Hanno avvelenato Souad Sbai. Sta in piedi per miracolo, la parlamentare marocchina del PdL, dopo un’operazione chirurgica che le ha sistemato provvisoriamente i danni all’esofago. Ma ne dovrà subire almeno un’altra, e intanto da un anno e mezzo si alimenta come riesce con yogurt, pappine, miele e gelato. Ma talvolta il suo stomaco non riesce a reggere nemmeno un bicchiere d’acqua. Ha perso il sonno ed è calata di quattordici chili. In attesa di tornare sotto i ferri, rischia la vita per aver mangiato un solo cucchiaino di cous cous, mischiato a una sostanza di cui non si era accorta. Glielo aveva offerto - spiega in una denuncia presentata il 15 febbraio scorso al comando provinciale dei Carabinieri di Roma - una ragazza «frequentatrice della moschea di Roma Centocelle» nei locali del centro culturale che ha fondato lei stessa, intitolato al filosofo Averroè. «Mi accorsi che era insolitamente molto piccante», ma non poteva certo immaginare che se avesse consumato tutto quel cibo, preparato appositamente per ucciderla, sarebbe morta stecchita. E probabilmente nemmeno l’autopsia avrebbe rivelato la causa violenta del decesso. L’ha salvata un sms provvidenziale, richiamandola a Montecitorio, per una votazione in Aula che poi era stata annullata. Intanto, il veleno agisce. «Due ore e mezza dopo aver mangiato il cous cous, ho accusato un forte dolore allo stomaco, sono andata in bagno e, viste le mie condizioni, decidevo di andare presso l’infermeria dove, per circa due ore, ho avuto conati di vomito, tachicardia e sudorazione». Rigetta tutto, o quasi. E forse per questo se la cava, per il momento. Iniezioni e flebo non aiutano. Perciò «venivo trasportata d’urgenza presso l’ospedale Gemelli dove sono rimasta per circa quattro giorni in stato di ricovero». Viene dimessa, ma senza una diagnosi precisa. Si elencano i sintomi, non la loro causa. Non migliorano però le sue condizioni. Non mangia, soffre e nessuno capisce perché. Gli esami e una quarantina di specialisti consultati non arrivano a capo di nulla finché decide di andare all’estero. Le hanno segnalato il professor Kevin M. Cahill, di New York, che la visita il 5 gennaio scorso poi le rilascia un certificato, ora allegato alla denuncia, in cui scrive che «l’improvviso verificarsi di una restrizione esofagea può essere dovuto al deliberato (o accidentale) avvelenamento con un numero di forti composti acidi o basici». Si è consultato anche con il dottor Lewis R. Goldfrank, direttore del Centro Veleni di New York, secondo il quale «i cristalli di acido solforico, idrossido di sodio o acido idrocloridrico possono essere ingeriti con il cibo senza causare lesioni orali o laringeali, ma sviluppano restrizioni esofagee o gastriche o anche perforazioni». Non è l’unico caso: la letteratura scientifica ne conosce già in Nigeria. Non c’è bisogno di andare così lontano. È sufficiente dare un’oc chiata alle radiografie di Souad Sbai per verificare un decorso clinico identico. Fino al novembre scorso, non compare nessun segno di degenerazione. Poi, l’esofago inizia ad assottigliarsi sempre più, fino a rendere urgente il ricovero E induce a presentare la denuncia, prima di andare in sala operatoria, a futura memoria. «Sarebbe stato meglio essere colpiti da una pallottola», dice la Sbai a Libero, «ma forse hanno cambiato tattica. Oppure portano avanti contro i singoli individui il piano di chi voleva avvelenare l’acquedotto romano». Con lei non ci sono riusciti. E ora qualcuno dovrà pure assumersi la responsabilità di un tentatoomicidioche sembratolto direttamente da una congiura di palazzo ottomana. Alla procura di Roma, c’è già un fascicolo aperto sul caso, che attende un esito. Lei intanto non si arrende: «Mollerò solo da morta. È questo il prezzo che si paga a lottare contro il fondamentalismo islamico e a difendere i diritti delle donne immigrate», spiega facendo riferimentoalle battaglie politiche e civili che l’hanno già messa nel mirino dei salafiti che sono in Italia. I segnali sono ancora sul web, con video che la bollano come nemica dell’islam. E qualche mese fa, la stessa deputata aveva denunciato un’intrusione nel suo condominio. L’hanno colpita ma non affondata e ora è peggio per quelli che accusa di essere «musulmani soltanto a parole, ma di islamico hanno solo la parte malvagia, senza scrupoli, che fa tagliare le teste. Bisogna combatterli di più, proprio per questo».
