«L’ho detto davvero?», risponde con aria scherzosa David H. Thorne, il nuovo ambasciatore degli Stati Uniti a Roma, quando si sente domandare a quali posizioni si riferiva davanti alla Commissione Esteri del Senato americano. «Anche se Usa e Italia cooperano strettamente su numerosi temi, ci sono, comunque, alcune posizioni della politica estera italiana che continuano a preoccuparci», aveva fatto presente ai senatori il 16 luglio, prima del via libera parlamentare al suo incarico, questo finanziere dai modi tutt’altro che rampanti. Voce mai troppo alta, portamento sobrio, lampi di spirito qua e là anche in un discorso serio, Thorne ha già vissuto in Italia negli anni ’50 e ’60. Nel suo modo di fare si riconoscono i tratti di un’ élite di democratici americani legati all’Europa dei quali i Kennedy erano un prototipo. Adesso che a Roma Thorne è tornato per rappresentare l’Amministrazione di Barack Obama, il Corriere ha cercato di capire come la pensa. A differenza di luglio, attualmente il finanziere è un diplomatico, e spesso lo è il suo linguaggio. Ma in oltre un’ora nel suo ufficio di via Veneto, nella prima intervista da ambasciatore in Italia, è apparso chiaro che tra i suoi obiettivi rientra quello di evitare che il nostro Paese dipenda troppo dalla Russia per la fornitura di gas e petrolio.
sabato 19 settembre 2009
Usa - Italia
Il nodo delle relazioni con il Cremlino. L'ambasciatore Usa avverte l'Italia: "Dipendenza energetica, un rischio" intervista a David H. Thorne di Maurizio Caprara
«L’ho detto davvero?», risponde con aria scherzosa David H. Thorne, il nuovo ambasciatore degli Stati Uniti a Roma, quando si sente domandare a quali posizioni si riferiva davanti alla Commissione Esteri del Senato americano. «Anche se Usa e Italia cooperano strettamente su numerosi temi, ci sono, comunque, alcune posizioni della politica estera italiana che continuano a preoccuparci», aveva fatto presente ai senatori il 16 luglio, prima del via libera parlamentare al suo incarico, questo finanziere dai modi tutt’altro che rampanti. Voce mai troppo alta, portamento sobrio, lampi di spirito qua e là anche in un discorso serio, Thorne ha già vissuto in Italia negli anni ’50 e ’60. Nel suo modo di fare si riconoscono i tratti di un’ élite di democratici americani legati all’Europa dei quali i Kennedy erano un prototipo. Adesso che a Roma Thorne è tornato per rappresentare l’Amministrazione di Barack Obama, il Corriere ha cercato di capire come la pensa. A differenza di luglio, attualmente il finanziere è un diplomatico, e spesso lo è il suo linguaggio. Ma in oltre un’ora nel suo ufficio di via Veneto, nella prima intervista da ambasciatore in Italia, è apparso chiaro che tra i suoi obiettivi rientra quello di evitare che il nostro Paese dipenda troppo dalla Russia per la fornitura di gas e petrolio.
«L’ho detto davvero?», risponde con aria scherzosa David H. Thorne, il nuovo ambasciatore degli Stati Uniti a Roma, quando si sente domandare a quali posizioni si riferiva davanti alla Commissione Esteri del Senato americano. «Anche se Usa e Italia cooperano strettamente su numerosi temi, ci sono, comunque, alcune posizioni della politica estera italiana che continuano a preoccuparci», aveva fatto presente ai senatori il 16 luglio, prima del via libera parlamentare al suo incarico, questo finanziere dai modi tutt’altro che rampanti. Voce mai troppo alta, portamento sobrio, lampi di spirito qua e là anche in un discorso serio, Thorne ha già vissuto in Italia negli anni ’50 e ’60. Nel suo modo di fare si riconoscono i tratti di un’ élite di democratici americani legati all’Europa dei quali i Kennedy erano un prototipo. Adesso che a Roma Thorne è tornato per rappresentare l’Amministrazione di Barack Obama, il Corriere ha cercato di capire come la pensa. A differenza di luglio, attualmente il finanziere è un diplomatico, e spesso lo è il suo linguaggio. Ma in oltre un’ora nel suo ufficio di via Veneto, nella prima intervista da ambasciatore in Italia, è apparso chiaro che tra i suoi obiettivi rientra quello di evitare che il nostro Paese dipenda troppo dalla Russia per la fornitura di gas e petrolio.
