lunedì 7 marzo 2011

Si, certo, come no...


DOHA— Le pentole calzate sulla testa dai rivoltosi in piazza Tahrir al Cairo. I consigli per la resistenza urbana di Per Herngren, giardiniere della pace svedese che pianta alberi di fico nelle basi militari e martellatore di armi che applica la sentenza biblica «dalle loro spade forgeranno vomeri, dalle loro lame, falci». L’orgoglio e la strategia di Robert Redford nel film Il castello, gli slogan di V for Vendetta («Il popolo non dovrebbe temere il proprio governo, sono i governi che dovrebbero temere il popolo»), i passi iniziatici alla Matrix: «Io posso condurti fino alla soglia, la porta devi varcarla da solo». I tre fondatori dell’Accademia del cambiamento miscelano Internet e cinema, filosofia e scienza. Gli apprendisti stregoni di queste rivoluzioni arabe hanno più o meno trent’anni, sono di origine egiziana e hanno scelto il Qatar («perché sta già sperimentando le riforme») come base per diffondere le loro idee. Da Doha trasmette Al Jazeera, accusata dai regimi di fiancheggiare le ribellioni, e da Doha il pediatra, il chimico, l’ingegnere pubblicano i manuali che hanno ispirato i ragazzi del Medio Oriente.

Traducono i discorsi di Lech Walesa e del Mahatma Gandhi, i diari di Henry David Thoreau, producono documentari sul movimento arancione in Ucraina, insegnano a costruire l’armatura per proteggersi dalla polizia antisommossa: il prototipo scelto sono gli scontri a Genova durante il G8, il video dimostrativo evidenzia gli scudi di plexiglas usati dai manifestanti come una falange romana e le bottiglie di plastica avvolte sugli avambracci con il nastro adesivo. «Ci siamo conosciuti nel 2004 e abbiamo deciso di lavorare insieme partendo da un’idea: la differenza tra le nostre carriere in Europa e la situazione in Medio Oriente. Le variabili più importanti sono le stesse (noi, il tipo d’impiego, gli obiettivi) eppure tutto dipende da un elemento: l’organizzazione della società. Che nei Paesi arabi blocca il progresso, così ci siamo chiesti come svincolare l’energia della gente», racconta Hisham Morsi, oncologo infantile. Un anno dopo si svolgono le elezioni presidenziali in Egitto. «Per noi e molti altri sono state il vero test», dice. Anche i giovani egiziani scesi in strada per 18 giorni fino alla caduta di Hosni Mubarak si avvicinano alla politica nel 2005 ed è allora che alcuni di loro incontrano la squadra dell’Akademyat al-Taghyeer, invitata al Cairo dall’organizzazione Kefaya (Basta). Ai seminari, partecipano i futuri leader della rivolta, come Ahmed Maher, che dopo quelle riunioni crea la brigata Gioventù per il cambiamento. «Fin dall’inizio abbiamo stabilito le regole: non vogliamo essere coinvolti nelle operazioni, non siamo attivisti. Offriamo consulenza e addestramento», continua Hisham, che ha vissuto per dodici anni a Londra (è l’altra sede europea con Vienna, dove vive Ahmed Abdel Akim, due lauree: Chimica e Scienze Politiche).

Il passaporto britannico e la dichiarata neutralità (almeno in manifestazione) non hanno risparmiato l’arresto a Hisham, portato via dagli agenti in borghese e lasciato in isolamento nella cella 75, bendato per quattordici giorni, mentre fuori il regime di Mubarak crollava. «Sono arrivato in Egitto il 31 gennaio, mi hanno fermato dopo dodici ore, per caso: ho commesso l’errore di andare nella zona sbagliata della città, proprio quello che sconsiglio ai nostri allievi». Il primo libro scritto dal gruppo è intitolato La guerra con azioni non violente ed è ispirato alle teorie dell’americano Gene Sharp. «In strada è una battaglia, anche se non usiamo la violenza. Bisogna studiare le tattiche e prevenire le mosse del nemico», spiega Wael Adel, l’ingegnere, che per il gruppo si occupa della comunicazione ed è tornato a vivere in Egitto. Il manifesto programmatico promette il «terremoto delle menti». Il sisma intellettuale viene offerto anche attraverso corsi interattivi via Internet (l’iscrizione costa 15 euro) e lezioni dal vivo che dovrebbero portare a un diploma dopo un anno di studi. Sul sito, presentano le idee di Sanderson Beck, guru new age californiano, che scrive di Zarathustra e al presidente Barack Obama. Pure Hisham misticheggia, quando parla «del sogno collettivo concepito per quindici anni dagli egiziani, seduti davanti alla televisione o in poltrona a fumare la shisha. Senza fare nulla, senza muovere un dito, hanno immaginato il giorno della caduta di Mubarak e quella energia si è concentrata e materializzata l’ 11 febbraio».

2 commenti:

samuela ha detto...

Beh, era chiaro che dopo un pò i Saviano e i Santoro avrebbero stancato. Meglio andare a cercare nuovi eroi in Africa, il nostro grande futuro che ci veleggia (in)contro. Non so se mi agghiaccia di più l'occidentalismo in salsa sincretista degli egiziani -"l'energia della gente"? e l'amore cosmico no?- o il paternalismo del giornalista che li coccola gongolante. Felice di vedere applicati degli schemi occidentali a culture aliene alla propria -e non c'è una connotazione negativa nelle mie parole, ma un dato di fatto: le culture sono cerchi chiusi che si possono aprire solo in minimissima parte, è la storia dell'etnografia a dirlo. Questo giornalista non è diverso da quei monaci postcolombiani che ritenevano le le lingue amerinde dei suoni incivili perchè non riconducibili alle categorie del latino. Non capire e non rassegnarsi all'alterità pressochè totale - e inconciliabile- dell'altro è il massimo dell'etnocentrismo. Si manca di rispetto a sè -e chi se ne frega- e agli altri -orrore!!!! Se avesse un pò di sale in zucca si vergognerebbe di quello che questi giovani occidentalizzati dicono della propria gente.
Mi scuso della prolissità ma poche cose mi mandano in bestia come questo argomento.

Eleonora ha detto...

Samuela, ma ci mancherebbe. Posto schifezze del genere per far capire che niente viene dal basso. Specie in "rivoluzioni" colorate come queste.