Sanaa era già stata preparata, con il rito funebre della purificazione. L’imam di Pordenone, Mohammed Ouatik, ha autorizzato chi volesse a vedere la salma, prima di essere traslata in Marocco, purchè non fosse toccata.Sul canale Sky-news scorrevano le immagini dell’incontro tra l’imam ed il fidanzato. Il primo, Mohammed Ouatik, osservante musulmano (e ci mancherebbe!); il secondo, Massimo De Biasio, un tipico ragazzo secolarizzato, cristiano a chiacchiere, cui è probabilmente ignoto persino il nome della propria Parrocchia. L’imam, ha scaltramente rimproverato (sic!) il ragazzo, rinnovando quell’accusa strisciante di essere il vero responsabile della morte della ragazza. “Perché non siete venuti da me?! Avremmo potuto parlarne e risolvere la questione”… Certo, magari imponendo a De Biasio di pronunciare la “Shahada”, rito di conversione all’islam. Celebrazione già sbertucciata da più di 50.000 italiani per motivi matrimoniali. Gli stessi musulmani non li considerano dei loro, ma solo degli opportunisti. Ma, c’è un però. Sanaa del “prete musulmano” (cioè dell’imam), non voleva saperne proprio.Lei voleva vivere come le sue compagne. Al diavolo la religione, evviva la donna emancipata. Risultato? Un sudario, un posto in terra marocchina, capo rivolto rigorosamente verso la Mecca, un padre in galera, una madre affranta che dirà fino alla noia che il marito ha fatto bene, un vespaio politico lasciato dietro le spalle. Quella del rifiuto di Sanaa di dover pagare un “pizzo religioso” è una variabile che manda a qual paese la solita accusa di razzismo, frequentemente sulla bocca di signore come Dacia Valent o Igiaba Scegu. Tutt’e due somale, tutt’e due nauseate dagli italiani e dalla Chiesa, entrambe mangiapreti ma lecca-imam, tutt’e due aggrappate all’italico suolo (sai, a Mogadiscio di questi tempi i fratelli musulmani sono un po’ misogini). Così Igiaba, dalle mistiche pagine dell’Unità, tenta di emulare Dacia Valent. Prima precisa che Sanaa “era italianissima, ibrida, in mezzo alle culture, ai mondi”. Per poi vomitare un passaggio velenoso: “Saana è morta probabilmente per mano del padre, attendiamo le indagini per affermarlo. Ma l’Italia con la sua bassa considerazione delle donne ha dato una mano alla mano assassina”. Ossignore, dunque la colpa è degli italioti. Che, detto per inciso, dovrebbero pure scusarsi con il mondo musulmano. Razzisti, gli italiani! Incapaci di prendere esempio dal sublime trattamento riservato alle donne islamiche in terra marocchina, sudanese, saudita, iraniana, yemenita o, vieppiù, somala. Posti dove ogni diverbio familiare viene risolto con “religiosa discrezione”, come da noi, ai tempi del Papa re. Cosa vuol dire “integrarsi” nel paese d’accoglienza? Apparire? Assumerne i costumi? Impararne bene la lingua? Accettarne le leggi? Abiurare il proprio credo? Nel giro di tre generazioni il 99% degli emigranti italiani si confusero nelle società di accoglienza. E così fecero la maggior parte degli europei. Perché non succede con gli immigrati islamici in Francia e Gran Bretagna? Eppure lì siamo sovente anche alla quarta generazione… Forse perché essi, come immigrati, vivono ai margini della società civile? Ma suvvia! Non mi venite a dire che gli emigranti italiani ed irlandesi fossero accolti con la fanfara, godendo di “corsie preferenziali” o dell’appoggio di editoriali ad hoc, come il domenicale “Metropoli”. Ma parlare di Islam è un tabù ineludibile. Disquisire sulla religione musulmana, con il suo complesso coacervo di norme religiose, etiche e giuridiche, NON E’ salutare. Si potrebbe essere additati come “untori” del famigerato virus del razzismo. Il deputato finiano Fabio Granata, assertore della proposta di