Solo in un clima incattivito si riesce a sbertucciarsi sulle case consegnate ai terremotati. In condizioni normali dovrebbe essere l’occasione per stringersi attorno ad una comunità colpita, posto che la riedificazione non ha colore politico. Solo tifoserie rincitrullite scelgono d’affrontarsi pretendendo di negare due cose totalmente ovvie: le prime case sono state consegnate in tempi record, considerate anche alcune vergognose esperienze passate, ma molto resta ancora da fare e altri continuano a stare nelle tendopoli. In condizioni normali non ci dovrebbero essere remore né a riconoscere i meriti né a ricordare i problemi irrisolti. Invece si prendono i fatti, i terremotati ed il loro dolore, i rincasati e la loro felicità, per tirarseli dietro. Spettacolo poco commendevole. Se anziché sbraitare si ragionasse, oltre tutto, sarebbe difficile non vedere la gigantesca questione che i risultati positivi pongono: funziona solo l’emergenza, mentre la normale amministrazione è in coma. Ci sono due meriti che solo gli stolti ed i faziosi possono non riconoscere al governo: avere dissotterrato Napoli dalla spazzatura ed avere avviato, in fretta, la ricostruzione delle zone terremotate. Sono due meriti legati all’emergenza, che è servita come piede di porco per far saltare le normali regole degli appalti e dei lavori pubblici, utilizzando la necessità e l’urgenza per derogare e creare una gestione commissariale. In tutti e due i casi, in buona sostanza, s’è preso Guido Bertolaso e gli si è detto: vai e fai quel che devi, ma sbrigati. A Napoli la magistratura già inquisiva i suoi uomini, per l’Abruzzo può sempre avvenire, ma il sistema ha funzionato. Se si va a vedere, invece, la tempistica ed il costo delle “normali” opere pubbliche, se si va a controllare il loro effettivo completamento, lo spettacolo è deprimente. Quando non ci sono le condizioni per derogare a leggi e regole, quando lavori ed appalti seguono la via maestra, costano di più, durano più a lungo e il risultato è spesso monco. Più si rispettano le procedure, insomma, più diveniamo poveri, turlupinati e insoddisfatti. Non volendo ridurci ad augurare più disgrazie per tutti, è chiaro che il guasto sta nelle regole. Se le si esamina una ad una, con certosina pazienza, si perde tempo e non si va da nessuna parte. Ciascuna legge serve a garantire qualche cosa, ciascuna norma subordinata è finalizzata a tutelare qualche interesse legittimo, ma il risultato è pessimo, talché nulla è realmente garantito e tutelato. La ragione generale è che non c’è mai corrispondenza fra responsabilità della decisione e responsabilità del risultato. Esempio: il governo stabilisce che si deve fare una strada, ma non ha poteri sul comune che può dire la sua circa il tracciato, salvo il fatto che il citato comune non è responsabile della realizzazione della strada. Nel migliore dei casi non si fa nulla, ma più spesso si avviano i lavori, si spendono soldi, e poi si lasciano mozziconi d’asfalto a guardarsi da lontano, mentre le macchine sono incolonnate altrove. Spreco, dissennatezza, irresponsabilità. Il che porta, naturalmente, a soldi malamente intascati, opere non collaudabili e coperture politiche ed amministrative offerte in cambio di soldi od altre utilità. E questa è la fabbrica della corruzione improduttiva, che non solo è un reato, ma neanche consegna l’opera. L’emergenza, invece, porta il governo ed il presidente del Consiglio a metterci la faccia. Berlusconi lo ha fatto due volte. Si riunisce il consiglio dei ministri a Napoli e dice: entro il tale giorno la mondezza non ci sarà più. A quel punto ne sono responsabili, se non lo fanno perdono credibilità, e non servirà a nulla raccontare di chi altro è la colpa. Quindi, commissariano e sgomberano. Stessa cosa per le case ai terremotati: se non fossero state consegnate la colpa sarebbe stata del governo, segnatamente di Berlusconi, che, allora, taglia corto e procede. L’intera regolamentazione delle opere pubbliche, pertanto, deve essere rivista seguendo il principio della trasparenza: deve essere sempre chiarissimo chi è responsabile di cosa, sicché i cittadini possano prendersela con il sindaco, anziché con il presidente della regione o con il capo del governo, traendone le ovvie e dovute conseguenze al momento del voto. Il che ci consentirebbe anche di avere una politica più seria e meno ideologizzata, più affidata alla razionalità e meno alle tifoserie propagandistiche. Non è poco. La ricetta vincente è: conoscere, per legge, la faccia del responsabile, nel bene e nel male. Un Paese che sa far fronte alle emergenze è sano. Quello che funziona solo in caso d’emergenza è, al contrario, profondamente malato. E’ questo il tema delle regole, questo il terreno delle riforme strutturali, questo il luogo dove la politica, tutta, ha il dovere di mettere la faccia.
giovedì 17 settembre 2009
In italia...
