Predicatori d’odio islamici. Fiancheggiatori del terrorismo, predicatori di violenza, fondamentalisti di professione, leader spirituali sulla carta eppoi espulsi per decisione del governo e non di rado «salvati» da sentenze giudiziarie ambigue. Alcuni fanno esplicitamente il tifo per la sharia, altri applicano l’arte della dissimulazione, predicando pace ma diffondendo il jihad. La «mappa geopolitica» degli imam che hanno scelto il nostro Paese per diffondere il Corano nel senso più estremo, radicale, e violento del termine, è più estesa di quanto si pensi. Secondo una recente analisi dell’Antiterrorismo è soprattutto il Centro-nord l’area prescelta da coloro che esortano i fedeli alla caccia all’apostato dal pulpito della loro carica: siano essi predicatori patentati, imam fai-da te, guide spirituali o tabligh «itineranti». Si comincia dalla Lombardia «base strategica del proselitismo» (attenzionati 12 fra predicatori e centri religiosi) al Veneto (11), passando per il Piemonte (10 centri) dove a Torino e a Ivrea, per dire, «in nome della libertà di culto spesso si fomenta l’odio per l’Occidente». Scendendo per l’Emilia (10 centri), si arriva in Toscana (6) che con la Campania (8) e il Lazio (13) costituisce il serbatoio del credo estremo, sunnita, sciita ed anche wahhabita. E che dire dell’Umbria (3) o dalla costa marchigiana (12), oppure della Puglia (8 siti, escluso quello barese cui faceva riferimento l’imam Nassam Ayachi arrestato a maggio con l’accusa di voler colpire Parigi). La situazione d’allerta non cambia in Sicilia (14) e in Calabria (11): considerati a rischio, quali «siti sensibili», un bel numero fra moschee ufficiali e le tante non ufficiali, con relativi imam o pseudo-imam. In Piemonte l’attenzione degli investigatori ruota attorno all’entourage integralista di tre imam espulsi negli ultimi cinque anni, non ultimo quel Mohamed Kohaila, cacciato nel gennaio scorso perché incitava i musulmani a non integrarsi con ebrei e cristiani, un po’ come i colleghi Bouriki Bouchta e Abdul Qadir Fadallah Mamour etichettati come indesiderati. Sotto traccia s’indaga su un esposto della parlamentare Souad Sbai a proposito di imam itineranti che in Piemonte seminano odio, inneggiano alla rivolta contro il Papa, fondano associazioni benefiche per incassare soldi che puntualmente finiscono sui loro conti correnti personali, in Marocco. Gli esempi di investigazioni contro i sermoni d’odio del venerdì si sprecano. Vedi Bologna dove Nabil Bayoumi, già direttore della moschea An-Nur, sostiene da tempo che «in Israele non esistono civili e nemmeno i bambini sono innocenti (...) i kamikaze non sono tutti da scomunicare, specialmente quelli palestinesi (...) Osama Bin Laden dice cose condivisibili quando afferma che gli americani e i loro leccapiedi dei governi occidentali devono andarsene dai paesi arabi». In questo senso la situazione resta incandescente a Perugia e dintorni, dove l’arresto per terrorismo dell’imam marocchino di Ponte Felciano, Mostapha El Korchi, (che intimava gli adepti a «colpire i bambini italiani finché non esce sangue») non avrebbe debellato le istanze estremistiche segnalate in più luoghi di culto della regione. Ma è il Nord la «casa» naturale di chi semina risentimento per l’Occidente. Vedi Vicenza dove insieme a un collega imam attivo nel casertano, è finito indagato l’imam yemenita collegato a personaggi sospettati di contiguità al terrorismo della moschea veneziana di via dei Mille. Vedi anche un’inchiesta di Udine dove alcuni imam sono finiti in un’inchiesta sulla pedopornografia. Vedi soprattutto Roma, con il centro di Monte Antenne che fa