dimezzamento del tempo necessario per acquisire la cittadinanza italiana, starà riflettendo. Conscio che questo caso ha lo sgradevole difetto di riaprire le ferite di quelli precedenti. Perché la cronaca ci ricorda che lo sgozzatore, El Katawi Dafani, 45 anni, gran lavoratore, due figlie morigerate, da tempo viveva nello Stivale. Ed era così anche per il padre di Hijna Saleem (stessa fine di Sanaa, ma nell’anno Domini 2006).Ma di reale multiculturalismo: nulla. L’unico multiculturalismo sinora perseguito è quello a “senso unico”, reclamizzato da “Metropoli”. Le coppie miste con i musulmani funzionano (come no, due su dieci, entro i cinque anni), purchè la conversione sia “verso l’islam” e non “da esso”. Non rammento una pagina pubblicata, con pomposa saccenza, che riporti un matrimonio misto con la conversione di un musulmano verso un’altra fede. Ed i frutti questi sono. Velenosi. Se un volpone politico come il Primo ministro turco Erdogan non ha esitato a rischiare, il 10 febbraio dello scorso anno, l’incidente diplomatico con la Germania, arringando i turchi immigrati a non confondersi con la plebe tedesca, qualche riserva sul “facere” del mondo musulmano avrà pur ragion d’essere. In quel giorno, Erdogan, dinanzi a circa 15.000 “turco-tedeschi” elucubrò in modo sofistico fra “integrazione” ed “assimilazione”. Invitando i suoi compatrioti emigrati a perseguire la prima, rifiutando categoricamente la seconda. Ma sono moltissimi i nipotini del Profeta che, per non scontentare nessuno, hanno spesso preso la scorciatoia di non perseguire né l’una, né l’altra opportunità.Quanto piuttosto pretendere di islamizzare, il più in fretta possibile, il territorio occupato. Favole? Chiedere alle svedesi di Malmoe (300.000 abitanti, 38% musulmani), dove nelle piscine è da tempo sparito il topless. Chiedere agli olandesi dove, nella Amsterdam delle luci rosse, il pestaggio delle coppie omosessuali è sentito quale dovere civico da parte dei giovani immigrati musulmani. Chiedere agli inglesi, dove il 30% degli islamici con passaporto di Sua Maestà, preferirebbe vivere sotto la sharia piuttosto che sotto l’ordinamento inglese. Dove il 68% dei musulmani ritiene giusto condannare gli inglesi che insultano l’Islam, mentre l’81% si sente membro della Umma piuttosto che cittadino britannico. Senza contare che, casi come quelli di Sanaa ed Hijna, hanno trovato degne repliche negli Stati dell’U.E.
mercoledì 23 settembre 2009
Riflessioni
I mostri del multiculturalismo asimmetrico di Maurizio De Santis
Sanaa era già stata preparata, con il rito funebre della purificazione. L’imam di Pordenone, Mohammed Ouatik, ha autorizzato chi volesse a vedere la salma, prima di essere traslata in Marocco, purchè non fosse toccata.Sul canale Sky-news scorrevano le immagini dell’incontro tra l’imam ed il fidanzato. Il primo, Mohammed Ouatik, osservante musulmano (e ci mancherebbe!); il secondo, Massimo De Biasio, un tipico ragazzo secolarizzato, cristiano a chiacchiere, cui è probabilmente ignoto persino il nome della propria Parrocchia. L’imam, ha scaltramente rimproverato (sic!) il ragazzo, rinnovando quell’accusa strisciante di essere il vero responsabile della morte della ragazza. “Perché non siete venuti da me?! Avremmo potuto parlarne e risolvere la questione”… Certo, magari imponendo a De Biasio di pronunciare la “Shahada”, rito di conversione all’islam. Celebrazione già sbertucciata da più di 50.000 italiani per motivi matrimoniali. Gli stessi musulmani non li considerano dei loro, ma solo degli opportunisti. Ma, c’è un però. Sanaa del “prete musulmano” (cioè dell’imam), non voleva saperne proprio.Lei voleva vivere come le sue compagne. Al diavolo la religione, evviva