Si faccia un sondaggio, un’inchiesta seria tra gli immigrati. Lo si faccia in tempo di crisi e in tempo di vacche grasse, e gli si chieda: preferisci la cittadinanza automatica per chi nasce in Italia, il diritto a chiederla dopo 5 anni e non 10; oppure preferisci la garanzia che se sei disoccupato, ti si paghi la disoccupazione nella banca o all’ufficio accanto a casa tua nel paesino da cui vieni e così per la pensione? Insomma, la tua ambizione è quella di diventare cittadino italiano, oppure di vivere in Italia per quanto ti serve a lavorare e poi tornare a goderti la vecchiaia e la pensione a casa tua, dove hai le radici? Lo si faccia. Si avranno delle sorprese e si uscirà dalla incredibile cappa ideologica, sentimentale (e strumentale) che ha il dibattito sulla cittadinanza – come tutto quanto attiene all’immigrazione - nel nostro paese. Lo si faccia, e ci si accorgerà che gli immigrati sanno benissimo cos’è un volo low-cost, che hanno tutti il cellulare, che in proporzioni incredibili si spostano rapidamente da un paese d’Europa all’altro. Si scoprirà, insomma, che sanno perfettamente far uso della globalizzazione, che tra loro e i nostri minatori di Marcinelle (a loro è ferma l’analisi della sinistra italiana e purtroppo anche di certa destra), c’è la stessa differenza che passa tra una macchinetta fotografica a fuoco fisso e pellicola Kodak e le nostre di oggi con mega giga di memoria e straquintalioni di pixel. D’altronde, basterebbe lasciare l’atteggiamento pietistico, o ideologico, o moralistico (o strumentale, com’è la legge presentata oggi) che caratterizza l’approccio ai temi dell’immigrazione della sinistra (e purtroppo, ora, anche di parte della destra) e ci si accorgerà che per centinaia di migliaia di immigrati in Italia, il tema vero, urgente, è di essere aiutati nella rotazione del loro lavoro e quindi della loro collocazione, non certo ottenere la cittadinanza. Si scoprirà che ben 300.000 immigrati sono tornati in patria dalla Spagna a seguito della crisi e che una cifra simile di immigrati ha lasciato l’Italia. Non disponiamo di cifre, ovviamente – così si può astrologare sul tema - ma sappiamo che le rimesse degli immigrati dall’Italia sono diminuite del 10%. 4 milioni sono gli immigrati, diamo pure spazio ad un restringimento delle singole rimesse, ma il resto della diminuzione deve essere dovuto al fenomeno del ritorno (o dello spostamento in altro paese). La domanda è facile: cosa sarebbe servito a loro avere la cittadinanza? Solo a stare da disoccupati in Italia. Ma è meglio ricevere l’assegno di disoccupazione in Italia –con i costi del nostro paese- o in patria (dove vale tra le 5 e le 10 volte di più in potere d’acquisto?). Dunque, l’urgenza assoluta è quella di interventi forti (in larga parte puramente amministrativi –che mancano - non normativi), per aiutare gli immigrati nella rotazione e nella mobilità, con la certezza che questa è la prima, assolutamente la prima necessità. E’ da dilettanti, è sbagliato, non è cristiano, sostenere che il dovere nostro è di integrare definitivamente gli immigrati nella nostra società e non invece, fare di tutto, per garantire loro che dopo una dignitosa vita di lavoro in Italia – protetti dal nostro welfare - possano ritornare in vecchiaia là dove sono le loro radici e magari costruire lì, con i soldi accumulati in Italia, quel tessuto di piccole attività artigiane (e quelle abitazioni) che a milioni hanno costruito i nostri emigrati in Germania, Belgio e Svizzera che poi sono tornati a casa loro. Ma non basta guardare al mercato del lavoro, ai flussi reali dell’immigrazione per rifiutare un’impostazione tutta centrata sulla cittadinanza. L’autorevolissimo Cinanni, membro del Comitato Centrale del Pci e autore del migliore saggio sull’emigrazione italiana, spiegava che le nazioni hanno scelto lo ius sanguinis o lo