Da che mondo è mondo chi vince governa e l’opposizione fa l’opposizione. Se chi ha perso le elezioni osa andare al di là del suo ruolo, sono bastonate. In Italia no: chi ha perso le elezioni non solo va ben al di là del suo ruolo ma si permette anche di fare il bello e il cattivo tempo. Per comprendere questa anomalia tutta nostrana, occorre andare indietro di qualche anno. I governi di centrosinistra, nati sul sangue dei vinti, che negli ultimi cinquanta/sessant’anni hanno governato il nostro Paese, si sono caratterizzati da un immobilismo tipico dell’ideologia comunista e dal malaffare democristiano. In compenso, in tutti questi anni, il diavolo e l’acqua santa sono stati uniti da un reciproco interesse: rafforzare il potere attraverso una tacitamente condivisa divisione dei ruoli. Alla democrazia cristiana ed ai socialisti gli affari di mercato, soprattutto specializzata in grandi opere di apparente utilità sociale ma mai finite, spesso in collusione con la mafia e spesso attraverso corruzione e concussione più o meno a carte scoperte, mentre ai comunisti, più abili e più lungimiranti, la soggezione dei giovani e la lottizzazione dei poteri forti attraverso il monopolio della cultura (o pseudotale), della scuola di ogni ordine e grado, delle banche e dei poteri forti, la creazione di organismi ammantati dall’aurea del sociale, spesso ripartiti nella gestione con la chiesa, quali il volontariato, i servizi per tossicodipendenti, handicappati, dimessi dal carcere, alcolizzati, minori, l’acquisizione dei mezzi di informazione, stampa, Tv di Stato, riviste, cinema, spettacoli, la creazione di enormi reti commerciali sotto forma di cooperative esentasse e finanziate con pubblico denaro, la creazione, all’interno della magistratura di una potente corrente di sinistra (magistratura democratica), l’istituzione di centri sociali giovanili, veri e propri covi per l’addestramento ideologico e la predisposizione di bande armate con garanzia di impunità tali da costituire (non si sa mai) il braccio armato della sinistra; l’egemonia sindacale della Cgil, in grado di riempire le piazze ad un solo cenno; la gestione della immigrazione, attraverso il principio del chi vuole entri pure, più siete più “compagni” avremo in piazza e così via. Tutto è in mano alla sinistra. Ma per poter mantenere questa elefantiaca struttura, di natura assistenziale e strumentale, occorreva foraggiarla con contributi detti “a pioggia”, di cui beneficiavano in quasi egual misura sia i democristiani, sia i socialisti e sia i comunisti, secondo il criterio del manuale Cencelli, di famigerata memoria, che assegnava i benefici in base a puri criteri aritmetici che traduceva in benefit la rilevanza elettorale di ciascuna forza politica. Tutto questo, però, si traduceva in enorme pressione fiscale che, lungi dal trasformarsi in servizi, causava un abissale debito pubblico di cui piangiamo ancora e per molti anni, le conseguenze. Non c’era occasione perché non si approfittasse di inserire una nuova tassa che, peraltro, gravava soprattutto sul ceto medio in virtù del principio marxista della divisione di classe e per la comodità di aggredire il reddito fisso. La classe impiegatizia nel pubblico impiego, specialmente nelle scuole statali, cresciuta a dismisura per il clientelismo politico imperante e che ora mostra la piaga dei precari addebitata inverosimilmente all’attuale governo, era quella particolarmente presa di mira ai fini fiscali, se non altro per la comodità e la certezza del prelievo. D’altra parte a posto assegnato, rimborso assicurato. Senonchè, perdurante questo andazzo, interviene un ictus imprevisto. La vittoria del centrodestra di Berlusconi, dovuta soprattutto ad una fisiologica reazione di quella parte dell’elettorato più consapevole della deriva cui andava incontro il Paese, sia sotto l’aspetto economico che sociale. Quella parte dell’elettorato, per fortuna determinante, stanca di vedere le scorribande di facinorosi che, sotto il tacito beneplacito della sinistra, mettevano a ferro e fuoco le città, bruciavano le bandiere di Israele, degli Stati Uniti e anche dell’Italia, in una sorta di connubio tra comunismo e anarchia (Blak Boc, No global, ex Br, ecc.), aveva