la donna emancipata. Risultato? Un sudario, un posto in terra marocchina, capo rivolto rigorosamente verso la Mecca, un padre in galera, una madre affranta che dirà fino alla noia che il marito ha fatto bene, un vespaio politico lasciato dietro le spalle. Quella del rifiuto di Sanaa di dover pagare un “pizzo religioso” è una variabile che manda a qual paese la solita accusa di razzismo, frequentemente sulla bocca di signore come Dacia Valent o Igiaba Scegu. Tutt’e due somale, tutt’e due nauseate dagli italiani e dalla Chiesa, entrambe mangiapreti ma lecca-imam, tutt’e due aggrappate all’italico suolo (sai, a Mogadiscio di questi tempi i fratelli musulmani sono un po’ misogini). Così Igiaba, dalle mistiche pagine dell’Unità, tenta di emulare Dacia Valent. Prima precisa che Sanaa “era italianissima, ibrida, in mezzo alle culture, ai mondi”. Per poi vomitare un passaggio velenoso: “Saana è morta probabilmente per mano del padre, attendiamo le indagini per affermarlo. Ma l’Italia con la sua bassa considerazione delle donne ha dato una mano alla mano assassina”. Ossignore, dunque la colpa è degli italioti. Che, detto per inciso, dovrebbero pure scusarsi con il mondo musulmano. Razzisti, gli italiani! Incapaci di prendere esempio dal sublime trattamento riservato alle donne islamiche in terra marocchina, sudanese, saudita, iraniana, yemenita o, vieppiù, somala. Posti dove ogni diverbio familiare viene risolto con “religiosa discrezione”, come da noi, ai tempi del Papa re. Cosa vuol dire “integrarsi” nel paese d’accoglienza? Apparire? Assumerne i costumi? Impararne bene la lingua? Accettarne le leggi? Abiurare il proprio credo? Nel giro di tre generazioni il 99% degli emigranti italiani si confusero nelle società di accoglienza. E così fecero la maggior parte degli europei. Perché non succede con gli immigrati islamici in Francia e Gran Bretagna? Eppure lì siamo sovente anche alla quarta generazione… Forse perché essi, come immigrati, vivono ai margini della società civile? Ma suvvia! Non mi venite a dire che gli emigranti italiani ed irlandesi fossero accolti con la fanfara, godendo di “corsie preferenziali” o dell’appoggio di editoriali ad hoc, come il domenicale “Metropoli”. Ma parlare di Islam è un tabù ineludibile. Disquisire sulla religione musulmana, con il suo complesso coacervo di norme religiose, etiche e giuridiche, NON E’ salutare. Si potrebbe essere additati come “untori” del famigerato virus del razzismo. Il deputato finiano Fabio Granata, assertore della proposta di dimezzamento del tempo necessario per acquisire la cittadinanza italiana, starà riflettendo. Conscio che questo caso ha lo sgradevole difetto di riaprire le ferite di quelli precedenti. Perché la cronaca ci ricorda che lo sgozzatore, El Katawi Dafani, 45 anni, gran lavoratore, due figlie morigerate, da tempo viveva nello Stivale. Ed era così anche per il padre di Hijna Saleem (stessa fine di Sanaa, ma nell’anno Domini 2006).Ma di reale multiculturalismo: nulla. L’unico multiculturalismo sinora perseguito è quello a “senso unico”, reclamizzato da “Metropoli”. Le coppie miste con i musulmani funzionano (come no, due su dieci, entro i cinque anni), purchè la conversione sia “verso l’islam” e non “da esso”. Non rammento una pagina pubblicata, con pomposa saccenza, che riporti un matrimonio misto con la conversione di un musulmano verso un’altra fede. Ed i frutti questi sono. Velenosi. Se un volpone politico come il Primo ministro turco Erdogan non ha esitato a rischiare, il 10 febbraio dello scorso anno, l’incidente diplomatico con la Germania, arringando i turchi immigrati a non confondersi con la plebe tedesca, qualche riserva sul “facere” del mondo musulmano avrà