ius soli non tanto in base a astratte tradizioni giuridiche, ma – semplicement e- a seconda che fossero in debito o in eccesso demografico. Tutto qui. Inghilterra (sì, anche l’Inghilterra), Usa, Australia e tante altre nazioni avevano bisogno di popolare il loro territorio e così sceglievano di regalare la cittadinanza a chiunque fosse nato sul loro suolo. I paesi di immigrazione, invece, come l’Italia e la Germania, hanno fatto la scelta opposta. Ora, dunque, l’Italia è in pieno eccesso demografico, è satura, non ha territori da popolare, ma ha un problema drammatico: i cittadini italiani hanno un saldo demografico negativo: muoiono più italiani di quanti non ne nascano. Il saldo diventa attivo solo grazie all’apporto degli immigrati. E’ dunque chiaro che concedere la cittadinanza a chi nasce in Italia, significa semplicemente avviare un processo che porterà di qui a qualche decina di anni a modificare il volto del nostro paese. L’Istat giudica che da qui al 2030 il rapporto tra immigrati e italiani sarà – senza modifiche della cittadinanza - di 1 a 5, 1 a 6. Se però tutti i figli degli immigrati saranno naturalizzati, gli italiani di origine italiana, nell’arco di un lungo periodo di tempo, non superiore al secolo, però, si avvieranno a diventare minoranza. La maggioranza degli abitanti l’Italia sarà di figli di immigrati o di immigrati. E’ un obiettivo auspicabile? Non credo. E’ un meccanismo che farebbe salire al calor rosso l’allarme che già oggi coinvolge strati crescenti di italiani, e non solo al Nord? E non solo elettori della Lega? Sì, di sicuro, con riflessi ben maggiori e ben più gravi del consenso che sicuramente il Pdl perderebbe se approvasse questa legge alle prossime elezioni regionali. E’ più auspicabile di una politica che porti gli immigrati e i loro figli a poter trovare un lavoro dignitoso nel loro paese? No, di sicuro. Infine, ma non per ultimo, è lecito chiedere a Gianfranco Fini, e a chi nel Pdl oggi si fa promotore o sponsor di questa legge, come mai, non più tardi di 18 mesi fa, ha alzato le barricate alla Camera e al Senato quando la sinistra di Sandro Gozi e Livia Turco, tentava di far approvare lo stesso cambiamento dello ius sanguinis con lo ius soli. La contraddizione è il sale della vita, spiegava Leonardo Sciascia, ma in questo caso, spiace, ma il dubbio della strumentalità rispetto a scopi che hanno a che fare più col riequilibrio dei poteri dentro il Pdl che col tema su cui si interviene normativamente, è molto, molto grande.
mercoledì 30 settembre 2009
Immigrazione
Gli stranieri preferiscono la pensione a casa loro o la cittadinanza in Italia? di Carlo Panella
Si faccia un sondaggio, un’inchiesta seria tra gli immigrati. Lo si faccia in tempo di crisi e in tempo di vacche grasse, e gli si chieda: preferisci la cittadinanza automatica per chi nasce in Italia, il diritto a chiederla dopo 5 anni e non 10; oppure preferisci la garanzia che se sei disoccupato, ti si paghi la disoccupazione nella banca o all’ufficio accanto a casa tua nel paesino da cui vieni e così per la pensione? Insomma, la tua ambizione è quella di diventare cittadino italiano, oppure di vivere in Italia per quanto ti serve a lavorare e poi tornare a goderti la vecchiaia e la pensione a casa tua, dove hai le radici? Lo si faccia. Si avranno delle sorprese e si uscirà dalla incredibile cappa ideologica, sentimentale (e strumentale) che ha il dibattito sulla cittadinanza – come tutto quanto attiene all’immigrazione - nel nostro paese. Lo si faccia, e ci si accorgerà che gli immigrati sanno benissimo cos’è un volo low-cost, che hanno tutti il cellulare, che in proporzioni incredibili si spostano rapidamente da un paese d’Europa all’altro. Si scoprirà, insomma, che sanno perfettamente far uso della globalizzazione, che tra loro e i nostri minatori di Marcinelle (a loro è ferma l’analisi