lunedì 7 marzo 2011

Punti di vista, le rivolte incompiute

Saranno le rivolte del pane perchè la gente muore di fame, saranno rivolte incompiute... ma ciò che si è compiuto in maniera perfetta, è l'ondata di "migrazione" dei ggiovani magrebini (bravi o delinquenti o terroristi?) sulle coste italiane e la destabilizzazione europea. E c'è ancora chi esulta.

Le rivolte incompiute del Maghreb di Giancarlo Loquenzi

Mentre siamo sintonizzati sulla guerra civile che sta insanguinando la Libia quasi nessuno si chiede più cosa stia succedendo in Tunisia e in Egitto, paesi che fino a qualche settimana fa occupavano interamente la nostra attenzione. Con la stessa volatilità con cui cambiamo canale sul telecomando, passiamo da una crisi ad un'altra come fossero diverse serie televisive che col passare del tempo perdono audience e finiscono nel dimenticatoio. Ma nella realtà le rivolte che hanno portato a un improvviso e imprevisto cambio di regime a Tunisi e al Cairo, devono ancora dispiegare appieno i loro effetti e spesso non mancano capovolgimenti anche drammatici proprio mentre l'attenzione del grande pubblico planetario è indirizzata altrove. In Tunisia, una nuova ondata di proteste ha invaso le strade e le piazze della capitale e di molte principali città. Diversamente da quanto è accaduto in Egitto, i leader della rivolta tunisina non hanno festeggiato la fuga del presidente Ben Ali lo scorso 14 gennaio. Era chiaro fin da allora infatti che il tentativo del regime era quello di resistere alle richieste della piazza con pochi, marginali cambiamenti. Il segno di questa continuità del potere è stata incarnata, in un primo momento, dal settantenne primo ministro, Mohamed Ghannouchi, che ha preso il controllo del paese dopo l'uscita di scena di Ben Alì.

Ci sono volute nuove manifestazioni, tre vittime tra i dimostranti, decine di feriti e centinaia di arresti per indurre, domenica scorsa, Ghannouchi alle dimissioni. Tutto questo mentre eravamo tutti presi ad ascoltare i deliri di Gheddafi su un altro canale. In Tunisia le proteste continuano anche in queste ore: le opposizioni chiedono le dimissioni del governo ad interim, lo scioglimento del Parlamento e l'elezione di un'assemblea costituente con l'incarico di scrivere una nuova Costituzione democratica. Le vicende egiziane appaiono anche più complesse e preoccupanti. Neppure due settimane fa, uno dei più autorevoli analisti del mondo arabo, Fouad Ajami, scriveva sul Wall Street Journal un articolo molto incoraggiante sugli sviluppi della protesta cairota. Osservando la folla festante di piazza Tahir, Ajami scriveva: «Non ci sono ayatollah in turbante a arringare la piazza, questo non è l'Iran del 1979, qui c'è un giovane funzionario di Google, Wael Ghonim, a esaltare i dimostranti quanto stavano per perdere fiducia». Una settimana fa quella stessa piazza Tahir era piena di un milione di persone riunite per la preghiera del venerdì e arringate da un predicatore in turbante, lo sceicco Yusuf-al Quaradawi, uno dei più influenti religiosi sunniti, vicino ai Fratelli Musulmani, mentre a Wael Ghonim è stato impedito di salire sul palco.

Quaradawi viene ritenuto un moderato, ma appoggia i martiri suicidi come una prova della giustizia divina e considera l'Olocausto una punizione di Dio contro gli ebrei. Ma anche più preoccupante di quello che accade in piazza è quanto succede nei palazzi del potere dove la commissione di esperti messa in piedi dall'esercito sta riscrivendo la Costituzione. Nessuno segue molto da vicino questi lavori, specie sulla stampa internazione, perché di certo non attirano passioni ed emozioni da telecomando. Ma l'orientamento della commissione di mantenere l'assetto di repubblica presidenziale tipico dell'era Mubarak, piuttosto che spingere l'Egitto verso un sistema parlamentare, viene ritenuto da molti una porta spalancata per la presa di potere da parte dei Fratelli Musulmani. Con l'opposizione ancora nascente e divisa in molte fazioni, un candidato islamico potrebbe stravincere al primo turno e mettere l'esercito davanti alla rischiosa decisione di invalidare le elezioni e riprendere il controllo del potere o procedere ad un secondo turno in cui la possibile vittoria di un presidente appoggiato dai Fratelli Musulmani sarebbe ormai intoccabile. A quel punto saremo di nuovo tutti sintonizzati sul Cairo.

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