Qualcosa non va nell’opposizione. Romano Prodi ha detto di non aver mai avuto tanta paura come in questi giorni. Di Pietro agita la parola, eccita la piazza e chiede all’Europa di vigilare. Il partito dei presentatori in lock out forzoso denuncia un regime alla Birmana. Anche un uomo sveglio e di solito misurato come il direttore di Europa, Stefano Menichini, confessa di nutrire una vaga inquietudine. Nessuno parla di motori di carri che rombano nei cortili delle caserme e ci mancherebbe. Dicono però che ci sono crepe vistose nell’edificio democratico. Si direbbe che hanno dimenticato anche i buoni maestri di un tempo che spiegavano come nella comunicazione di massa ogni cosa eccessiva fosse di per sé insignificante. La sinistra sta vivendo una forma acuta di feticismo come un vecchio signore che prova ebbrezza per i piedi della cameriera.
Domenica Gustavo Zagrebelsky, punta di diamante del costituzionalismo tendenza Rep., ha dispiegato proprio sul quotidiano di riferimento la logica implacabile del formalismo giuridico. Testualmente: “Qualcuno non ha rispettato le regole, l’esclusione di una lista non è dovuta alla legge ma al suo mancato rispetto, è ovvio che la più ampia offerta elettorale è un bene per la democrazia ma se qualcuno per colpa sua non ne approfitta, con chi bisogna prendersela: con la legge o con chi ha sbagliato? Ora, il decreto del governo dice: dobbiamo prendercela con la legge e non con chi ha sbagliato”. Accusa poi “di disonestà e arroganza” Augusto Minzolini, direttore del Tg1, per aver stravolto l’immagine e il pensiero di Hans Kelsen, grande giurista del Novecento, facendo dire “proprio a lui che ha sempre sostenuto che in democrazia la forma è sostanza” l’esatto contrario, cioè che la sostanza deve prevalere sulla forma. Sul piano della logica formale il Zagrebelsky pensiero sembra inattaccabile. Forma contro sostanza, formalismo giuridico contro l’intelligenza della politica, Kelsen contro Carl Schmitt, direbbe Massimo Cacciari, che qualche partito l’ha praticato.
Cacciari chiede tra le righe a Bersani di non fare fesserie: su questo registro, il Pd non rinsavisce e finirà per arrivare alle regionali sfatto come una mammola. Zagrebelsky può permettersi illuminanti intemperanze che sono invece interdette a un uomo politico. Il leader del maggiore partito di opposizione sa perfettamente che elezioni da cui viene escluso il maggiore partito del paese, sia pure colpevole di dabbenaggine, sono semplicemente improponibili, che un presidente e una giunta vittoriosi per forfait e mandati lo stesso a governare per cinque anni regioni importanti senza alcuna opposizione sarebbe un non senso, la violazione del principio di legittimità. Purtroppo Bersani anziché negare ogni possibilità di convergenza con costituzionalisti, pifferai magici e con tutta la coorte di liberi tribuni e commentatori dal sopracciglio inarcato, bivacca tra i manipoli. E non si sa mai se ascolterà il consiglio di un Cacciari e persino di un Oscar Luigi Scalfaro. Oppure si farà risucchiare dalla ruota della pasionaria Rosy.
E poi via, signor segretario: da buon ex comunista di vena socialdemocratica e da ministro delle buone intenzioni rimaste sulla carta per colpe non sue conosce perfettamente quali effetti perversi possano avere la norma, il regolamento. Le regole elettorali in generale sono un percorso di guerra, trasudano fuffa e cattiva educazione civica, quella che votare non è un diritto ma un dovere. Sa perfettamente che la norma, qualunque norma, qualunque regolamento riposano sullo svolazzo, sull’arzigogolo, sull’arabesco proprio per essere aggirati e violati. In passato è già successo senza troppo scandalo, giusto con qualche risentimento.
Tra il sovrano, il “Dio mortale” che solo può essere al di sopra delle leggi che egli stesso pone, e il potere assoluto del Codice, che ammette come unica interpretazione quella letterale, scelga il realismo giuridico e l’indeterminatezza del diritto. Norberto Bobbio, uno dei primi a importare Kelsen e che si definiva con ironia “responsabile della kelsenite italiana”, aveva un’idea del funzionamento della democrazia reale più articolata del suo allievo Zagrebelsky. Credeva per esempio nella contrattazione delle parti, perché non sempre il conflitto può essere racchiuso in una procedura o governato da una legge che garantisca effettiva eguaglianza e imparzialità. In fondo aveva ragione quel giurista d’oltreoceano che sull’argomento ebbe una frase definitiva: “La decisione di un giudice può essere determinata da quello che ha avuto per prima colazione”
2 commenti:
Santi Romano, grande giurista italiano, riprendeva molto semplicemente l'assunto romanistico ubi societas, ibi ius. Il diritto non può andare contro la società, perchè il diritto è la società che descrive se stessa com'è e come vuole essere.
Detto questo, le delegittimazione del diritto che sta affrontando il nostro paese comincia a preoccuparmi: se il diritto è solo questione di forza - e non più scienza formale, come voleva l'immenso Kelsen - allora quando una forza esterna al diritto riuscirà ad imporsi sulla forza del diritto, diventerà essa stessa diritto, senza che nessuno possa obbiettarne l'illegittimità. Questa è un'affermazione che prova troppo. Il governo finora aveva avuto l'appoggio degli italiani perchè aveva potuto puntare il dito sulla faziosità (vera o presunta) di alcuni magistrati: la legge rimaneva salva. E l'ipotesi poteva essere ripetuta, come in effetti i fatti han dimostrato, per l'esclusione di Formigoni. Ma sovvertire l'ordinamento per un panino è stata un'aberrazione! La soluzione doveva essere politica: a costo di iniziare uno sciopero della fame al modo dei radicali: ma l'ordinamento non doveva essere vulnerato. Quando il polverone si sarà placato, l'opposizione avrà un argomento molto forte da far valere. E gli italiani vedranno per la prima volta l'evidenza di una legge ad personam.
E nel frattempo, nel Lazio c'è stata l'ennesima bocciatura.
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