Verrà interrogato oggi dai carabinieri di Bologna Said Mahdi Nasr, 50 anni, uno degli imam del centro Culturale islamico di Bologna. Di lui si è già parlato in passato, per i suoi sermoni in moschea che esaltavano i martiri in nome dell’Islam. E perché è stato uno dei protagonisti di una preghiera di protesta di un anno fa in piazza a Bologna. Stavolta a denunciarlo sono stati la moglie e il cognato. Il verbale parla di «maltrattamenti in famiglia, lesioni personali, minacce», tre accuse che nascondono una lunga storia rimasta segreta fino a quattro mesi fa. Sono sposati da oltre venti anni e hanno cinque figli, tre dei quali ancora minorenni: due femmine di 17 e 5 anni e un maschio di 14 anni. E’ il 23 ottobre quando Fatima, 40 anni, moglie dell’imam, si rifugia negli uffici dei Servizi Sociali. Non ne può più. La sua vita è «un vero e proprio calvario», come metteranno a verbale i carabinieri il giorno dopo. Vuole divorziare. Le assistenti sociali l’ascoltano e le assicurano tutto il loro sostegno. Poi chiamano l’imam, una lunga chiacchierata per ammonirlo e ricordargli che il suo comportamento violento è illegale. In realtà l’imam questo lo sa molto bene. Qualche anno fa ha condannato duramente dalle colonne di un quotidiano locale un episodio simile accaduto ad un altro esponente della comunità islamica bolognese ricordando che se si vive in Italia bisogna rispettarne le regole. Il 23 ottobre, invece, Said Mahdi torna a casa e rimprovera la moglie, come poi racconta la donna. Quindi chiama al telefono il cognato, il fratello di Fatima, e lo invita a andare a casa la sera «per chiarire i fatti». Il chiarimento finisce all’ospedale, dove Mohamed viene dimesso con una prognosi di 15 giorni per trauma distorsivo alla mano, un dito schiacciato e un dente che è saltato. Effetto di pugni, morsi e strattonamenti, come racconterà l’uomo ai carabinieri. Il giorno dopo, infatti, vanno insieme a fare la denuncia, e i carabinieri mettono a verbale la triste storia. «Da quando ci siamo sposati è cominciato un vero e proprio calvario. Infatti mio marito mi ha sempre impedito di condurre una vita normale, infatti, mi costringeva a rimanere in casa. Le uniche volte che potevo uscire era la mattina e il pomeriggio quando tornavo a riprendere mia figlia all’asilo». Fatima racconta di aver provato a reagire. «Ma mio marito mi picchiava anche davanti ai figli», spiega. Lei vorrebbe condurre una «vita normale», ma lui la insulta, «dicendo che io non valevo nulla come i miei genitori, figlia di cagna, sei una cagna, sei una scarpa». Una volta che lei ha cucinato una pastasciutta troppo cotta l’imam la afferra per i capelli «e con forza mi spinse a terra facendomi strisciare il volto sul pavimento». I carabinieri, a quel punto, le chiedono come mai non abbia mai denunciato né sia andata al pronto soccorso a farsi curare. «Mio marito mi impediva di uscire - risponde Fatima - e perché avevo paura di ulteriori ripercussioni». Difatti, dopo la difficile denuncia, Fatima va via di casa. Da quattro mesi vive in un luogo protetto insieme con i figli minorenni.
giovedì 18 febbraio 2010
Arricchimenti culturali
'L'imam mi chiude in casa'. La moglie dell'imam di Bologna denuncia il marito per maltrattamenti, lesioni personali, minacce durate vent'anni di Flavia Amabile
Verrà interrogato oggi dai carabinieri di Bologna Said Mahdi Nasr, 50 anni, uno degli imam del centro Culturale islamico di Bologna. Di lui si è già parlato in passato, per i suoi sermoni in moschea che esaltavano i martiri in nome dell’Islam. E perché è stato uno dei protagonisti di una preghiera di protesta di un anno fa in piazza a Bologna. Stavolta a denunciarlo sono stati la moglie e il cognato. Il verbale parla di «maltrattamenti in famiglia, lesioni personali, minacce», tre accuse che nascondono una lunga storia rimasta segreta fino a quattro mesi fa. Sono sposati da oltre venti anni e hanno cinque figli, tre dei quali ancora minorenni: due femmine di 17 e 5 anni e un maschio di 14 anni. E’ il 23 ottobre quando Fatima, 40 anni, moglie dell’imam, si rifugia negli uffici dei Servizi Sociali. Non ne può più. La sua vita è «un vero e proprio calvario», come metteranno a verbale i carabinieri il giorno dopo. Vuole divorziare. Le assistenti sociali l’ascoltano e le assicurano tutto il loro sostegno. Poi chiamano l’imam, una lunga chiacchierata per ammonirlo e ricordargli che il suo comportamento violento è illegale. In realtà l’imam questo lo sa molto bene. Qualche anno fa ha condannato duramente dalle colonne di un quotidiano locale un episodio simile accaduto ad un altro esponente della comunità islamica bolognese ricordando che se si vive in Italia bisogna rispettarne le regole. Il 23 ottobre, invece, Said Mahdi torna a casa e rimprovera la moglie, come poi racconta la donna. Quindi chiama al telefono il cognato, il fratello di Fatima, e lo invita a andare a casa la sera «per chiarire i fatti». Il chiarimento finisce all’ospedale, dove Mohamed viene dimesso con una prognosi di 15 giorni per trauma distorsivo alla mano, un dito schiacciato e un dente che è saltato. Effetto di pugni, morsi e strattonamenti, come racconterà l’uomo ai carabinieri. Il giorno dopo, infatti, vanno insieme a fare la denuncia, e i carabinieri mettono a verbale la triste storia. «Da quando ci siamo sposati è cominciato un vero e proprio calvario. Infatti mio marito mi ha sempre impedito di condurre una vita normale, infatti, mi costringeva a rimanere in casa. Le uniche volte che potevo uscire era la mattina e il pomeriggio quando tornavo a riprendere mia figlia all’asilo». Fatima racconta di aver provato a reagire. «Ma mio marito mi picchiava anche davanti ai figli», spiega. Lei vorrebbe condurre una «vita normale», ma lui la insulta, «dicendo che io non valevo nulla come i miei genitori, figlia di cagna, sei una cagna, sei una scarpa». Una volta che lei ha cucinato una pastasciutta troppo cotta l’imam la afferra per i capelli «e con forza mi spinse a terra facendomi strisciare il volto sul pavimento». I carabinieri, a quel punto, le chiedono come mai non abbia mai denunciato né sia andata al pronto soccorso a farsi curare. «Mio marito mi impediva di uscire - risponde Fatima - e perché avevo paura di ulteriori ripercussioni». Difatti, dopo la difficile denuncia, Fatima va via di casa. Da quattro mesi vive in un luogo protetto insieme con i figli minorenni.
