Proviamo a pensarci su un attimo e partiamo da una premessa: per dirla con Gianfranco Pasquino, chi si erge al ruolo di moralizzatore dovrebbe essere impeccabile dal punto di vista morale. Invece i nostri “moralizzatori” si chiamano Boffo, De Benedetti, Mauro, Travaglio, Di Pietro, Grillo e via citando. Lo so, non siamo messi granché bene e nessuno, ma proprio nessuno, può mai lamentarsi se qualcuno altro (in questo momento stiamo pensando a Vittorio Feltri) tiri fuori dagli armadi qualche scheletro, magari d'altri tempi, ma che sempre di scheletro si tratta. E non ci si venga poi a parlare di censura alla libertà di informazione o di altri concetti che mal si conciliano con il concetto di repubblica democratica quale realmente è la nostra. Nell’appello lanciato da Repubblica e sottoscritto da tre illustri giuristi (uno dei quali anche ex Garante della privacy) si legge che in Italia si starebbe battendo «la strada dell’intimidazione di chi esercita il diritto-dovere di "cercare, ricevere e diffondere con qualsiasi mezzo di espressione, senza considerazioni di frontiere, le informazioni e le idee", come vuole la Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo del 1948, approvata dal consesso delle Nazioni quando era vivo il ricordo della degenerazione dell’informazione in propaganda, sotto i regimi illiberali e antidemocratici del secolo scorso». Già, “informazioni” ed “idee”: quella Dichiarazione non fa però riferimento a privacy, abitudini personali ed anche sessuali, feste e festini. Se però tutto questo costituisce il bagaglio “di informazioni e di idee” di questi signori, anche in questo caso non siamo messi bene: la fuoriuscita dagli stipi di scheletri e quanto altro costituisce la logica ed inevitabile conseguenza. E a chi tocca non si ingrugni! Infine da Terni, l’altro ieri il gip Panariello ha negato ai giornalisti l’accesso agli atti del fascicolo processuale che riguarda il direttore dell’Avvenire mettendo loro a disposizione il solo decreto di condanna. Interessante la motivazione: «Ritengo - ha detto il gip - che il diritto di cronaca possa essere soddisfatto attraverso la divulgazione del fatto, cioè di come si è concluso il procedimento». Sempre secondo Panariello la conoscenza degli atti processuali va riservata alle parti coinvolte che, «se lo vogliono possono poi metterli a disposizione». Ottimi concetti, soprattutto se venissero fatti propri da tutti i palazzi di giustizia italiani.
sabato 5 settembre 2009
Informazione
Moralizzatori e libertà d’informazione di Puntaspilli
Proviamo a pensarci su un attimo e partiamo da una premessa: per dirla con Gianfranco Pasquino, chi si erge al ruolo di moralizzatore dovrebbe essere impeccabile dal punto di vista morale. Invece i nostri “moralizzatori” si chiamano Boffo, De Benedetti, Mauro, Travaglio, Di Pietro, Grillo e via citando. Lo so, non siamo messi granché bene e nessuno, ma proprio nessuno, può mai lamentarsi se qualcuno altro (in questo momento stiamo pensando a Vittorio Feltri) tiri fuori dagli armadi qualche scheletro, magari d'altri tempi, ma che sempre di scheletro si tratta. E non ci si venga poi a parlare di censura alla libertà di informazione o di altri concetti che mal si conciliano con il concetto di repubblica democratica quale realmente è la nostra. Nell’appello lanciato da Repubblica e sottoscritto da tre illustri giuristi (uno dei quali anche ex Garante della privacy) si legge che in Italia si starebbe battendo «la strada dell’intimidazione di chi esercita il diritto-dovere di "cercare, ricevere e diffondere con qualsiasi mezzo di espressione, senza considerazioni di frontiere, le informazioni e le idee", come vuole la Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo del 1948, approvata dal consesso delle Nazioni quando era vivo il ricordo della degenerazione dell’informazione in propaganda, sotto i regimi illiberali e antidemocratici del secolo scorso». Già, “informazioni” ed “idee”: quella Dichiarazione non fa però riferimento a privacy, abitudini personali ed anche sessuali, feste e festini. Se però tutto questo costituisce il bagaglio “di informazioni e di idee” di questi signori, anche in questo caso non siamo messi bene: la fuoriuscita dagli stipi di scheletri e quanto altro costituisce la logica ed inevitabile conseguenza. E a chi tocca non si ingrugni! Infine da Terni, l’altro ieri il gip Panariello ha negato ai giornalisti l’accesso agli atti del fascicolo processuale che riguarda il direttore dell’Avvenire mettendo loro a disposizione il solo decreto di condanna. Interessante la motivazione: «Ritengo - ha detto il gip - che il diritto di cronaca possa essere soddisfatto attraverso la divulgazione del fatto, cioè di come si è concluso il procedimento». Sempre secondo Panariello la conoscenza degli atti processuali va riservata alle parti coinvolte che, «se lo vogliono possono poi metterli a disposizione». Ottimi concetti, soprattutto se venissero fatti propri da tutti i palazzi di giustizia italiani.
Proviamo a pensarci su un attimo e partiamo da una premessa: per dirla con Gianfranco Pasquino, chi si erge al ruolo di moralizzatore dovrebbe essere impeccabile dal punto di vista morale. Invece i nostri “moralizzatori” si chiamano Boffo, De Benedetti, Mauro, Travaglio, Di Pietro, Grillo e via citando. Lo so, non siamo messi granché bene e nessuno, ma proprio nessuno, può mai lamentarsi se qualcuno altro (in questo momento stiamo pensando a Vittorio Feltri) tiri fuori dagli armadi qualche scheletro, magari d'altri tempi, ma che sempre di scheletro si tratta. E non ci si venga poi a parlare di censura alla libertà di informazione o di altri concetti che mal si conciliano con il concetto di repubblica democratica quale realmente è la nostra. Nell’appello lanciato da Repubblica e sottoscritto da tre illustri giuristi (uno dei quali anche ex Garante della privacy) si legge che in Italia si starebbe battendo «la strada dell’intimidazione di chi esercita il diritto-dovere di "cercare, ricevere e diffondere con qualsiasi mezzo di espressione, senza considerazioni di frontiere, le informazioni e le idee", come vuole la Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo del 1948, approvata dal consesso delle Nazioni quando era vivo il ricordo della degenerazione dell’informazione in propaganda, sotto i regimi illiberali e antidemocratici del secolo scorso». Già, “informazioni” ed “idee”: quella Dichiarazione non fa però riferimento a privacy, abitudini personali ed anche sessuali, feste e festini. Se però tutto questo costituisce il bagaglio “di informazioni e di idee” di questi signori, anche in questo caso non siamo messi bene: la fuoriuscita dagli stipi di scheletri e quanto altro costituisce la logica ed inevitabile conseguenza. E a chi tocca non si ingrugni! Infine da Terni, l’altro ieri il gip Panariello ha negato ai giornalisti l’accesso agli atti del fascicolo processuale che riguarda il direttore dell’Avvenire mettendo loro a disposizione il solo decreto di condanna. Interessante la motivazione: «Ritengo - ha detto il gip - che il diritto di cronaca possa essere soddisfatto attraverso la divulgazione del fatto, cioè di come si è concluso il procedimento». Sempre secondo Panariello la conoscenza degli atti processuali va riservata alle parti coinvolte che, «se lo vogliono possono poi metterli a disposizione». Ottimi concetti, soprattutto se venissero fatti propri da tutti i palazzi di giustizia italiani.
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