Sono stati quattro i presidenti del Consiglio ad avere avviato azioni penali e civili nei confronti della stampa. L’ultimo è Silvio Berlusconi, che con la causa a Repubblica e Unità ha scatenato giuristi, firmaioli di ogni estrazione e la Federazione della stampa che andrà in piazza il prossimo 3 ottobre contro la “grave intimidazione”. Ma prima di lui, in un discreto disinteresse generale, hanno fatto la stessa cosa tre premier di centro sinistra: Lamberto Dini, Massimo D’Alema e Romano Prodi. Quest’ultimo ha intimidito la stampa italiana con cause e querele sia da presidente del Consiglio sia da presidente della Ue. Non una rarità, perché la querela e la richiesta di super-risarcimenti danni è stata la chiave principale del rapporto fra gli esponenti della seconda Repubblica e i mezzi di informazione. Dal primo gennaio 1994 ad oggi sono state annunciate ben 6.745 cause penali e civili contro stampa e tv. La media è spaventosa: 449 all’anno, più di una al giorno. E si tratta solo di quelle annunciate con tono minaccioso attraverso un comunicato alle agenzie. Se si fa eccezione dei presidenti della Repubblica, tutte le più alte cariche dello Stato e delle sue istituzioni hanno reagito ad articoli di stampa che li mettevano in qualche imbarazzo non con una replica o eventuale rettifica, ma con l’annuncio dell’azione civile e penale. Lo hanno fatto 74 volte i ministri, quattro volte i presidenti delle Camere, 49 volte i sottosegretari, 159 volte i sindaci delle grandi città, i presidenti delle province e quelli delle Regioni. E lo sport è stato particolarmente in voga nel centrosinistra: appartengono a quello schieramento il 68% delle cause giudiziarie annunciate (contro Il Giornale, Libero, Il Tempo, L’Indipendente, Panorama, Il Corriere della Sera e perfino Repubblica). Le avessero vinte, il Pd oggi non sarebbe certo nei guai in cui si trova: la richiesta danni avanzata dai suoi esponenti e alleati (Antonio Di Pietro ha fatto la sua bella parte) ammonta a circa 312 milioni di euro sui 486 milioni che complessivamente si è provato a togliere al sistema dell’editoria italiana: 32 milioni di euro all’anno, una sorta di finanziamento giudiziario aggiuntivo al sistema politico.
Le scelte di Romano. Prima di Berlusconi il presidente del Consiglio Prodi aveva annunciato querela a Il Giornale il 22 marzo 2008 per un articolo sui doni dei capi di Stato a palazzo Chigi. Un anno e mezzo prima lo stesso Prodi, il 30 novembre 2006, aveva annunciato raffica di cause penali e civili contro tre quotidiani e sette persone fisiche per il caso Mitrokhin. Sempre Prodi, ma da presidente dell’Unione Europea, il 7 marzo 2004 aveva annunciato causa civile e penale nei confronti di Libero che aveva pubblicato il contenuto di un interrogatorio di Calisto Tanzi sui finanziamenti di Parmalat alla politica. Atteggiamento curioso, perché pochi mesi prima una vera e propria campagna stampa era partita in Inghilterra contro il presidente Ue, perfino citando presunti favoritismi nei confronti di una nipote. Prodi allora smentì, fece la morale ai giornali inglesi spiegando che «utilizzare la libertà di stampa per orchestrare campagne strumentali o diffamatorie quando e se il caso, è contrario ad ogni principio morale di etica professionale», ma disse di non avere intenzione di presentare «alcuna querela». Agli inglesi no. Ma agli italiani giù bastonate. Sempre da presidente Ue causa civile e penale a Il Giornale il 10 marzo 2000 per la pubblicazione di una intervista sul caso Sme. Stessa musica era suonata pochi mesi prima, il 13 dicembre 1999 nei confronti di Giornale, MF e Corriere della Sera per alcuni articoli sulle consulenze della Tav. Risale al 1999 la causa da 1,6 milioni di euro promossa dal premier Massimo D’Alema contro Giorgio Forattini per una vignetta non gradita. D’Alema da presidente dei Ds ha promosso azione civile e penale contro Il Foglio per un editoriale di Giuliano Ferrara sul caso Unipol (7 gennaio 2006) e prima il 19 agosto 2002 stessa azione contro Repubblica per una intervista a Maurizio Gasparri sulla sua barca. Più di recente, il 25 giugno 2009, ha anticipato Berlusconi facendo causa per un servizio sulle escort di sinistra. A Il Giornale.
Tocca a Lamberto. Nel luglio 1995 fu invece il premier Lamberto Dini a promuovere azione penale e civile nei confronti della Nazione, del Venerdì di Repubblica e del settimanale Epoca, coinvolgendo i direttori responsabili e quattro fotografi per la pubblicazione di foto rubate con il teleobiettivo durante le vacanze dei Dini in una villa di amici. Un caso che anticipa la querelle su villa Certosa. Non finisce più l’elenco dei ministri querelanti. I due campioni del centrosinistra sono stati Rosy Bindi (raffica di cause da titolare della Sanità sul caso Di Bella) e Francesco Rutelli. L’ex leader della Margherita dopo Di Pietro è il principe dei querelatori se si tiene conto anche del suo periodo da sindaco di Roma: 22 cause a giornali che avevano pubblicato interviste a suoi oppositori o inchieste sul suo operato. Perfino Carlo Azeglio Ciampi, poco prima di diventare presidente della Repubblica, il 15 marzo 1999, annunciò causa a La Stampa per un articolo di Augusto Minzolini dove si riportavano dichiarazioni di terzi sulla sua simpatia per la massoneria. Allora Ciampi era ministro del Tesoro, e a fianco aveva un altro campione della querela facile: Vincenzo Visco. Sul caso Enimont querelò da ministro delle Finanze Liberal il 6 agosto 1998 e Il Giornale il 3 dicembre 1998. Sui Monopoli di Stato fece causa a Panorama da ministro del Tesoro il 13 aprile 2001 e sulle irregolarità edilizie a Pantelleria fece causa a Libero il 3 agosto 2006 da viceministro dell’Economia. Anche nel centro destra ci sono stati due esponenti dalla querela più veloce del West: Maurizio Gasparri e Roberto Maroni. Ma non sempre nei confronti della stampa italiana. L’attuale ministro dell’Interno il 20 febbraio scorso ha infatti annunciato una causa nei confronti della stampa rumena che lo accusava di avere avuto collaboratori in nero. Dieci giorni prima aveva messo nel mirino Famiglia Cristiana per alcuni articoli sull’immigrazione clandestina. Gasparri invece ne ha annunciate in questi anni 18, nessuna però da ministro. Da presidente della Camera Luciano Violante fece causa a Giancarlo Perna e a Il Giornale il 29 giugno 1998 per un ritratto evidentemente non condiviso. Poco prima di andare via, il 3 aprile 2001 sempre Violante diede mandato ai legali della Camera di avviare causa civile e penale contro il Codacons e tutti i giornali che avevano riportato una analisi sul costo dei parlamentari. Ma i casi sono decine e decine. E talvolta si incrociano con le querele e le cause promosse giornalista contro giornalista e politico contro politico. La più famosa? Quella del 15 maggio 2008. Con Marco Travaglio che fa causa al vicedirettore di Repubblica, Giuseppe D’Avanzo. Annunciata, minacciata. Ma poi scomparsa nel nulla.
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