pur ragion d’essere. In quel giorno, Erdogan, dinanzi a circa 15.000 “turco-tedeschi” elucubrò in modo sofistico fra “integrazione” ed “assimilazione”. Invitando i suoi compatrioti emigrati a perseguire la prima, rifiutando categoricamente la seconda. Ma sono moltissimi i nipotini del Profeta che, per non scontentare nessuno, hanno spesso preso la scorciatoia di non perseguire né l’una, né l’altra opportunità.Quanto piuttosto pretendere di islamizzare, il più in fretta possibile, il territorio occupato. Favole? Chiedere alle svedesi di Malmoe (300.000 abitanti, 38% musulmani), dove nelle piscine è da tempo sparito il topless. Chiedere agli olandesi dove, nella Amsterdam delle luci rosse, il pestaggio delle coppie omosessuali è sentito quale dovere civico da parte dei giovani immigrati musulmani. Chiedere agli inglesi, dove il 30% degli islamici con passaporto di Sua Maestà, preferirebbe vivere sotto la sharia piuttosto che sotto l’ordinamento inglese. Dove il 68% dei musulmani ritiene giusto condannare gli inglesi che insultano l’Islam, mentre l’81% si sente membro della Umma piuttosto che cittadino britannico. Senza contare che, casi come quelli di Sanaa ed Hijna, hanno trovato degne repliche negli Stati dell’U.E.
Sanaa era già stata preparata, con il rito funebre della purificazione. L’imam di Pordenone, Mohammed Ouatik, ha autorizzato chi volesse a vedere la salma, prima di essere traslata in Marocco, purchè non fosse toccata.Sul canale Sky-news scorrevano le immagini dell’incontro tra l’imam ed il fidanzato. Il primo, Mohammed Ouatik, osservante musulmano (e ci mancherebbe!); il secondo, Massimo De Biasio, un tipico ragazzo secolarizzato, cristiano a chiacchiere, cui è probabilmente ignoto persino il nome della propria Parrocchia. L’imam, ha scaltramente rimproverato (sic!) il ragazzo, rinnovando quell’accusa strisciante di essere il vero responsabile della morte della ragazza. “Perché non siete venuti da me?! Avremmo potuto parlarne e risolvere la questione”… Certo, magari imponendo a De Biasio di pronunciare la “Shahada”, rito di conversione all’islam. Celebrazione già sbertucciata da più di 50.000 italiani per motivi matrimoniali. Gli stessi musulmani non li considerano dei loro, ma solo degli opportunisti. Ma, c’è un però. Sanaa del “prete musulmano” (cioè dell’imam), non voleva saperne proprio.Lei voleva vivere come le sue compagne. Al diavolo la religione, evviva la donna emancipata. Risultato? Un sudario, un posto in terra marocchina, capo rivolto rigorosamente verso la Mecca, un padre in galera, una madre affranta che dirà fino alla noia che il marito ha fatto bene, un vespaio politico lasciato dietro le spalle. Quella del rifiuto di Sanaa di dover pagare un “pizzo religioso” è una variabile che manda a qual paese la solita accusa di razzismo, frequentemente sulla bocca di signore come Dacia Valent o Igiaba Scegu. Tutt’e due somale, tutt’e due nauseate dagli italiani e dalla Chiesa, entrambe mangiapreti ma lecca-imam, tutt’e due aggrappate all’italico suolo (sai, a Mogadiscio di questi tempi i fratelli musulmani sono un po’ misogini). Così Igiaba, dalle mistiche pagine dell’Unità, tenta di emulare Dacia Valent. Prima precisa che Sanaa “era italianissima, ibrida, in mezzo alle culture, ai mondi”. Per poi vomitare un passaggio velenoso: “Saana è morta probabilmente per mano del padre, attendiamo le indagini per affermarlo. Ma l’Italia con la sua bassa considerazione delle donne ha dato una mano alla mano assassina”. Ossignore, dunque la colpa è degli italioti. Che, detto per inciso, dovrebbero pure scusarsi con il mondo musulmano. Razzisti, gli italiani! Incapaci di prendere esempio dal sublime trattamento riservato alle donne