della sinistra italiana e purtroppo anche di certa destra), c’è la stessa differenza che passa tra una macchinetta fotografica a fuoco fisso e pellicola Kodak e le nostre di oggi con mega giga di memoria e straquintalioni di pixel. D’altronde, basterebbe lasciare l’atteggiamento pietistico, o ideologico, o moralistico (o strumentale, com’è la legge presentata oggi) che caratterizza l’approccio ai temi dell’immigrazione della sinistra (e purtroppo, ora, anche di parte della destra) e ci si accorgerà che per centinaia di migliaia di immigrati in Italia, il tema vero, urgente, è di essere aiutati nella rotazione del loro lavoro e quindi della loro collocazione, non certo ottenere la cittadinanza. Si scoprirà che ben 300.000 immigrati sono tornati in patria dalla Spagna a seguito della crisi e che una cifra simile di immigrati ha lasciato l’Italia. Non disponiamo di cifre, ovviamente – così si può astrologare sul tema - ma sappiamo che le rimesse degli immigrati dall’Italia sono diminuite del 10%. 4 milioni sono gli immigrati, diamo pure spazio ad un restringimento delle singole rimesse, ma il resto della diminuzione deve essere dovuto al fenomeno del ritorno (o dello spostamento in altro paese). La domanda è facile: cosa sarebbe servito a loro avere la cittadinanza? Solo a stare da disoccupati in Italia. Ma è meglio ricevere l’assegno di disoccupazione in Italia –con i costi del nostro paese- o in patria (dove vale tra le 5 e le 10 volte di più in potere d’acquisto?). Dunque, l’urgenza assoluta è quella di interventi forti (in larga parte puramente amministrativi –che mancano - non normativi), per aiutare gli immigrati nella rotazione e nella mobilità, con la certezza che questa è la prima, assolutamente la prima necessità. E’ da dilettanti, è sbagliato, non è cristiano, sostenere che il dovere nostro è di integrare definitivamente gli immigrati nella nostra società e non invece, fare di tutto, per garantire loro che dopo una dignitosa vita di lavoro in Italia – protetti dal nostro welfare - possano ritornare in vecchiaia là dove sono le loro radici e magari costruire lì, con i soldi accumulati in Italia, quel tessuto di piccole attività artigiane (e quelle abitazioni) che a milioni hanno costruito i nostri emigrati in Germania, Belgio e Svizzera che poi sono tornati a casa loro. Ma non basta guardare al mercato del lavoro, ai flussi reali dell’immigrazione per rifiutare un’impostazione tutta centrata sulla cittadinanza. L’autorevolissimo Cinanni, membro del Comitato Centrale del Pci e autore del migliore saggio sull’emigrazione italiana, spiegava che le nazioni hanno scelto lo ius sanguinis o lo ius soli non tanto in base a astratte tradizioni giuridiche, ma – semplicement e- a seconda che fossero in debito o in eccesso demografico. Tutto qui. Inghilterra (sì, anche l’Inghilterra), Usa, Australia e tante altre nazioni avevano bisogno di popolare il loro territorio e così sceglievano di regalare la cittadinanza a chiunque fosse nato sul loro suolo. I paesi di immigrazione, invece, come l’Italia e la Germania, hanno fatto la scelta opposta. Ora, dunque, l’Italia è in pieno eccesso demografico, è satura, non ha territori da popolare, ma ha un problema drammatico: i cittadini italiani hanno un saldo demografico negativo: muoiono più italiani di quanti non ne nascano. Il saldo diventa attivo solo grazie all’apporto degli immigrati. E’ dunque chiaro che concedere la cittadinanza a chi nasce in Italia, significa semplicemente avviare un processo che porterà di qui a qualche decina di anni a modificare il volto del nostro paese. L’Istat giudica che da qui al 2030 il rapporto tra immigrati e italiani sarà – senza modifiche della cittadinanza - di 1 a 5, 1 a 6. Se però tutti i figli degli immigrati saranno naturalizzati, gli italiani di origine italiana, nell’arco di un lungo periodo di tempo, non