da catalizzatore per la Lega musulmana mondiale (ubicato nella moschea più grande d’Europa) e che resta lo snodo di tutti i monitoraggi, per due ordini di motivi: perché da qui si ha sentore di quel che accade nei tanti luoghi di culto «invisibili» o meno battuti della Capitale, come la moschea di Centocelle gestita da Samir Khaldi, vicino ai Fratelli musulmani, sfiorata dalle indagini sulle bombe di Londra per aver ospitato in preghiera uno degli attentatori; e perché a Roma si sono consumati gli strappi più significativi con il «licenziamento» degli imam Abdel Samie Mahomud Ibrhim Moussa e Andulòwahab Hussein Gomaa, coinvolti in polemiche infinite per l’estremismo di certi sermoni in memoria dei martiri combattenti dell’islam. Da qui si è avuto un input diretto a tenere sotto controllo i centri di preghiera della Tuscia o di Latina dove operano oltre dieci imam appartenenti alle correnti islamiche più esagitate. Se più predicatori vengono anche arrestati per finalità di terrorismo a Firenze, Cremona, Desio, Milano, Varese, Brescia fino a Como, inutile parlare di chi è pronto a immolarsi per difendere l’onorabilità dei divulgatori del verbo di Maometto. A Ostia un’intercettazione la dice lunga del clima: «Gli imam sono troppo intransigenti», urla un pachistano a un suo connazionale. «Sbagli, gli imam sono come angeli», replica il secondo lanciandogli addosso acqua bollente, colpendolo con una spranga per poi finirlo con una coltellata alla gola. L’Antiterrorismo continua gli accertamenti sui seguaci dell’imam di Gallarate, Mohamed el Mahfoudi, accusato di intrattenere rapporti strettissimi con personaggi vicini a Bin Laden, condannato ma poi assolto in cassazione. Così come traccia diversi siti fra Napoli e Caserta, crocevia essenziali del fondamentalismo ispirato all’imam algerino Amar Sahounane che era solito intrattenere i fedeli con espressioni che giustificavano gli attentati agli italiani all’estero in risposte risposta alle crociate degli antichi cristiani. E se tanto si è detto sull’imam di Pordenone che avrebbe ispirato l’accoltellamento dell giovane Sanaa fidanzata con un giovane italiano, non si fermano le verifiche sulle «modalità d’esposizione» di alcuni imam. Gente tipo quell’imam del veronese, Wagdy Ghoein, che ripetutamente invitava i fedeli «a governare le donne come le pecore perché stupide come le bestie».
martedì 22 settembre 2009
Moschee
Terrorismo, le moschee dove si predica l’odio di Gian Marco Chiocci
Predicatori d’odio islamici. Fiancheggiatori del terrorismo, predicatori di violenza, fondamentalisti di professione, leader spirituali sulla carta eppoi espulsi per decisione del governo e non di rado «salvati» da sentenze giudiziarie ambigue. Alcuni fanno esplicitamente il tifo per la sharia, altri applicano l’arte della dissimulazione, predicando pace ma diffondendo il jihad. La «mappa geopolitica» degli imam che hanno scelto il nostro Paese per diffondere il Corano nel senso più estremo, radicale, e violento del termine, è più estesa di quanto si pensi. Secondo una recente analisi dell’Antiterrorismo è soprattutto il Centro-nord l’area prescelta da coloro che esortano i fedeli alla caccia all’apostato dal pulpito della loro carica: siano essi predicatori patentati, imam fai-da te, guide spirituali o tabligh «itineranti». Si comincia dalla Lombardia «base strategica del proselitismo» (attenzionati 12 fra predicatori e centri religiosi) al Veneto (11), passando per il Piemonte (10 centri) dove a Torino e a Ivrea, per dire, «in nome della libertà di culto spesso si fomenta l’odio per l’Occidente». Scendendo per l’Emilia (10 centri), si arriva