Metterci la faccia di Davide Giacalone
Solo in un clima incattivito si riesce a sbertucciarsi sulle case consegnate ai terremotati. In condizioni normali dovrebbe essere l’occasione per stringersi attorno ad una comunità colpita, posto che la riedificazione non ha colore politico. Solo tifoserie rincitrullite scelgono d’affrontarsi pretendendo di negare due cose totalmente ovvie: le prime case sono state consegnate in tempi record, considerate anche alcune vergognose esperienze passate, ma molto resta ancora da fare e altri continuano a stare nelle tendopoli. In condizioni normali non ci dovrebbero essere remore né a riconoscere i meriti né a ricordare i problemi irrisolti. Invece si prendono i fatti, i terremotati ed il loro dolore, i rincasati e la loro felicità, per tirarseli dietro. Spettacolo poco commendevole. Se anziché sbraitare si ragionasse, oltre tutto, sarebbe difficile non vedere la gigantesca questione che i risultati positivi pongono: funziona solo l’emergenza, mentre la normale amministrazione è in coma. Ci sono due meriti che solo gli stolti ed i faziosi possono non riconoscere al governo: avere dissotterrato Napoli dalla spazzatura ed avere avviato, in fretta, la ricostruzione delle zone terremotate. Sono due meriti legati all’emergenza, che è servita come piede di porco per far saltare le normali regole degli appalti e dei lavori pubblici, utilizzando la necessità e l’urgenza per derogare e creare una gestione commissariale. In tutti e due i casi, in buona sostanza, s’è preso Guido Bertolaso e gli si è detto: vai e fai quel che devi, ma sbrigati. A Napoli la magistratura già inquisiva i suoi uomini, per l’Abruzzo può sempre avvenire, ma il sistema ha funzionato. Se si va a vedere, invece, la tempistica ed il costo delle “normali” opere pubbliche, se si va a controllare il loro effettivo completamento, lo spettacolo è deprimente. Quando non ci sono le condizioni per derogare a leggi e regole, quando lavori ed appalti seguono la via maestra, costano di più, durano più a lungo e il risultato è spesso monco. Più si rispettano le procedure, insomma, più diveniamo poveri, turlupinati e insoddisfatti. Non volendo ridurci ad augurare più disgrazie per tutti, è chiaro che il guasto sta nelle regole. Se le si esamina una ad una, con certosina pazienza, si perde tempo e non si va da nessuna parte. Ciascuna legge serve a garantire qualche cosa, ciascuna norma subordinata è finalizzata a tutelare qualche interesse legittimo, ma il risultato è pessimo, talché nulla è realmente garantito e tutelato. La ragione generale è che non c’è mai corrispondenza fra responsabilità della decisione e responsabilità del risultato. Esempio: il governo stabilisce che si deve fare una strada, ma non ha poteri sul comune che può dire la sua circa il tracciato, salvo il fatto che il citato comune non è responsabile della realizzazione della strada. Nel migliore dei casi non si fa nulla, ma più spesso si avviano i lavori, si spendono soldi, e poi si lasciano mozziconi d’asfalto a guardarsi da lontano, mentre le macchine sono incolonnate altrove. Spreco, dissennatezza, irresponsabilità. Il che porta, naturalmente, a soldi malamente intascati, opere non collaudabili e coperture politiche ed amministrative offerte in cambio di soldi od altre utilità. E questa è la fabbrica della corruzione improduttiva, che non solo è un reato, ma neanche consegna l’opera. L’emergenza, invece, porta il governo ed il presidente del Consiglio a metterci la faccia. Berlusconi lo ha fatto due volte. Si riunisce il consiglio dei ministri a Napoli e dice: entro il tale giorno la mondezza non ci sarà più. A quel punto ne sono responsabili, se non lo fanno perdono credibilità, e non servirà a nulla raccontare di chi altro è la colpa. Quindi, commissariano e sgomberano. Stessa cosa per le case ai terremotati: se non fossero state consegnate la colpa sarebbe stata del governo, segnatamente di Berlusconi, che, allora, taglia corto e procede. L’intera regolamentazione delle opere pubbliche, pertanto, deve essere rivista seguendo il principio della trasparenza: deve essere sempre chiarissimo chi è responsabile di cosa, sicché i cittadini possano prendersela con il sindaco, anziché con il presidente della regione o con il capo del governo, traendone le ovvie e dovute conseguenze al momento del voto. Il che ci consentirebbe anche di avere una politica più seria e meno ideologizzata, più affidata alla razionalità e meno alle tifoserie propagandistiche. Non è poco. La ricetta vincente è: conoscere, per legge, la faccia del responsabile, nel bene e nel male. Un Paese che sa far fronte alle emergenze è sano. Quello che funziona solo in caso d’emergenza è, al contrario, profondamente malato. E’ questo il tema delle regole, questo il terreno delle riforme strutturali, questo il luogo dove la politica, tutta, ha il dovere di mettere la faccia.