superiore al secolo, però, si avvieranno a diventare minoranza. La maggioranza degli abitanti l’Italia sarà di figli di immigrati o di immigrati. E’ un obiettivo auspicabile? Non credo. E’ un meccanismo che farebbe salire al calor rosso l’allarme che già oggi coinvolge strati crescenti di italiani, e non solo al Nord? E non solo elettori della Lega? Sì, di sicuro, con riflessi ben maggiori e ben più gravi del consenso che sicuramente il Pdl perderebbe se approvasse questa legge alle prossime elezioni regionali. E’ più auspicabile di una politica che porti gli immigrati e i loro figli a poter trovare un lavoro dignitoso nel loro paese? No, di sicuro. Infine, ma non per ultimo, è lecito chiedere a Gianfranco Fini, e a chi nel Pdl oggi si fa promotore o sponsor di questa legge, come mai, non più tardi di 18 mesi fa, ha alzato le barricate alla Camera e al Senato quando la sinistra di Sandro Gozi e Livia Turco, tentava di far approvare lo stesso cambiamento dello ius sanguinis con lo ius soli. La contraddizione è il sale della vita, spiegava Leonardo Sciascia, ma in questo caso, spiace, ma il dubbio della strumentalità rispetto a scopi che hanno a che fare più col riequilibrio dei poteri dentro il Pdl che col tema su cui si interviene normativamente, è molto, molto grande.
Si faccia un sondaggio, un’inchiesta seria tra gli immigrati. Lo si faccia in tempo di crisi e in tempo di vacche grasse, e gli si chieda: preferisci la cittadinanza automatica per chi nasce in Italia, il diritto a chiederla dopo 5 anni e non 10; oppure preferisci la garanzia che se sei disoccupato, ti si paghi la disoccupazione nella banca o all’ufficio accanto a casa tua nel paesino da cui vieni e così per la pensione? Insomma, la tua ambizione è quella di diventare cittadino italiano, oppure di vivere in Italia per quanto ti serve a lavorare e poi tornare a goderti la vecchiaia e la pensione a casa tua, dove hai le radici? Lo si faccia. Si avranno delle sorprese e si uscirà dalla incredibile cappa ideologica, sentimentale (e strumentale) che ha il dibattito sulla cittadinanza – come tutto quanto attiene all’immigrazione - nel nostro paese. Lo si faccia, e ci si accorgerà che gli immigrati sanno benissimo cos’è un volo low-cost, che hanno tutti il cellulare, che in proporzioni incredibili si spostano rapidamente da un paese d’Europa all’altro. Si scoprirà, insomma, che sanno perfettamente far uso della globalizzazione, che tra loro e i nostri minatori di Marcinelle (a loro è ferma l’analisi della sinistra italiana e purtroppo anche di certa destra), c’è la stessa differenza che passa tra una macchinetta fotografica a fuoco fisso e pellicola Kodak e le nostre di oggi con mega giga di memoria e straquintalioni di pixel. D’altronde, basterebbe lasciare l’atteggiamento pietistico, o ideologico, o moralistico (o strumentale, com’è la legge presentata oggi) che caratterizza l’approccio ai temi dell’immigrazione della sinistra (e purtroppo, ora, anche di parte della destra) e ci si accorgerà che per centinaia di migliaia di immigrati in Italia, il tema vero, urgente, è di essere aiutati nella rotazione del loro lavoro e quindi della loro collocazione, non certo ottenere la cittadinanza. Si scoprirà che ben 300.000 immigrati sono tornati in patria dalla Spagna a seguito della crisi e che una cifra simile di immigrati ha lasciato l’Italia. Non disponiamo di cifre, ovviamente – così si può astrologare sul tema - ma sappiamo che le rimesse degli immigrati dall’Italia sono diminuite del 10%. 