in Toscana (6) che con la Campania (8) e il Lazio (13) costituisce il serbatoio del credo estremo, sunnita, sciita ed anche wahhabita. E che dire dell’Umbria (3) o dalla costa marchigiana (12), oppure della Puglia (8 siti, escluso quello barese cui faceva riferimento l’imam Nassam Ayachi arrestato a maggio con l’accusa di voler colpire Parigi). La situazione d’allerta non cambia in Sicilia (14) e in Calabria (11): considerati a rischio, quali «siti sensibili», un bel numero fra moschee ufficiali e le tante non ufficiali, con relativi imam o pseudo-imam. In Piemonte l’attenzione degli investigatori ruota attorno all’entourage integralista di tre imam espulsi negli ultimi cinque anni, non ultimo quel Mohamed Kohaila, cacciato nel gennaio scorso perché incitava i musulmani a non integrarsi con ebrei e cristiani, un po’ come i colleghi Bouriki Bouchta e Abdul Qadir Fadallah Mamour etichettati come indesiderati. Sotto traccia s’indaga su un esposto della parlamentare Souad Sbai a proposito di imam itineranti che in Piemonte seminano odio, inneggiano alla rivolta contro il Papa, fondano associazioni benefiche per incassare soldi che puntualmente finiscono sui loro conti correnti personali, in Marocco. Gli esempi di investigazioni contro i sermoni d’odio del venerdì si sprecano. Vedi Bologna dove Nabil Bayoumi, già direttore della moschea An-Nur, sostiene da tempo che «in Israele non esistono civili e nemmeno i bambini sono innocenti (...) i kamikaze non sono tutti da scomunicare, specialmente quelli palestinesi (...) Osama Bin Laden dice cose condivisibili quando afferma che gli americani e i loro leccapiedi dei governi occidentali devono andarsene dai paesi arabi». In questo senso la situazione resta incandescente a Perugia e dintorni, dove l’arresto per terrorismo dell’imam marocchino di Ponte Felciano, Mostapha El Korchi, (che intimava gli adepti a «colpire i bambini italiani finché non esce sangue») non avrebbe debellato le istanze estremistiche segnalate in più luoghi di culto della regione. Ma è il Nord la «casa» naturale di chi semina risentimento per l’Occidente. Vedi Vicenza dove insieme a un collega imam attivo nel casertano, è finito indagato l’imam yemenita collegato a personaggi sospettati di contiguità al terrorismo della moschea veneziana di via dei Mille. Vedi anche un’inchiesta di Udine dove alcuni imam sono finiti in un’inchiesta sulla pedopornografia. Vedi soprattutto Roma, con il centro di Monte Antenne che fa da catalizzatore per la Lega musulmana mondiale (ubicato nella moschea più grande d’Europa) e che resta lo snodo di tutti i monitoraggi, per due ordini di motivi: perché da qui si ha sentore di quel che accade nei tanti luoghi di culto «invisibili» o meno battuti della Capitale, come la moschea di Centocelle gestita da Samir Khaldi, vicino ai Fratelli musulmani, sfiorata dalle indagini sulle bombe di Londra per aver ospitato in preghiera uno degli attentatori; e perché a Roma si sono consumati gli strappi più significativi con il «licenziamento» degli imam Abdel Samie Mahomud Ibrhim Moussa e Andulòwahab Hussein Gomaa, coinvolti in polemiche infinite per l’estremismo di certi sermoni in memoria dei martiri combattenti dell’islam. Da qui si è avuto un input diretto a tenere sotto controllo i centri di preghiera della Tuscia o di Latina dove operano oltre dieci imam appartenenti alle correnti islamiche più esagitate. Se più predicatori vengono anche arrestati per finalità di terrorismo a Firenze, Cremona, Desio, Milano, Varese, Brescia fino a Como, inutile parlare di chi è pronto a immolarsi per difendere l’onorabilità dei divulgatori del verbo