Roma - Si scivola sempre su ciò che si ha sotto il sedere, dicono i russi. Così che non appaia del tutto scontato porsi un piccolo dilemma sul futuro di Farefuturo. Hanno un domani, i giovani finiani che hanno fatto del sol dell’avvenire il loro credo? Non sarebbe il «dove andiamo» la prima preoccupazione di coloro che, fin dalla presentazione del loro sito, si propongono di «sfidare il presentismo»? Purtroppo quel che un moscovita avrebbe saputo evitare, in via del Seminario è accaduto. Come Talete che guardava le stelle e non previde di cadere nel fosso. Capita quando si è abituati a scorgere oltre gli orizzonti, oltre le generazioni di immigrati, le cittadinanze al di là da venire, il «nuovo femminismo» e l’«euroatlantismo», ma poi non si scorge il siluro che arriva dalla finestra di fronte. Per meglio dire, esso viene recapitato dal Giornale ritenuto concorrente e solo beninformato, servito caldo caldo dal direttore accusato di stregoneria e di saper fare tarocchi. Ma il siluro, dicono malelingue beneinformate, sarebbe partito invece dal Palazzo dietro l’angolo, dal Monte Citorio che tutto scruta, sul quale assiso sta il capo-tribù. E dunque dal capo-tribù medesimo: il presidente Gianfranco Fini, stufo di vedersi costretto a volute di fumo dopo l’arrosto cucinato prematuro dal direttore Filippo Rossi e da qualche collaboratore impaziente. Fini non è mai stato tale, ha sempre dosato tempi di cottura biblici, ha sempre amato lo stracotto, e tanta carne al sangue alla fine è pesante. Questo dicono, per giustificare la nascita di Generazione Italia e il ridimensionamento del ruolo di Farefuturo, la sua riconduzione a laboratorio d’analisi del finismo (non come finitudine, si spera), di ofelè in grado di sfornare convegni su convegni: alle mandorle, con le noci, al peperoncino, tenendo magari il passo doppio con i dalemiani Italianieuropei. Basta dunque entrate a piedi uniti nella quadriglia politica, stop alle incursioni marineggianti in cucina, per soffiare sul fuoco e sputare nel piatto di portata. Il presidente della Camera avrebbe da un paio di mesi suonato la sveglia e preparato il brusco risveglio a quelli del «FF Magazine», così capaci di stimolare dibattiti quanto di creare inutili impicci. Ma il ritorno al passato di Farefuturo pare non disturbare più di tanto neppure i diretti interessati. Molti dei quali sostengono di non essere mai stati «militanti» interessati alla politica, bensì soltanto damine dedite al merletto culturale (con qualche pissi-pissi di troppo, si concede). Anzi, c’è persino uno «zoccolo duro» della redazione-laboratorio (la struttura qui è antistruttura) che va orgogliosa del lavoro oscuro e quotidiano: quello che non finisce sulle agenzie di stampa in qualità di «retro-pensiero finiano» o «avanguardia gianfranchista». Un lavoro che si sostanzia in saggi e convegni, contatti con intellettuali e ricerca di temi di sviluppo. Pilastri fondativi cui Adolfo Urso, segretario generale della fondazione, teneva più di ogni altra cosa. Ma si sa: poi la notorietà fa piacere, sembra giovare alla causa, abitua a finire sui giornali e magari persino alla tv. Farefuturo torna all’antico. Il direttore Mario Ciampi, quello scientifico Alessandro Campi, quello editoriale Angelo Mellone, quello del Magazine, Filippo Rossi, paiono aver capito l’antifona e fanno buon viso a cattivo gioco. Collaboratori irregolari e di battaglia, come Sofia Ventura (che in realtà insegna leadership e comunicazione politica a Bologna), hanno già drizzato le orecchie e sono pronti a trasferirsi altrove, persino su generazioneitalia.it. «Sempre che me lo chiedano», dice l’iperimpegnata Ventura, ammaliata da una redazione dove «tutti si sentono liberi, non si prendono ordini né si obbedisce... ». Chissà se la militante Generazione Italia on line sarà così avanti e così à la page. «Chissà se vedrà mai la luce piuttosto», dicono le malelingue. L’importante era schierare gli avanguardisti di Gianfranco contro i promotori di Silvio. Continuare la battaglia con altri mezzi. Come dice quello con un nome esplosivo, «decidere assieme la premiership, a fine legislatura». Se non sono proprio granate, saranno almeno pizzichi e sgambetti.