Solo in un clima incattivito si riesce a sbertucciarsi sulle case consegnate ai terremotati. In condizioni normali dovrebbe essere l’occasione per stringersi attorno ad una comunità colpita, posto che la riedificazione non ha colore politico. Solo tifoserie rincitrullite scelgono d’affrontarsi pretendendo di negare due cose totalmente ovvie: le prime case sono state consegnate in tempi record, considerate anche alcune vergognose esperienze passate, ma molto resta ancora da fare e altri continuano a stare nelle tendopoli. In condizioni normali non ci dovrebbero essere remore né a riconoscere i meriti né a ricordare i problemi irrisolti. Invece si prendono i fatti, i terremotati ed il loro dolore, i rincasati e la loro felicità, per tirarseli dietro. Spettacolo poco commendevole. Se anziché sbraitare si ragionasse, oltre tutto, sarebbe difficile non vedere la gigantesca questione che i risultati positivi pongono: funziona solo l’emergenza, mentre la normale amministrazione è in coma. Ci sono due meriti che solo gli stolti ed i faziosi possono non riconoscere al governo: avere dissotterrato Napoli dalla spazzatura ed avere avviato, in fretta, la ricostruzione delle zone terremotate. Sono due meriti legati all’emergenza, che è servita come piede di porco per far saltare le normali regole degli appalti e dei lavori pubblici, utilizzando la necessità e l’urgenza per derogare e creare una gestione commissariale. In tutti e due i casi, in buona sostanza, s’è preso Guido Bertolaso e gli si è detto: vai e fai quel che devi, ma sbrigati. A Napoli la magistratura già inquisiva i suoi uomini, per l’Abruzzo può sempre avvenire, ma il sistema ha funzionato. Se si va a vedere, invece, la tempistica ed il costo delle “normali” opere pubbliche, se si va a controllare il loro effettivo completamento, lo spettacolo è deprimente. Quando non ci sono le condizioni per derogare a leggi e regole, quando lavori ed appalti seguono la via maestra, costano di più, durano più a lungo e il risultato è spesso monco. Più si rispettano le procedure, insomma, più diveniamo poveri, turlupinati e insoddisfatti. Non volendo ridurci ad augurare più disgrazie per tutti, è chiaro che il guasto sta nelle regole. Se le si esamina una ad una, con certosina pazienza, si perde tempo e non si va da nessuna parte. Ciascuna legge serve a garantire qualche cosa, ciascuna norma subordinata è finalizzata a tutelare qualche interesse legittimo, ma il risultato è pessimo, talché nulla è realmente garantito e tutelato. La ragione generale è che non c’è mai corrispondenza fra responsabilità della decisione e responsabilità del risultato. Esempio: il governo stabilisce che si deve fare una strada, ma non ha poteri sul comune che può dire la sua circa il tracciato, salvo il fatto che il citato comune non è responsabile della realizzazione della strada. Nel migliore dei casi non si fa nulla, ma più spesso si avviano i lavori, si spendono soldi, e poi si lasciano mozziconi d’asfalto a guardarsi da lontano, mentre le macchine sono incolonnate altrove. Spreco, dissennatezza, irresponsabilità. Il che porta, naturalmente, a soldi malamente intascati, opere non collaudabili e coperture politiche ed amministrative offerte in cambio di soldi od altre utilità. E questa è la fabbrica della corruzione improduttiva, che non solo è un reato, ma neanche consegna l’opera. L’emergenza, invece, porta il governo ed il presidente del Consiglio a metterci la faccia. Berlusconi lo ha fatto due volte. Si riunisce il consiglio dei ministri a Napoli e dice: entro il tale giorno la mondezza non ci sarà più. A quel punto ne sono responsabili, se non lo fanno perdono credibilità, e non servirà a nulla raccontare di chi altro è la colpa. Quindi, commissariano e sgomberano. Stessa cosa per le case ai terremotati: se non fossero state consegnate la colpa sarebbe stata del governo, segnatamente di Berlusconi, che, allora, taglia corto e procede. L’intera regolamentazione delle opere pubbliche, pertanto, deve essere rivista seguendo il principio della trasparenza: deve essere sempre chiarissimo chi è responsabile di cosa, sicché i cittadini possano prendersela con il sindaco, anziché con il presidente della regione o con il capo del governo, traendone le ovvie e dovute conseguenze al momento del voto. Il che ci consentirebbe anche di avere una politica più seria e meno ideologizzata, più affidata alla razionalità e meno alle tifoserie propagandistiche. Non è poco. La ricetta vincente è: conoscere, per legge, la faccia del responsabile, nel bene e nel male. Un Paese che sa far fronte alle emergenze è sano. Quello che funziona solo in caso d’emergenza è, al contrario, profondamente malato. E’ questo il tema delle regole, questo il terreno delle riforme strutturali, questo il luogo dove la politica, tutta, ha il dovere di mettere la faccia.
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