finalmente alzato la testa. L’elettorato più qualificato era stanco di vedere i colossali sprechi, quali il terremoto dell’Irpinia, i miliardi di aiuti al sud, megaopere mai finite, introduzione di tickets sanitari, tasse per ogni più piccolo pretesto, cui si contrapponeva un enorme spreco anche in favolosi stipendi a megadirettori lottizzati in tutti i settori della vita pubblica. L’elettorato voleva un governo che governasse con il criterio manageriale e secondo il vecchio principio della diligenza del buon padre di famiglia, non solo, ma che non avesse in testa quegli interessi di partito che avevano portato ad una forma di inciucio e del do ut des, cioè mangia tu purchè mangi io. Questo nuovo e più corretto modo di governare ha trovato in Berlusconi il leader incontestabile. E questo lo sa la sinistra e quella parte di democrazia ipocrita, legata ancora al ricordo delle spartizioni di affari, oggi rappresentata dall’UDC, non per niente schieratasi a sinistra. Ma sono rimasti tutti i poteri forti sopraelencati in mano a quelli che oggi vengono definiti, in modo significativo e appropriato, “cattocomunisti”, i quali sommano al loro interno quanto di peggio c’era nei passati governi di centrosinistra. Di fronte a questa potenza di fuoco, che ha le armi tutte dalla sua parte, come ci si può difendere? Oggi assistiamo alla riorganizzazione delle vecchie forze politiche le quali sparano ad altezza d’uomo pur di tornare al potere, mentre la chiesa si schiera apertamente con loro. Assistiamo ad un fuoco infernale attraverso le vie più capillari: dai parroci di campagna al Vaticano, dai giornali locali (provate a leggere il “Gazzettino di Venezia” e “La nuova Venezia” di cui ogni locale pubblico ed ogni bar è fornito e mette a disposizione dei clienti), dalle incontrollate radio locali agli altrettanto incontrollati spettacoli di buffoni di corte che girano anche nei più sperduti paesi a carpire l’ingenuo e disinformato consenso dei più sprovveduti. Insomma, come disse la vecchia marchesa passeggiando su di un pavimento lucidato a specchio, “me la vedo brutta”. C’è in atto una vera e propria dittatura dell’opposizione che squilibra tutto il sistema socio-economico e politico italiano. A questo punto, un Presidente della repubblica super partes, a mio sommesso avviso, dovrebbe intervenire al fine di assicurare il rispetto dei risultati elettorali, democraticamente svolti e, soprattutto, per scongiurare una guerra civile di natura sociale, politica e, chissà, anche armata per la riconquista del potere da parte di una opposizione che dimostra di non disdegnare qualunque via pur di tornare a sedersi nelle poltrone di comando e che di fatto esercita una dittatura attraverso poteri forti occulti e meno occulti.
domenica 6 settembre 2009
Opposizione sinistra...
Un’anomalia tutta italiana: la dittatura dell’opposizione di Nicolò Vergata
Da che mondo è mondo chi vince governa e l’opposizione fa l’opposizione. Se chi ha perso le elezioni osa andare al di là del suo ruolo, sono bastonate. In Italia no: chi ha perso le elezioni non solo va ben al di là del suo ruolo ma si permette anche di fare il bello e il cattivo tempo. Per comprendere questa anomalia tutta nostrana, occorre andare indietro di qualche anno. I governi di centrosinistra, nati sul sangue dei vinti, che negli ultimi cinquanta/sessant’anni hanno governato il nostro Paese, si sono caratterizzati da un immobilismo tipico dell’ideologia comunista e dal malaffare democristiano. In compenso, in tutti questi anni, il diavolo e l’acqua santa sono stati uniti da un reciproco interesse: rafforzare il potere attraverso una tacitamente condivisa divisione dei ruoli. Alla democrazia cristiana ed ai socialisti gli affari di mercato, soprattutto specializzata in grandi opere di apparente utilità sociale ma mai finite, spesso in collusione con la mafia e spesso attraverso corruzione e concussione più o meno a carte scoperte, mentre ai comunisti, più abili e più lungimiranti, la soggezione dei giovani e la lottizzazione dei poteri forti attraverso il monopolio della cultura (o pseudotale), della scuola di ogni ordine e grado, delle banche e dei poteri forti, la creazione di organismi ammantati dall’aurea