di Maometto. A Ostia un’intercettazione la dice lunga del clima: «Gli imam sono troppo intransigenti», urla un pachistano a un suo connazionale. «Sbagli, gli imam sono come angeli», replica il secondo lanciandogli addosso acqua bollente, colpendolo con una spranga per poi finirlo con una coltellata alla gola. L’Antiterrorismo continua gli accertamenti sui seguaci dell’imam di Gallarate, Mohamed el Mahfoudi, accusato di intrattenere rapporti strettissimi con personaggi vicini a Bin Laden, condannato ma poi assolto in cassazione. Così come traccia diversi siti fra Napoli e Caserta, crocevia essenziali del fondamentalismo ispirato all’imam algerino Amar Sahounane che era solito intrattenere i fedeli con espressioni che giustificavano gli attentati agli italiani all’estero in risposte risposta alle crociate degli antichi cristiani. E se tanto si è detto sull’imam di Pordenone che avrebbe ispirato l’accoltellamento dell giovane Sanaa fidanzata con un giovane italiano, non si fermano le verifiche sulle «modalità d’esposizione» di alcuni imam. Gente tipo quell’imam del veronese, Wagdy Ghoein, che ripetutamente invitava i fedeli «a governare le donne come le pecore perché stupide come le bestie».
Predicatori d’odio islamici. Fiancheggiatori del terrorismo, predicatori di violenza, fondamentalisti di professione, leader spirituali sulla carta eppoi espulsi per decisione del governo e non di rado «salvati» da sentenze giudiziarie ambigue. Alcuni fanno esplicitamente il tifo per la sharia, altri applicano l’arte della dissimulazione, predicando pace ma diffondendo il jihad. La «mappa geopolitica» degli imam che hanno scelto il nostro Paese per diffondere il Corano nel senso più estremo, radicale, e violento del termine, è più estesa di quanto si pensi. Secondo una recente analisi dell’Antiterrorismo è soprattutto il Centro-nord l’area prescelta da coloro che esortano i fedeli alla caccia all’apostato dal pulpito della loro carica: siano essi predicatori patentati, imam fai-da te, guide spirituali o tabligh «itineranti». Si comincia dalla Lombardia «base strategica del proselitismo» (attenzionati 12 fra predicatori e centri religiosi) al Veneto (11), passando per il Piemonte (10 centri) dove a Torino e a Ivrea, per dire, «in nome della libertà di culto spesso si fomenta l’odio per l’Occidente». Scendendo per l’Emilia (10 centri), si arriva in Toscana (6) che con la Campania (8) e il Lazio (13) costituisce il serbatoio del credo estremo, sunnita, sciita ed anche wahhabita. E che dire dell’Umbria (3) o dalla costa marchigiana (12), oppure della Puglia (8 siti, escluso quello barese cui faceva riferimento l’imam Nassam Ayachi arrestato a maggio con l’accusa di voler colpire Parigi). La situazione d’allerta non cambia in Sicilia (14) e in Calabria (11): considerati a rischio, quali «siti sensibili», un bel numero fra moschee ufficiali e le tante non ufficiali, con relativi imam o pseudo-imam. In Piemonte l’attenzione degli investigatori ruota attorno all’entourage integralista di tre imam espulsi negli ultimi cinque anni, non ultimo quel Mohamed Kohaila, cacciato nel gennaio scorso perché incitava i musulmani a non integrarsi con ebrei e cristiani, un po’ come i colleghi Bouriki Bouchta e Abdul Qadir Fadallah Mamour etichettati come indesiderati. Sotto traccia s’indaga su un esposto della parlamentare Souad Sbai a proposito di imam itineranti che in Piemonte seminano odio, inneggiano alla rivolta contro il Papa, fondano associazioni benefiche per incassare soldi che puntualmente finiscono sui loro conti correnti personali, in Marocco. Gli esempi di investigazioni contro i sermoni