venerdì 25 marzo 2011

Retroscena


«Non ho niente da dire». Berlusconi attraversa a passo spedito la hall del Conrad. Evita i giornalisti italiani che, almeno questa volta, non vogliono chiedergli di cucina politica nostrana, del rimpasto di governo, ma di Libia, del «povero Gheddafi da salvare», di una nostra possibile mediazione, del «saccente Sarkozy», dei nostri interessi petroliferi. E invece lui si nega (vedremo se oggi farà una conferenza stampa al termine del vertice europeo). Si nega per il momento perché sa che potrebbe dire quello che non può dire in pubblico e cioè di essere «angosciato», di essere stato trascinato in questa avventura libica. A trascinarlo «obtorto collo» sarebbero stati Franco Frattini, Gianni Letta e Ignazio La Russa. Con l’autorevole sponda del presidente della Repubblica Napolitano. Il kingmaker, a suo giudizio, sarebbe innanzitutto il ministro degli Esteri, in presa diretta con l’Amministrazione americana e il Segretario di Stato Hillary Clinton, la quale non perde occasione per elogiare la politica estera italiana (la Farnesina) in questa circostanza. Gli stessi elogi che ieri ha scritto il capo dello Stato in una lettera. «Cosa del tutto inusuale - osservano sospettosi a Palazzo Grazioli - visto che di solito Napolitano prende carta e penna per bacchettare il governo...». Alle cinque del pomeriggio Berlusconi, che in mattinata aveva dato forfait alla riunione del Ppe («per studiare i dossier europei», spiegano i suoi collaboratori), s’infila in macchina e di fronte alle telecamere nemmeno un sorrisino. Via verso Justus Lipsius, il palazzo dove lo attendono i colleghi europei, anche il «Napoleone dell’Eliseo». E qui lo raggiunge la buona notizia dell’accordo di affidare il completo controllo delle operazioni militari alla Nato. Adesso il Cavaliere ha tutte le ragioni per vendersi questa decisione come una sua vittoria (in effetti è sempre stata la linea di Roma).

Buone notizie anche da Parigi dove il presidente dell’Unione africana, Jean Ping, fa sapere che oggi al vertice di Addis Abeba ci saranno pure esponenti degli insorti libici e del regime. Un flebile spiraglio di una possibile mediazione con Gheddafi per arrivare al cessate il fuoco e convincere il raiss a passare la mano. Ma è lo stesso Berlusconi a non crederci molto. È convinto che il suo vecchio amico del deserto non mollerà mai e poi mai «e prima di arrendersi farà una carneficina». Eppure, ancora oggi alcuni contatti con Tripoli sono in piedi e passano attraverso quadri intermedi della nostra diplomazia. L’unica vera finestra di mediazione c'è stata la notte in cui è stata votata la risoluzione dell'Onu. Anche la mattina successiva c’era ancora una chance se si fosse messa in moto una forte azione diplomatica. Ma quell’occasione si è persa. E il Cavaliere è «angosciato». Dice di non conoscere i leader dei ribelli, anzi alcuni li conosce bene e sono persone che fino all’altro ieri stavano con il Colonnello. E non gli sembrano quindi stinchi di santo, amanti della democrazia e della libertà. Quindi «non è il caso di avere facili entusiasmi», perché in quel governo di insorti non tutte le componenti sono il nuovo. Il riferimento è a figure come Mustafa Abdel Jalil (presidente del Consiglio nazionale di transizione libico ed ex ministro della Giustizia con Gheddafi) e ad Addel Fatah Yunis (ex ministro dell’Interno).

«E poi - ragiona Berlusconi - è mai possibile che il nostro interesse è portare democrazia e libertà sempre nei Paesi dove c’è il petrolio? Allora se dovessimo seguire questo criterio dovremmo dichiarare guerra a mezzo Medio Oriente...». Insomma, il premier si sente trascinato dentro una missione che non riesce a sentire propria, che non corrisponde a una vera finalità di pace, ma è solo legata a interessi economici e di egemonia politica nel Mediterraneo. Angosciato per quello che potrà accadere a Gheddafi per il quale teme una fine come quella che è toccata a Saddam Hussein. Sembra che l’altra sera a palazzo Grazioli con i parlamentari Responsabili abbia sfogliato l’album delle fotografie con il raiss. Tempi d'oro, costellati di accordi che hanno fermato gli sbarchi di immigrati sulle nostre coste. E ora quella sua opera d’arte politica viene frantumata dalle bombe. Angosciato e deluso dal suo amico della tenda nel deserto che si ostina a non ascoltarlo. Ora i contatti diretti si sono interrotti da tempo e Berlusconi è vincolato da una parte del suo governo e da un voto. Frattini e La Russa gli ripetono che l'Italia aveva di fronte una strada obbligati. «Ma come possiamo fidarci di quelli di Bengasi?», è la sua domanda fissa. E il Capo della Farnesina, che ha ottimi rapporti con il presidente del governo provvisorio Jabril, lo rassicura. «Te li farò conoscere, vedrai che potremo fidarci».

Qui a Bruxelles deve mettere da parte questi dubbi e angosce e fare in modo che l'Europa accetti di fare uno sforzo sul fronte immigrazione. I Paesi dell'Ue devono accettare di contribuire agli sforzi economici per la gestione dei migranti e dei profughi. E dividerseli, perché l'Italia non può essere invasa e sopportare gli effetti di quello che sta accadendo nel Maghreb. Il premier si aspetta ben poco: al di là delle dichiarazioni di intenti e qualche «spicciolo», difficilmente i Ventisette decideranno misure concrete per alleggerire la pressione sul nostro Paese.

1 commenti:

Nessie ha detto...

Berlusconi l'hanno ridotto a un'anatra azzoppata, mentre Napolitano, senza' essere nemmeno passato per una riforma costituzionale, si è creato la sua Repubblichetta Presidenziale Tricolore-rossa, col placet di Washington che usa lui come suo vero interlocutore, il quale a sua volta mette in riga quell'idiota di Frattini e di La Russa, per fare la Triplice Intesa. In altre parole, andare a votare non conta una beata mazza.Abbiamo chi ci mette i piedi in casa, comunque. Domani aggiorno anch'io il post e riprendo l'argomento.