martedì 16 marzo 2010
Gianfranco Fini
Farefuturo addio, Gianfranco suona la ritirata di Roberto Scafuri
Roma - Si scivola sempre su ciò che si ha sotto il sedere, dicono i russi. Così che non appaia del tutto scontato porsi un piccolo dilemma sul futuro di Farefuturo. Hanno un domani, i giovani finiani che hanno fatto del sol dell’avvenire il loro credo? Non sarebbe il «dove andiamo» la prima preoccupazione di coloro che, fin dalla presentazione del loro sito, si propongono di «sfidare il presentismo»? Purtroppo quel che un moscovita avrebbe saputo evitare, in via del Seminario è accaduto. Come Talete che guardava le stelle e non previde di cadere nel fosso. Capita quando si è abituati a scorgere oltre gli orizzonti, oltre le generazioni di immigrati, le cittadinanze al di là da venire, il «nuovo femminismo» e l’«euroatlantismo», ma poi non si scorge il siluro che arriva dalla finestra di fronte. Per meglio dire, esso viene recapitato dal Giornale ritenuto concorrente e solo beninformato, servito caldo caldo dal direttore accusato di stregoneria e di saper fare tarocchi. Ma il siluro, dicono malelingue beneinformate, sarebbe partito invece dal Palazzo dietro l’angolo, dal Monte Citorio che tutto scruta, sul quale assiso sta il capo-tribù. E dunque dal capo-tribù medesimo: il presidente Gianfranco Fini, stufo di vedersi costretto a volute di fumo dopo l’arrosto cucinato prematuro dal direttore Filippo Rossi e da qualche collaboratore impaziente. Fini non è mai stato tale, ha sempre dosato tempi di cottura biblici, ha sempre amato lo stracotto, e tanta carne al sangue alla fine è pesante. Questo dicono, per giustificare la nascita di Generazione Italia e il ridimensionamento del ruolo di Farefuturo, la sua riconduzione a laboratorio d’analisi del finismo (non come finitudine, si spera), di ofelè in grado di sfornare convegni su convegni: alle mandorle, con le noci, al peperoncino, tenendo magari il passo doppio con i dalemiani Italianieuropei. Basta dunque entrate a piedi uniti nella quadriglia politica, stop alle incursioni marineggianti in cucina, per soffiare sul fuoco e sputare nel piatto di portata. Il presidente della Camera avrebbe da un paio di mesi suonato la sveglia e preparato il brusco risveglio a quelli del «FF Magazine», così capaci di stimolare dibattiti quanto di creare inutili impicci. Ma il ritorno al passato di Farefuturo pare non disturbare più di tanto neppure i diretti interessati. Molti dei quali sostengono di non essere mai stati «militanti» interessati alla politica, bensì soltanto damine dedite al merletto culturale (con qualche pissi-pissi di troppo, si concede). Anzi, c’è persino uno «zoccolo duro» della redazione-laboratorio (la struttura qui è antistruttura) che va orgogliosa del lavoro oscuro e quotidiano: quello che non finisce sulle agenzie di stampa in qualità di «retro-pensiero finiano» o «avanguardia gianfranchista». Un lavoro che si sostanzia in saggi e convegni, contatti con intellettuali e ricerca di temi di sviluppo. Pilastri fondativi cui Adolfo Urso, segretario generale della fondazione, teneva più di ogni altra cosa. Ma si sa: poi la notorietà fa piacere, sembra giovare alla causa, abitua a finire sui giornali e magari persino alla tv. Farefuturo torna all’antico. Il direttore Mario Ciampi, quello scientifico Alessandro Campi, quello editoriale Angelo Mellone, quello del Magazine, Filippo Rossi, paiono aver capito l’antifona e fanno buon viso a cattivo gioco. Collaboratori irregolari e di battaglia, come Sofia Ventura (che in realtà insegna leadership e comunicazione politica a Bologna), hanno già drizzato le orecchie e sono pronti a trasferirsi altrove, persino su generazioneitalia.it. «Sempre che me lo chiedano», dice l’iperimpegnata Ventura, ammaliata da una redazione dove «tutti si sentono liberi, non si prendono ordini né si obbedisce... ». Chissà se la militante Generazione Italia on line sarà così avanti e così à la page. «Chissà se vedrà mai la luce piuttosto», dicono le malelingue. L’importante era schierare gli avanguardisti di Gianfranco contro i promotori di Silvio. Continuare la battaglia con altri mezzi. Come dice quello con un nome esplosivo, «decidere assieme la premiership, a fine legislatura». Se non sono proprio granate, saranno almeno pizzichi e sgambetti.