d’odio del venerdì si sprecano. Vedi Bologna dove Nabil Bayoumi, già direttore della moschea An-Nur, sostiene da tempo che «in Israele non esistono civili e nemmeno i bambini sono innocenti (...) i kamikaze non sono tutti da scomunicare, specialmente quelli palestinesi (...) Osama Bin Laden dice cose condivisibili quando afferma che gli americani e i loro leccapiedi dei governi occidentali devono andarsene dai paesi arabi». In questo senso la situazione resta incandescente a Perugia e dintorni, dove l’arresto per terrorismo dell’imam marocchino di Ponte Felciano, Mostapha El Korchi, (che intimava gli adepti a «colpire i bambini italiani finché non esce sangue») non avrebbe debellato le istanze estremistiche segnalate in più luoghi di culto della regione. Ma è il Nord la «casa» naturale di chi semina risentimento per l’Occidente. Vedi Vicenza dove insieme a un collega imam attivo nel casertano, è finito indagato l’imam yemenita collegato a personaggi sospettati di contiguità al terrorismo della moschea veneziana di via dei Mille. Vedi anche un’inchiesta di Udine dove alcuni imam sono finiti in un’inchiesta sulla pedopornografia. Vedi soprattutto Roma, con il centro di Monte Antenne che fa da catalizzatore per la Lega musulmana mondiale (ubicato nella moschea più grande d’Europa) e che resta lo snodo di tutti i monitoraggi, per due ordini di motivi: perché da qui si ha sentore di quel che accade nei tanti luoghi di culto «invisibili» o meno battuti della Capitale, come la moschea di Centocelle gestita da Samir Khaldi, vicino ai Fratelli musulmani, sfiorata dalle indagini sulle bombe di Londra per aver ospitato in preghiera uno degli attentatori; e perché a Roma si sono consumati gli strappi più significativi con il «licenziamento» degli imam Abdel Samie Mahomud Ibrhim Moussa e Andulòwahab Hussein Gomaa, coinvolti in polemiche infinite per l’estremismo di certi sermoni in memoria dei martiri combattenti dell’islam. Da qui si è avuto un input diretto a tenere sotto controllo i centri di preghiera della Tuscia o di Latina dove operano oltre dieci imam appartenenti alle correnti islamiche più esagitate. Se più predicatori vengono anche arrestati per finalità di terrorismo a Firenze, Cremona, Desio, Milano, Varese, Brescia fino a Como, inutile parlare di chi è pronto a immolarsi per difendere l’onorabilità dei divulgatori del verbo di Maometto. A Ostia un’intercettazione la dice lunga del clima: «Gli imam sono troppo intransigenti», urla un pachistano a un suo connazionale. «Sbagli, gli imam sono come angeli», replica il secondo lanciandogli addosso acqua bollente, colpendolo con una spranga per poi finirlo con una coltellata alla gola. L’Antiterrorismo continua gli accertamenti sui seguaci dell’imam di Gallarate, Mohamed el Mahfoudi, accusato di intrattenere rapporti strettissimi con personaggi vicini a Bin Laden, condannato ma poi assolto in cassazione. Così come traccia diversi siti fra Napoli e Caserta, crocevia essenziali del fondamentalismo ispirato all’imam algerino Amar Sahounane che era solito intrattenere i fedeli con espressioni che giustificavano gli attentati agli italiani all’estero in risposte risposta alle crociate degli antichi cristiani. E se tanto si è detto sull’imam di Pordenone che avrebbe ispirato l’accoltellamento dell giovane Sanaa fidanzata con un giovane italiano, non si fermano le verifiche sulle «modalità d’esposizione» di alcuni imam. Gente tipo quell’imam del veronese, Wagdy Ghoein, che ripetutamente invitava i fedeli «a governare le donne come le pecore perché stupide come le bestie».
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