Verrà interrogato oggi dai carabinieri di Bologna Said Mahdi Nasr, 50 anni, uno degli imam del centro Culturale islamico di Bologna. Di lui si è già parlato in passato, per i suoi sermoni in moschea che esaltavano i martiri in nome dell’Islam. E perché è stato uno dei protagonisti di una preghiera di protesta di un anno fa in piazza a Bologna. Stavolta a denunciarlo sono stati la moglie e il cognato. Il verbale parla di «maltrattamenti in famiglia, lesioni personali, minacce», tre accuse che nascondono una lunga storia rimasta segreta fino a quattro mesi fa. Sono sposati da oltre venti anni e hanno cinque figli, tre dei quali ancora minorenni: due femmine di 17 e 5 anni e un maschio di 14 anni. E’ il 23 ottobre quando Fatima, 40 anni, moglie dell’imam, si rifugia negli uffici dei Servizi Sociali. Non ne può più. La sua vita è «un vero e proprio calvario», come metteranno a verbale i carabinieri il giorno dopo. Vuole divorziare. Le assistenti sociali l’ascoltano e le assicurano tutto il loro sostegno. Poi chiamano l’imam, una lunga chiacchierata per ammonirlo e ricordargli che il suo comportamento violento è illegale. In realtà l’imam questo lo sa molto bene. Qualche anno fa ha condannato duramente dalle colonne di un quotidiano locale un episodio simile accaduto ad un altro esponente della comunità islamica bolognese ricordando che se si vive in Italia bisogna rispettarne le regole. Il 23 ottobre, invece, Said Mahdi torna a casa e rimprovera la moglie, come poi racconta la donna. Quindi chiama al telefono il cognato, il fratello di Fatima, e lo invita a andare a casa la sera «per chiarire i fatti». Il chiarimento finisce all’ospedale, dove Mohamed viene dimesso con una prognosi di 15 giorni per trauma distorsivo alla mano, un dito schiacciato e un dente che è saltato. Effetto di pugni, morsi e strattonamenti, come racconterà l’uomo ai carabinieri. Il giorno dopo, infatti, vanno insieme a fare la denuncia, e i carabinieri mettono a verbale la triste storia. «Da quando ci siamo sposati è cominciato un vero e proprio calvario. Infatti mio marito mi ha sempre impedito di condurre una vita normale, infatti, mi costringeva a rimanere in casa. Le uniche volte che potevo uscire era la mattina e il pomeriggio quando tornavo a riprendere mia figlia all’asilo». Fatima racconta di aver provato a reagire. «Ma mio marito mi picchiava anche davanti ai figli», spiega. Lei vorrebbe condurre una «vita normale», ma lui la insulta, «dicendo che io non valevo nulla come i miei genitori, figlia di cagna, sei una cagna, sei una scarpa». Una volta che lei ha cucinato una pastasciutta troppo cotta l’imam la afferra per i capelli «e con forza mi spinse a terra facendomi strisciare il volto sul pavimento». I carabinieri, a quel punto, le chiedono come mai non abbia mai denunciato né sia andata al pronto soccorso a farsi curare. «Mio marito mi impediva di uscire - risponde Fatima - e perché avevo paura di ulteriori ripercussioni». Difatti, dopo la difficile denuncia, Fatima va via di casa. Da quattro mesi vive in un luogo protetto insieme con i figli minorenni.
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3 commenti:
Non c'è che dire... bell'esempio che ha dato l'imam, davvero! L'avrà di certo insegnato in moschea... ed ora?? Non lo espellono 'sto bastardo?? Ehhh, sto sognando lo so...
Kizzy, tanto lo sappiamo ormai. Questi animali si salvano sempre.
macché ne verrà fuori bello come il sole,e continuerà ad insegnare la sua inciviltà
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