4 milioni sono gli immigrati, diamo pure spazio ad un restringimento delle singole rimesse, ma il resto della diminuzione deve essere dovuto al fenomeno del ritorno (o dello spostamento in altro paese). La domanda è facile: cosa sarebbe servito a loro avere la cittadinanza? Solo a stare da disoccupati in Italia. Ma è meglio ricevere l’assegno di disoccupazione in Italia –con i costi del nostro paese- o in patria (dove vale tra le 5 e le 10 volte di più in potere d’acquisto?). Dunque, l’urgenza assoluta è quella di interventi forti (in larga parte puramente amministrativi –che mancano - non normativi), per aiutare gli immigrati nella rotazione e nella mobilità, con la certezza che questa è la prima, assolutamente la prima necessità. E’ da dilettanti, è sbagliato, non è cristiano, sostenere che il dovere nostro è di integrare definitivamente gli immigrati nella nostra società e non invece, fare di tutto, per garantire loro che dopo una dignitosa vita di lavoro in Italia – protetti dal nostro welfare - possano ritornare in vecchiaia là dove sono le loro radici e magari costruire lì, con i soldi accumulati in Italia, quel tessuto di piccole attività artigiane (e quelle abitazioni) che a milioni hanno costruito i nostri emigrati in Germania, Belgio e Svizzera che poi sono tornati a casa loro. Ma non basta guardare al mercato del lavoro, ai flussi reali dell’immigrazione per rifiutare un’impostazione tutta centrata sulla cittadinanza. L’autorevolissimo Cinanni, membro del Comitato Centrale del Pci e autore del migliore saggio sull’emigrazione italiana, spiegava che le nazioni hanno scelto lo ius sanguinis o lo ius soli non tanto in base a astratte tradizioni giuridiche, ma – semplicement e- a seconda che fossero in debito o in eccesso demografico. Tutto qui. Inghilterra (sì, anche l’Inghilterra), Usa, Australia e tante altre nazioni avevano bisogno di popolare il loro territorio e così sceglievano di regalare la cittadinanza a chiunque fosse nato sul loro suolo. I paesi di immigrazione, invece, come l’Italia e la Germania, hanno fatto la scelta opposta. Ora, dunque, l’Italia è in pieno eccesso demografico, è satura, non ha territori da popolare, ma ha un problema drammatico: i cittadini italiani hanno un saldo demografico negativo: muoiono più italiani di quanti non ne nascano. Il saldo diventa attivo solo grazie all’apporto degli immigrati. E’ dunque chiaro che concedere la cittadinanza a chi nasce in Italia, significa semplicemente avviare un processo che porterà di qui a qualche decina di anni a modificare il volto del nostro paese. L’Istat giudica che da qui al 2030 il rapporto tra immigrati e italiani sarà – senza modifiche della cittadinanza - di 1 a 5, 1 a 6. Se però tutti i figli degli immigrati saranno naturalizzati, gli italiani di origine italiana, nell’arco di un lungo periodo di tempo, non superiore al secolo, però, si avvieranno a diventare minoranza. La maggioranza degli abitanti l’Italia sarà di figli di immigrati o di immigrati. E’ un obiettivo auspicabile? Non credo. E’ un meccanismo che farebbe salire al calor rosso l’allarme che già oggi coinvolge strati crescenti di italiani, e non solo al Nord? E non solo elettori della Lega? Sì, di sicuro, con riflessi ben maggiori e ben più gravi del consenso che sicuramente il Pdl perderebbe se approvasse questa legge alle prossime elezioni regionali. E’ più auspicabile di una politica che porti gli immigrati e i loro figli a poter trovare un lavoro dignitoso nel loro paese? No, di sicuro. Infine, ma non per ultimo, è lecito chiedere a Gianfranco Fini, e a chi nel Pdl oggi si fa promotore o sponsor di questa legge, come mai, non più tardi di 18 mesi fa, ha alzato le barricate alla Camera e al Senato quando la sinistra di Sandro Gozi e Livia Turco, tentava di far approvare lo stesso cambiamento dello ius sanguinis con lo ius soli. La contraddizione è il sale della vita, spiegava Leonardo Sciascia, ma in questo caso, spiace, ma il dubbio della strumentalità rispetto a scopi che hanno a che fare più col riequilibrio dei poteri dentro il Pdl che col tema su cui si interviene normativamente, è molto, molto grande.
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