venerdì 5 marzo 2010
Souad Sbai
"Combatte l'islam fanatico, veleno alla deputata" di Andrea Morigi
Hanno avvelenato Souad Sbai. Sta in piedi per miracolo, la parlamentare marocchina del PdL, dopo un’operazione chirurgica che le ha sistemato provvisoriamente i danni all’esofago. Ma ne dovrà subire almeno un’altra, e intanto da un anno e mezzo si alimenta come riesce con yogurt, pappine, miele e gelato. Ma talvolta il suo stomaco non riesce a reggere nemmeno un bicchiere d’acqua. Ha perso il sonno ed è calata di quattordici chili. In attesa di tornare sotto i ferri, rischia la vita per aver mangiato un solo cucchiaino di cous cous, mischiato a una sostanza di cui non si era accorta. Glielo aveva offerto - spiega in una denuncia presentata il 15 febbraio scorso al comando provinciale dei Carabinieri di Roma - una ragazza «frequentatrice della moschea di Roma Centocelle» nei locali del centro culturale che ha fondato lei stessa, intitolato al filosofo Averroè. «Mi accorsi che era insolitamente molto piccante», ma non poteva certo immaginare che se avesse consumato tutto quel cibo, preparato appositamente per ucciderla, sarebbe morta stecchita. E probabilmente nemmeno l’autopsia avrebbe rivelato la causa violenta del decesso. L’ha salvata un sms provvidenziale, richiamandola a Montecitorio, per una votazione in Aula che poi era stata annullata. Intanto, il veleno agisce. «Due ore e mezza dopo aver mangiato il cous cous, ho accusato un forte dolore allo stomaco, sono andata in bagno e, viste le mie condizioni, decidevo di andare presso l’infermeria dove, per circa due ore, ho avuto conati di vomito, tachicardia e sudorazione». Rigetta tutto, o quasi. E forse per questo se la cava, per il momento. Iniezioni e flebo non aiutano. Perciò «venivo trasportata d’urgenza presso l’ospedale Gemelli dove sono rimasta per circa quattro giorni in stato di ricovero». Viene dimessa, ma senza una diagnosi precisa. Si elencano i sintomi, non la loro causa. Non migliorano però le sue condizioni. Non mangia, soffre e nessuno capisce perché. Gli esami e una quarantina di specialisti consultati non arrivano a capo di nulla finché decide di andare all’estero. Le hanno segnalato il professor Kevin M. Cahill, di New York, che la visita il 5 gennaio scorso poi le rilascia un certificato, ora allegato alla denuncia, in cui scrive che «l’improvviso verificarsi di una restrizione esofagea può essere dovuto al deliberato (o accidentale) avvelenamento con un numero di forti composti acidi o basici». Si è consultato anche con il dottor Lewis R. Goldfrank, direttore del Centro Veleni di New York, secondo il quale «i cristalli di acido solforico, idrossido di sodio o acido idrocloridrico possono essere ingeriti con il cibo senza causare lesioni orali o laringeali, ma sviluppano restrizioni esofagee o gastriche o anche perforazioni». Non è l’unico caso: la letteratura scientifica ne conosce già in Nigeria. Non c’è bisogno di andare così lontano. È sufficiente dare un’oc chiata alle radiografie di Souad Sbai per verificare un decorso clinico identico. Fino al novembre scorso, non compare nessun segno di degenerazione. Poi, l’esofago inizia ad assottigliarsi sempre più, fino a rendere urgente il ricovero E induce a presentare la denuncia, prima di andare in sala operatoria, a futura memoria. «Sarebbe stato meglio essere colpiti da una pallottola», dice la Sbai a Libero, «ma forse hanno cambiato tattica. Oppure portano avanti contro i singoli individui il piano di chi voleva avvelenare l’acquedotto romano». Con lei non ci sono riusciti. E ora qualcuno dovrà pure assumersi la responsabilità di un tentatoomicidioche sembratolto direttamente da una congiura di palazzo ottomana. Alla procura di Roma, c’è già un fascicolo aperto sul caso, che attende un esito. Lei intanto non si arrende: «Mollerò solo da morta. È questo il prezzo che si paga a lottare contro il fondamentalismo islamico e a difendere i diritti delle donne immigrate», spiega facendo riferimentoalle battaglie politiche e civili che l’hanno già messa nel mirino dei salafiti che sono in Italia. I segnali sono ancora sul web, con video che la bollano come nemica dell’islam. E qualche mese fa, la stessa deputata aveva denunciato un’intrusione nel suo condominio. L’hanno colpita ma non affondata e ora è peggio per quelli che accusa di essere «musulmani soltanto a parole, ma di islamico hanno solo la parte malvagia, senza scrupoli, che fa tagliare le teste. Bisogna combatterli di più, proprio per questo».
