La mamma di Hina e la mamma di Sanaa l’hanno detto entrambe: che assolvono i loro mariti assassini, che li perdonano, che sono state le ragazze a perdere la testa, a comportarsi male. Avranno anche sbagliato le povere ragazze, perché andare a vivere con il fidanzato sarà certo una vergogna per una famiglia musulmana, un po’ come lo era, fino a 50, 40 anni fa, o anche meno, per una famiglia italiana, ma ammazzarle per questo è imperdonabile, soprattutto da parte di una madre che, per istinto, per cultura antica e immutabile dovrebbe proteggere, sostenere, difendere i figli anche contro i loro padri, se occorre. Non può essere vero che le madri comprendono chi ha sgozzato le loro ragazze come pecore, lo diranno perché glielo hanno messo in bocca, perché le hanno convinte o costrette, lo diranno per paura perché gli assassini un giorno usciranno di prigione e perché intorno ci sono cognati, fratelli e zii, uomini del clan che le sorvegliano. Ma non può essere vero che perdonano per altri motivi ancora, più prosaici ma non meno drammatici: finendo in prigione per anni e anni, questi due uomini hanno gettato sul lastrico le loro famiglie, privandole dello stipendio che le faceva vivere. E se dopo tutto fosse tragicamente vero, che davvero voi infelici madri di Hina e di Sanaa scegliete di stare con gli assassini, non dovete dirlo non solo perché è quel che vogliono sentire coloro che soffiano sul fuoco dello scontro di civiltà, ma anche perché risulta incomprensibile e insopportabile a noi tutti e perché rischia di seminare il dubbio che le distanze culturali siano troppo, troppo grandi. Storici e sociologi ci hanno sempre assicurato che saranno le donne islamiche a gettare il ponte sul fossato che ancora ci divide, noi e loro, perché prima o poi si vorranno scrollare di dosso l’antica regola crudele di cieca sottomissione agli uomini di casa, agli atavici precetti tribali, al Corano reinterpretato secondo il capriccio del più forte. Nonostante le dichiarazioni delle due infelici madri vorremmo continuare a credere che non potrà essere che così.
"Souad Sbai: 'Perchè la donna ora parla per bocca di un imam? '" di Souad Sbai
L'associazione nazionale D.iRe Donne in Rete contro la violenza, che raccoglie la maggior parte dei centri antiviolenza italiani, esprime "sdegno e dolore per la tragica morte di Sanaa". "Pensiamo che Sanaa non sia stata accoltellata dal padre perchè il suo ragazzo era cattolico e italiano, ma, come tante altre donne uccise, italiane e straniere, Sanaa abbia pagato con la vita il prezzo del suo amore per la libertà femminile". E mentre da oggi la madre di Sanaa è "indesiderata" nel comune di Azzano Decimo (Pordenone), come ha affermato il sindaco del comune Enzo Bortolotti, dubbi sulla genuinità delle sue dichiarazioni sono sollevati dall'onorevole Souad Sbai, presidentre dell'Acmid Donna (Associazione comunità donne marocchine in Italia). Attraverso il legale dell'associazione, l'avvocato Loredana Gemelli, la Sbai solleva una serie di interrogativi arrivando a chiedere un interessamento della magistratura. "Perchè la signora Fatna El Kataoui, madre di Sanaa, non si trova a casa propria, ma nell'abitazione dell'imam di pordenone? Chi è l'imam di Pordenone?". "Perchè rilascia in prima persona dichiarazioni di perdono per il marito, suo connazionale, da parte della signora? Come mai la signora non viene lasciata libera di comunicare con la stampa? Forse perchè è tenuta in ostaggio nel tentativo di imporle il silenzio?".
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