Roma - Si scivola sempre su ciò che si ha sotto il sedere, dicono i russi. Così che non appaia del tutto scontato porsi un piccolo dilemma sul futuro di Farefuturo. Hanno un domani, i giovani finiani che hanno fatto del sol dell’avvenire il loro credo? Non sarebbe il «dove andiamo» la prima preoccupazione di coloro che, fin dalla presentazione del loro sito, si propongono di «sfidare il presentismo»? Purtroppo quel che un moscovita avrebbe saputo evitare, in via del Seminario è accaduto. Come Talete che guardava le stelle e non previde di cadere nel fosso. Capita quando si è abituati a scorgere oltre gli orizzonti, oltre le generazioni di immigrati, le cittadinanze al di là da venire, il «nuovo femminismo» e l’«euroatlantismo», ma poi non si scorge il siluro che arriva dalla finestra di fronte. Per meglio dire, esso viene recapitato dal Giornale ritenuto concorrente e solo beninformato, servito caldo caldo dal direttore accusato di stregoneria e di saper fare tarocchi. Ma il siluro, dicono malelingue beneinformate, sarebbe partito invece dal Palazzo dietro l’angolo, dal Monte Citorio che tutto scruta, sul quale assiso sta il capo-tribù. E dunque dal capo-tribù medesimo: il presidente Gianfranco Fini, stufo di vedersi costretto a volute di fumo dopo l’arrosto cucinato prematuro dal direttore Filippo Rossi e da qualche collaboratore impaziente. Fini non è mai stato tale, ha sempre dosato tempi di cottura biblici, ha sempre amato lo stracotto, e tanta carne al sangue alla fine è pesante. Questo dicono, per giustificare la nascita di Generazione Italia e il ridimensionamento del ruolo di Farefuturo, la sua riconduzione a laboratorio d’analisi del finismo (non come finitudine, si spera), di ofelè in grado di sfornare convegni su convegni: alle mandorle, con le noci, al peperoncino, tenendo magari il passo doppio con i dalemiani Italianieuropei. Basta dunque entrate a piedi uniti nella quadriglia politica, stop alle incursioni marineggianti in cucina, per soffiare sul fuoco e sputare nel piatto di portata. Il presidente della Camera avrebbe da un paio di mesi suonato la sveglia e preparato il brusco risveglio a quelli del «FF Magazine», così capaci di stimolare dibattiti quanto di creare inutili impicci. Ma il ritorno al passato di Farefuturo pare non disturbare più di tanto neppure i diretti interessati. Molti dei quali sostengono di non essere mai stati «militanti» interessati alla politica, bensì soltanto damine dedite al merletto culturale (con qualche pissi-pissi di troppo, si concede). Anzi, c’è persino uno «zoccolo duro» della redazione-laboratorio (la struttura qui è antistruttura) che va orgogliosa del lavoro oscuro e quotidiano: quello che non finisce sulle agenzie di stampa in qualità di «retro-pensiero finiano» o «avanguardia gianfranchista». Un lavoro che si sostanzia in saggi e convegni, contatti con intellettuali e ricerca di temi di sviluppo. Pilastri fondativi cui Adolfo Urso, segretario generale della fondazione, teneva più di ogni altra cosa. Ma si sa: poi la notorietà fa piacere, sembra giovare alla causa, abitua a finire sui giornali e magari persino alla tv. Farefuturo torna all’antico. Il direttore Mario Ciampi, quello scientifico Alessandro Campi, quello editoriale Angelo Mellone, quello del Magazine, Filippo Rossi, paiono aver capito l’antifona e fanno buon viso a cattivo gioco. Collaboratori irregolari e di battaglia, come Sofia Ventura (che in realtà insegna leadership e comunicazione politica a Bologna), hanno già drizzato le orecchie e sono pronti a trasferirsi altrove, persino su generazioneitalia.it. «Sempre che me lo chiedano», dice l’iperimpegnata Ventura, ammaliata da una redazione dove «tutti si sentono liberi, non si prendono ordini né si obbedisce... ». Chissà se la militante Generazione Italia on line sarà così avanti e così à la page. «Chissà se vedrà mai la luce piuttosto», dicono le malelingue. L’importante era schierare gli avanguardisti di Gianfranco contro i promotori di Silvio. Continuare la battaglia con altri mezzi. Come dice quello con un nome esplosivo, «decidere assieme la premiership, a fine legislatura». Se non sono proprio granate, saranno almeno pizzichi e sgambetti.
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1 commenti:
Chissà che sia la volta buona che Rossi & company (mean compagni) si trasferiscano armi e bagagli nel PD...
P.S. Purtroppo ne dubito... queste zecche ce le ritroveremo tra i maroni (non centra il ministro dell'interno, anzi si...) ancora a lungo...
Andrea
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