Hanno avvelenato Souad Sbai. Sta in piedi per miracolo, la parlamentare marocchina del PdL, dopo un’operazione chirurgica che le ha sistemato provvisoriamente i danni all’esofago. Ma ne dovrà subire almeno un’altra, e intanto da un anno e mezzo si alimenta come riesce con yogurt, pappine, miele e gelato. Ma talvolta il suo stomaco non riesce a reggere nemmeno un bicchiere d’acqua. Ha perso il sonno ed è calata di quattordici chili. In attesa di tornare sotto i ferri, rischia la vita per aver mangiato un solo cucchiaino di cous cous, mischiato a una sostanza di cui non si era accorta. Glielo aveva offerto - spiega in una denuncia presentata il 15 febbraio scorso al comando provinciale dei Carabinieri di Roma - una ragazza «frequentatrice della moschea di Roma Centocelle» nei locali del centro culturale che ha fondato lei stessa, intitolato al filosofo Averroè. «Mi accorsi che era insolitamente molto piccante», ma non poteva certo immaginare che se avesse consumato tutto quel cibo, preparato appositamente per ucciderla, sarebbe morta stecchita. E probabilmente nemmeno l’autopsia avrebbe rivelato la causa violenta del decesso. L’ha salvata un sms provvidenziale, richiamandola a Montecitorio, per una votazione in Aula che poi era stata annullata. Intanto, il veleno agisce. «Due ore e mezza dopo aver mangiato il cous cous, ho accusato un forte dolore allo stomaco, sono andata in bagno e, viste le mie condizioni, decidevo di andare presso l’infermeria dove, per circa due ore, ho avuto conati di vomito, tachicardia e sudorazione». Rigetta tutto, o quasi. E forse per questo se la cava, per il momento. Iniezioni e flebo non aiutano. Perciò «venivo trasportata d’urgenza presso l’ospedale Gemelli dove sono rimasta per circa quattro giorni in stato di ricovero». Viene dimessa, ma senza una diagnosi precisa. Si elencano i sintomi, non la loro causa. Non migliorano però le sue condizioni. Non mangia, soffre e nessuno capisce perché. Gli esami e una quarantina di specialisti consultati non arrivano a capo di nulla finché decide di andare all’estero. Le hanno segnalato il professor Kevin M. Cahill, di New York, che la visita il 5 gennaio scorso poi le rilascia un certificato, ora allegato alla denuncia, in cui scrive che «l’improvviso verificarsi di una restrizione esofagea può essere dovuto al deliberato (o accidentale) avvelenamento con un numero di forti composti acidi o basici». Si è consultato anche con il dottor Lewis R. Goldfrank, direttore del Centro Veleni di New York, secondo il quale «i cristalli di acido solforico, idrossido di sodio o acido idrocloridrico possono essere ingeriti con il cibo senza causare lesioni orali o laringeali, ma sviluppano restrizioni esofagee o gastriche o anche perforazioni». Non è l’unico caso: la letteratura scientifica ne conosce già in Nigeria. Non c’è bisogno di andare così lontano. È sufficiente dare un’oc chiata alle radiografie di Souad Sbai per verificare un decorso clinico identico. Fino al novembre scorso, non compare nessun segno di degenerazione. Poi, l’esofago inizia ad assottigliarsi sempre più, fino a rendere urgente il ricovero E induce a presentare la denuncia, prima di andare in sala operatoria, a futura memoria. «Sarebbe stato meglio essere colpiti da una pallottola», dice la Sbai a Libero, «ma forse hanno cambiato tattica. Oppure portano avanti contro i singoli individui il piano di chi voleva avvelenare l’acquedotto romano». Con lei non ci sono riusciti. E ora qualcuno dovrà pure assumersi la responsabilità di un tentatoomicidioche sembratolto direttamente da una congiura di palazzo ottomana. Alla procura di Roma, c’è già un fascicolo aperto sul caso, che attende un esito. Lei intanto non si arrende: «Mollerò solo da morta. È questo il prezzo che si paga a lottare contro il fondamentalismo islamico e a difendere i diritti delle donne immigrate», spiega facendo riferimentoalle battaglie politiche e civili che l’hanno già messa nel mirino dei salafiti che sono in Italia. I segnali sono ancora sul web, con video che la bollano come nemica dell’islam. E qualche mese fa, la stessa deputata aveva denunciato un’intrusione nel suo condominio. L’hanno colpita ma non affondata e ora è peggio per quelli che accusa di essere «musulmani soltanto a parole, ma di islamico hanno solo la parte malvagia, senza scrupoli, che fa tagliare le teste. Bisogna combatterli di più, proprio per questo».
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