Le Pen al "Corsera" sulla disfatta di Sarkò
Jean Marie le Pen, leader del Front National e per molti vero vincitore delle regionali francesi, analizza la sconfitta di Sarkozy. Molti lo davano per morto dopo i pessimi risultati ottenuti alle presidenziali del 2007, ma invece Le Pen è risorto ancora una volta. Pur essendo un vetero-fascista, statalista e petanista, bisogna ammettere che probabilmente Le Pen è l'unico politico francese in grado di parlare alla "pancia" del paese. Una volta ci riusciva anche Sarkozy, ora però Sarkò, irretito da frequentazioni mondane e gauchiste sembra aver perso il "tocco magico", a tutto vantaggio del vecchio leone.
PARIGI — «Quando ancora ci parlavamo, un giorno Nicolas Sarkozy mi disse, a tu per tu: "Quello che faccio, lo faccio per la forza della passione. Quando le cose cambiano, cambio anch'io e faccio altro". Ora le cose sono cambiate. È presto per fare previsioni, ma da qui al 2012 non potranno che peggiorare ancora. La situazione della Francia e dell'Europa è grave. Se Sarkozy era sincero, e credo proprio lo fosse, nel 2012 non si ripresenterà». Jean-Marie Le Pen, 81 anni, è appena atterrato all'aeroporto Charles de Gaulle di Parigi, di ritorno da Nizza, dov'era candidato alla presidenza della Regione contro socialisti e sarkozisti. Fa notare scherzando che il suo risultato — 22,9% — è sopra il 22,2% che sua figlia Marine, classe 1968, ha strappato al capo opposto della Francia, il Nord-Pas de Calais. Il momento della successione non è ancora venuto. Anche se, quando parla della figlia, il leader dell'estrema destra si inorgoglisce quasi alle lacrime: «Sono così fiero di lei. Al Nord, nella zona più impoverite del Paese, ha fatto campagna nelle taverne e nei bistrot, in mezzo agli ultimi, ai pensionati, ai giovani senza lavoro, che la adorano. Marine è una vera femmina, e un vero uomo politico». Quando verrà il momento di sua figlia, Le Pen? «Non c'è fretta. Queste elezioni hanno confermato che sono praticamente immortale...». Le presidenziali 2007 sembravano aver segnato la scomparsa politica del Fronte nazionale e del suo fondatore. Sarkozy aveva recuperato buona parte dei voti persi a destra da Chirac, sulla linea della fermezza verso l'immigrazione e la delinquenza, financo con un linguaggio sbrigativo gradito alle fasce più conservatrici. «Il punto è che il presidente si è fermato al linguaggio — dice Le Pen —. Ha usato un tono e una postura da uomo d'azione, ma non ha fatto nulla per riportare l'ordine alle frontiere, nelle banlieue, nelle scuole. La sua energia è tutta verbale, la sua frenesia si avvita su se stessa. Ricorda quei soldati omerici che urlano i peggiori insulti e non si battono mai. Si limita a serrare i pugni, protendere il mento, assumere pose alla Mussolini». Detto da lei, Le Pen, dovrebbe essere un complimento. «Io? A parte il fatto che per me Mussolini è un ex socialista, voi in Italia non avete ancora capito chi sono davvero. Il Fronte nazionale ha fatto eleggere arabi, ebrei, neri. Io non sono un razzista. Sono un nazionalista francese». Che ha avuto parole inaccettabili sulle camere a gas. «Ancora con questa storia? Le élite europee sono ossessionate dalla seconda guerra mondiale. Io abito nel futuro. E il futuro appartiene alle destre nazionali e patriottiche, non ai Sarkozy». Quel che Le Pen rimprovera al presidente è di essersi presentato come il campione della «destra senza complessi», per poi lasciarsi irretire dalla sinistra. «Appena si libera un posto, lo dà a un socialista. Nel 2007 aveva avuto una vittoria totale, e si è creato una coabitazione volontaria con i suoi avversari: un masochista. Il massimo è stato il matrimonio con Carla Bruni, che veniva da un ambiente mondano e gauchiste. Oltretutto la loro unione va male, anche se i giornali francesi scrivono il contrario. È una coppia di potere; quando tra poco il potere non ci sarà più, non ci sarà più neppure la coppia». Un tempo, Le Pen non parlava di Sarkozy in questo modo. «È vero, abbiamo avuto un buon rapporto, prima che lui cambiasse. Forse è stata una fortuna: il periodo in cui eravamo vicini è coinciso con il mio minimo storico alle elezioni. Ma non ho mai creduto di essere alla fine. Ho visto Defferre arrivare al 90% a Marsiglia, per poi venire eliminato al primo turno delle presidenziali. Ho visto i gollisti al 3%, due anni prima che de Gaulle tornasse al potere. Oggi assisto al tramonto di Bayrou. La prossima volta tocca a Cohn-Bendit e ai Verdi: non durano. I socialisti cantano vittoria ma dimenticano che un elettore su due non ha votato. Noi nei sondaggi siamo sempre bassi, perché se dici che voti Front National come minimo ti mandano l'ispettore delle tasse. Stavolta erano proprio manipolati: a Parigi ci davano al 4 e siamo al 9, a Tolosa all'8 e siamo al 19. Le banche non ci fanno credito: ci sono eletti che hanno fatto campagna con 30 mila euro. Le élite ci vorrebbero morti; ma il voto di domenica è proprio contro le élite». A destra sarà mai possibile un accordo tra Le Pen e Sarkozy? «Sono loro che rifiutano di discutere con noi. Speravo che l'ostracismo fosse finito; invece continua, e oggi siamo più lontani che mai da questo Sarkozy inutilmente agitato. Anche se resta più simpatico di Chirac: un militante comunista, che vendeva l'Humanité la domenica mattina, divenuto presidente con i voti della destra; un enarca che ha gestito lo Stato francese proprio come un funzionario, per giunta infedele, attento ai propri interessi personali». In Italia è il momento della Lega. «Conosco Borghezio. Bossi non lo conosco e non abbiamo molto in comune. Lui vuole dividere il suo Paese, io la Francia la voglio salvare». Fini? «Ho orrore dei traditori. Pensare che gli salvai la vita, quando nell'87 andai al congresso di Sorrento per sostenerlo contro Rauti. Ora finge di non conoscermi». Berlusconi? «Mi è simpatico. Non nega se stesso, parla un linguaggio franco, non si è piegato alle forche caudine dell'ipocrisia. Ma non è un leader politico. È un miliardario che investe i suoi denari nella politica».
giovedì 25 marzo 2010
Jean Marie LePen su Sarkò
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2 commenti:
Un'intervista schietta e leale. Merce rara in politica.
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