del sociale, spesso ripartiti nella gestione con la chiesa, quali il volontariato, i servizi per tossicodipendenti, handicappati, dimessi dal carcere, alcolizzati, minori, l’acquisizione dei mezzi di informazione, stampa, Tv di Stato, riviste, cinema, spettacoli, la creazione di enormi reti commerciali sotto forma di cooperative esentasse e finanziate con pubblico denaro, la creazione, all’interno della magistratura di una potente corrente di sinistra (magistratura democratica), l’istituzione di centri sociali giovanili, veri e propri covi per l’addestramento ideologico e la predisposizione di bande armate con garanzia di impunità tali da costituire (non si sa mai) il braccio armato della sinistra; l’egemonia sindacale della Cgil, in grado di riempire le piazze ad un solo cenno; la gestione della immigrazione, attraverso il principio del chi vuole entri pure, più siete più “compagni” avremo in piazza e così via. Tutto è in mano alla sinistra. Ma per poter mantenere questa elefantiaca struttura, di natura assistenziale e strumentale, occorreva foraggiarla con contributi detti “a pioggia”, di cui beneficiavano in quasi egual misura sia i democristiani, sia i socialisti e sia i comunisti, secondo il criterio del manuale Cencelli, di famigerata memoria, che assegnava i benefici in base a puri criteri aritmetici che traduceva in benefit la rilevanza elettorale di ciascuna forza politica. Tutto questo, però, si traduceva in enorme pressione fiscale che, lungi dal trasformarsi in servizi, causava un abissale debito pubblico di cui piangiamo ancora e per molti anni, le conseguenze. Non c’era occasione perché non si approfittasse di inserire una nuova tassa che, peraltro, gravava soprattutto sul ceto medio in virtù del principio marxista della divisione di classe e per la comodità di aggredire il reddito fisso. La classe impiegatizia nel pubblico impiego, specialmente nelle scuole statali, cresciuta a dismisura per il clientelismo politico imperante e che ora mostra la piaga dei precari addebitata inverosimilmente all’attuale governo, era quella particolarmente presa di mira ai fini fiscali, se non altro per la comodità e la certezza del prelievo. D’altra parte a posto assegnato, rimborso assicurato. Senonchè, perdurante questo andazzo, interviene un ictus imprevisto. La vittoria del centrodestra di Berlusconi, dovuta soprattutto ad una fisiologica reazione di quella parte dell’elettorato più consapevole della deriva cui andava incontro il Paese, sia sotto l’aspetto economico che sociale. Quella parte dell’elettorato, per fortuna determinante, stanca di vedere le scorribande di facinorosi che, sotto il tacito beneplacito della sinistra, mettevano a ferro e fuoco le città, bruciavano le bandiere di Israele, degli Stati Uniti e anche dell’Italia, in una sorta di connubio tra comunismo e anarchia (Blak Boc, No global, ex Br, ecc.), aveva finalmente alzato la testa. L’elettorato più qualificato era stanco di vedere i colossali sprechi, quali il terremoto dell’Irpinia, i miliardi di aiuti al sud, megaopere mai finite, introduzione di tickets sanitari, tasse per ogni più piccolo pretesto, cui si contrapponeva un enorme spreco anche in favolosi stipendi a megadirettori lottizzati in tutti i settori della vita pubblica. L’elettorato voleva un governo che governasse con il criterio manageriale e secondo il vecchio principio della diligenza del buon padre di famiglia, non solo, ma che non avesse in testa quegli interessi di partito che avevano portato ad una forma di inciucio e del do ut des, cioè mangia tu purchè mangi io. Questo nuovo e più corretto modo di governare ha trovato in Berlusconi il leader incontestabile. E questo lo sa la sinistra e quella parte di democrazia ipocrita, legata ancora al ricordo delle spartizioni di affari, oggi rappresentata dall’UDC, non per niente schieratasi a sinistra. Ma sono rimasti tutti i poteri forti sopraelencati in mano a quelli che oggi vengono definiti, in modo significativo e appropriato, “cattocomunisti”, i quali sommano al loro interno quanto di peggio c’era nei passati governi di centrosinistra. Di fronte a questa potenza di fuoco, che ha le armi tutte dalla sua parte, come ci si può difendere? Oggi assistiamo