islamiche in terra marocchina, sudanese, saudita, iraniana, yemenita o, vieppiù, somala. Posti dove ogni diverbio familiare viene risolto con “religiosa discrezione”, come da noi, ai tempi del Papa re. Cosa vuol dire “integrarsi” nel paese d’accoglienza? Apparire? Assumerne i costumi? Impararne bene la lingua? Accettarne le leggi? Abiurare il proprio credo? Nel giro di tre generazioni il 99% degli emigranti italiani si confusero nelle società di accoglienza. E così fecero la maggior parte degli europei. Perché non succede con gli immigrati islamici in Francia e Gran Bretagna? Eppure lì siamo sovente anche alla quarta generazione… Forse perché essi, come immigrati, vivono ai margini della società civile? Ma suvvia! Non mi venite a dire che gli emigranti italiani ed irlandesi fossero accolti con la fanfara, godendo di “corsie preferenziali” o dell’appoggio di editoriali ad hoc, come il domenicale “Metropoli”. Ma parlare di Islam è un tabù ineludibile. Disquisire sulla religione musulmana, con il suo complesso coacervo di norme religiose, etiche e giuridiche, NON E’ salutare. Si potrebbe essere additati come “untori” del famigerato virus del razzismo. Il deputato finiano Fabio Granata, assertore della proposta di dimezzamento del tempo necessario per acquisire la cittadinanza italiana, starà riflettendo. Conscio che questo caso ha lo sgradevole difetto di riaprire le ferite di quelli precedenti. Perché la cronaca ci ricorda che lo sgozzatore, El Katawi Dafani, 45 anni, gran lavoratore, due figlie morigerate, da tempo viveva nello Stivale. Ed era così anche per il padre di Hijna Saleem (stessa fine di Sanaa, ma nell’anno Domini 2006).Ma di reale multiculturalismo: nulla. L’unico multiculturalismo sinora perseguito è quello a “senso unico”, reclamizzato da “Metropoli”. Le coppie miste con i musulmani funzionano (come no, due su dieci, entro i cinque anni), purchè la conversione sia “verso l’islam” e non “da esso”. Non rammento una pagina pubblicata, con pomposa saccenza, che riporti un matrimonio misto con la conversione di un musulmano verso un’altra fede. Ed i frutti questi sono. Velenosi. Se un volpone politico come il Primo ministro turco Erdogan non ha esitato a rischiare, il 10 febbraio dello scorso anno, l’incidente diplomatico con la Germania, arringando i turchi immigrati a non confondersi con la plebe tedesca, qualche riserva sul “facere” del mondo musulmano avrà pur ragion d’essere. In quel giorno, Erdogan, dinanzi a circa 15.000 “turco-tedeschi” elucubrò in modo sofistico fra “integrazione” ed “assimilazione”. Invitando i suoi compatrioti emigrati a perseguire la prima, rifiutando categoricamente la seconda. Ma sono moltissimi i nipotini del Profeta che, per non scontentare nessuno, hanno spesso preso la scorciatoia di non perseguire né l’una, né l’altra opportunità.Quanto piuttosto pretendere di islamizzare, il più in fretta possibile, il territorio occupato. Favole? Chiedere alle svedesi di Malmoe (300.000 abitanti, 38% musulmani), dove nelle piscine è da tempo sparito il topless. Chiedere agli olandesi dove, nella Amsterdam delle luci rosse, il pestaggio delle coppie omosessuali è sentito quale dovere civico da parte dei giovani immigrati musulmani. Chiedere agli inglesi, dove il 30% degli islamici con passaporto di Sua Maestà, preferirebbe vivere sotto la sharia piuttosto che sotto l’ordinamento inglese. Dove il 68% dei musulmani ritiene giusto condannare gli inglesi che insultano l’Islam, mentre l’81% si sente membro della Umma piuttosto che cittadino britannico. Senza contare che, casi come quelli di Sanaa ed Hijna, hanno trovato degne repliche negli Stati dell’U.E.
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