il Tempo)
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