alla riorganizzazione delle vecchie forze politiche le quali sparano ad altezza d’uomo pur di tornare al potere, mentre la chiesa si schiera apertamente con loro. Assistiamo ad un fuoco infernale attraverso le vie più capillari: dai parroci di campagna al Vaticano, dai giornali locali (provate a leggere il “Gazzettino di Venezia” e “La nuova Venezia” di cui ogni locale pubblico ed ogni bar è fornito e mette a disposizione dei clienti), dalle incontrollate radio locali agli altrettanto incontrollati spettacoli di buffoni di corte che girano anche nei più sperduti paesi a carpire l’ingenuo e disinformato consenso dei più sprovveduti. Insomma, come disse la vecchia marchesa passeggiando su di un pavimento lucidato a specchio, “me la vedo brutta”. C’è in atto una vera e propria dittatura dell’opposizione che squilibra tutto il sistema socio-economico e politico italiano. A questo punto, un Presidente della repubblica super partes, a mio sommesso avviso, dovrebbe intervenire al fine di assicurare il rispetto dei risultati elettorali, democraticamente svolti e, soprattutto, per scongiurare una guerra civile di natura sociale, politica e, chissà, anche armata per la riconquista del potere da parte di una opposizione che dimostra di non disdegnare qualunque via pur di tornare a sedersi nelle poltrone di comando e che di fatto esercita una dittatura attraverso poteri forti occulti e meno occulti.
Da che mondo è mondo chi vince governa e l’opposizione fa l’opposizione. Se chi ha perso le elezioni osa andare al di là del suo ruolo, sono bastonate. In Italia no: chi ha perso le elezioni non solo va ben al di là del suo ruolo ma si permette anche di fare il bello e il cattivo tempo. Per comprendere questa anomalia tutta nostrana, occorre andare indietro di qualche anno. I governi di centrosinistra, nati sul sangue dei vinti, che negli ultimi cinquanta/sessant’anni hanno governato il nostro Paese, si sono caratterizzati da un immobilismo tipico dell’ideologia comunista e dal malaffare democristiano. In compenso, in tutti questi anni, il diavolo e l’acqua santa sono stati uniti da un reciproco interesse: rafforzare il potere attraverso una tacitamente condivisa divisione dei ruoli. Alla democrazia cristiana ed ai socialisti gli affari di mercato, soprattutto specializzata in grandi opere di apparente utilità sociale ma mai finite, spesso in collusione con la mafia e spesso attraverso corruzione e concussione più o meno a carte scoperte, mentre ai comunisti, più abili e più lungimiranti, la soggezione dei giovani e la lottizzazione dei poteri forti attraverso il monopolio della cultura (o pseudotale), della scuola di ogni ordine e grado, delle banche e dei poteri forti, la creazione di organismi ammantati dall’aurea del sociale, spesso ripartiti nella gestione con la chiesa, quali il volontariato, i servizi per tossicodipendenti, handicappati, dimessi dal carcere, alcolizzati, minori, l’acquisizione dei mezzi di informazione, stampa, Tv di Stato, riviste, cinema, spettacoli, la creazione di enormi reti commerciali sotto forma di cooperative esentasse e finanziate con pubblico denaro, la creazione, all’interno della magistratura di una potente corrente di sinistra (magistratura democratica), l’istituzione di centri sociali giovanili, veri e propri covi per l’addestramento ideologico e la predisposizione di bande armate con garanzia di impunità tali da costituire (non si sa mai) il braccio armato della sinistra; l’egemonia sindacale della Cgil, in grado di riempire le piazze ad un solo cenno; la gestione della immigrazione, attraverso il principio del chi vuole entri pure, più siete più “compagni” avremo in piazza e così via. Tutto è in mano alla sinistra. Ma per poter mantenere questa elefantiaca struttura, di natura assistenziale e strumentale, occorreva foraggiarla con contributi detti “a pioggia”, di cui beneficiavano in quasi egual misura sia i democristiani, sia i socialisti e sia i comunisti, secondo il criterio del manuale Cencelli, di famigerata memoria, che assegnava i benefici in base a puri criteri aritmetici che traduceva in benefit la rilevanza elettorale di ciascuna forza politica. Tutto questo, però, si traduceva in enorme pressione fiscale che, lungi dal trasformarsi in servizi, causava un abissale debito pubblico di cui piangiamo ancora e per molti anni, le conseguenze. Non c’era occasione perché non si approfittasse di inserire una nuova tassa che, peraltro, gravava soprattutto sul ceto medio in virtù del principio marxista della divisione di classe e per la comodità di aggredire il reddito fisso. La classe impiegatizia nel pubblico impiego, specialmente nelle scuole statali, cresciuta a dismisura per il clientelismo politico imperante e che ora mostra la piaga dei precari addebitata inverosimilmente all’attuale governo, era quella particolarmente presa di mira ai fini fiscali, se non altro per la comodità e la certezza del prelievo. D’altra parte a posto assegnato, rimborso assicurato. Senonchè, perdurante questo andazzo, interviene un ictus imprevisto. La vittoria del centrodestra di Berlusconi, dovuta soprattutto ad una fisiologica reazione di quella parte dell’elettorato più consapevole della deriva cui andava incontro il Paese, sia sotto l’aspetto economico che sociale. Quella parte dell’elettorato, per fortuna determinante, stanca di vedere le scorribande di facinorosi che, sotto il tacito beneplacito della sinistra, mettevano a ferro e fuoco le città, bruciavano le bandiere di Israele, degli Stati Uniti e anche dell’Italia, in una sorta di connubio tra comunismo e anarchia (Blak Boc, No global, ex Br, ecc.), aveva finalmente alzato la testa. L’elettorato più qualificato era stanco di vedere i colossali sprechi, quali il terremoto dell’Irpinia, i miliardi di aiuti al sud, megaopere mai finite, introduzione di tickets sanitari, tasse per ogni più piccolo pretesto, cui si contrapponeva un enorme spreco anche in favolosi stipendi a megadirettori lottizzati in tutti i settori della vita pubblica. L’elettorato voleva un governo che governasse con il criterio manageriale e secondo il vecchio principio della diligenza del buon padre di famiglia, non solo, ma che non avesse in testa quegli interessi di partito che avevano portato ad una forma di inciucio e del do ut des, cioè mangia tu purchè mangi io. Questo nuovo e più corretto modo di governare ha trovato in Berlusconi il leader incontestabile. E questo lo sa la sinistra e quella parte di democrazia ipocrita, legata ancora al ricordo delle spartizioni di affari, oggi rappresentata dall’UDC, non per niente schieratasi a sinistra. Ma sono rimasti tutti i poteri forti sopraelencati in mano a quelli che oggi vengono definiti, in modo significativo e appropriato, “cattocomunisti”, i quali sommano al loro interno quanto di peggio c’era nei passati governi di centrosinistra. Di fronte a questa potenza di fuoco, che ha le armi tutte dalla sua parte, come ci si può difendere? Oggi assistiamo alla riorganizzazione delle vecchie forze politiche le quali sparano ad altezza d’uomo pur di tornare al potere, mentre la chiesa si schiera apertamente con loro. Assistiamo ad un fuoco infernale attraverso le vie più capillari: dai parroci di campagna al Vaticano, dai giornali locali (provate a leggere il “Gazzettino di Venezia” e “La nuova Venezia” di cui ogni locale pubblico ed ogni bar è fornito e mette a disposizione dei clienti), dalle incontrollate radio locali agli altrettanto incontrollati spettacoli di buffoni di corte che girano anche nei più sperduti paesi a carpire l’ingenuo e disinformato consenso dei più sprovveduti. Insomma, come disse la vecchia marchesa passeggiando su di un pavimento lucidato a specchio, “me la vedo brutta”. C’è in atto una vera e propria dittatura dell’opposizione che squilibra tutto il sistema socio-economico e politico italiano. A questo punto, un Presidente della repubblica super partes, a mio sommesso avviso, dovrebbe intervenire al fine di assicurare il rispetto dei risultati elettorali, democraticamente svolti e, soprattutto, per scongiurare una guerra civile di natura sociale, politica e, chissà, anche armata per la riconquista del potere da parte di una opposizione che dimostra di non disdegnare qualunque via pur di tornare a sedersi nelle poltrone di comando e che di fatto esercita una dittatura attraverso poteri forti occulti e meno occulti.
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