A quali posizioni della politica estera italiana si riferiva quando parlava di preoccupazioni, ambasciatore? «Con i giornalisti, se lasci un piccolo spiraglio aperto nella porta diventa un salone... La verità è che l’intreccio di relazioni tra Usa e Italia è così ricco che il dialogo è continuo, fluente. Verranno fuori cose da discutere, ma in cordialità e con voglia di trovare soluzioni. A qualunque cosa stessi alludendo, non potevamo dire 'Siamo perfetti'. Dai miei primi incontri con il presidente Giorgio Napolitano, Gianfranco Fini, Renato Schifani e altri noto un senso di grande cooperazione».
Tra gli appuntamenti elencati ne manca uno con il presidente del Consiglio Silvio Berlusconi. «Lo incontrerò venerdì. Ho già visto il sottosegretario Gianni Letta, è stato mio primo colloquio».
Non è che tra le materie che preoccupano gli Stati Uniti c’è l’interesse del governo italiano, di Berlusconi, per l’oleodotto South Stream, caro alla Russia, invece che per il Nabucco? «Va considerato tutto in un contesto ampio. Una delle più grandi preoccupazioni della politica americana è la dipendenza energetica dell’Europa. Che non dipenda da una sola fonte e che le diversifichi: Nord Africa, Iran, Russia... L’Italia è in procinto di riprendere il suo programma nucleare, ne ho parlato nei miei incontri e mi pare ci sia un interessante impegno del governo a farlo. Al Dipartimento di Stato, nel governo americano il timore riguarda l’Europa, non solo l’Italia».
Il governo italiano ha rapporti stretti con Muammar el Gheddafi... «Frecce tricolori», interviene l’ambasciatore riferendosi alla squadriglia acrobatica a Tripoli per l’anniversario del colpo di Stato del Colonnello.
Già, anche. Che ne dicono a Washington? Rapporti troppo stretti, talvolta? «Occorre ancora guardare a un contesto più ampio. Gli Usa sono contenti che la Libia rientri nella comunità internazionale e abbandoni il terrorismo. Incoraggiamo i progressi in questo senso. Sappiamo che l’Italia ha da tanto strette relazioni con la Libia, dalla quale riceve energia. L’accoglienza libica ad Al Maghrai (agente segreto condannato per la strage di Lockerbie e rilasciato dalla Gran Bretagna, ndr) non è stata un bello spettacolo, ha risollevato vecchi problemi».
Vi aspettate di più dal nostro Paese per l’Afghanistan? «I vostri carabinieri sono bravissimi, ammiriamo ciò che fate. L’argomento richiede capacità di guida, leadership , avere militari lì non è necessariamente popolare, ma nei miei incontri ne ho riscontrate. In Afghanistan le cose potrebbero peggiorare, l’Italia è un forte alleato e ci aspettiamo che continui».
E sull’Iran che vi aspettate? «Siamo preoccupati che sviluppi armi nucleari e preoccupati di gestire le relazioni con l’Iran in un fronte unito. Vogliamo essere certi che tutti, Italia compresa, partecipino compatti a questa gestione».
Evitando di compiere passi da soli? «Sì, la comunità internazionale sta agendo insieme e dobbiamo agire insieme».
Ambasciatore, che cosa ricorda di più dell’Italia vista da ragazzo? «Sono riandato nella mia scuola, l’American Overseas sulla Cassia. Non sono tornato nella mia casa perché è diventata l’ambasciata della Cina. Quando l’ambasciatore cinese mi inviterà ci andrò volentieri. Ho bei ricordi di Porto Ercole. I moli erano diversi, non c’era ancora il porto di Cala Galera, avevamo casa ad Ansedonia...».
Spesso si ricorda che lei è stato cognato di John Kerry, presidente della commissione Esteri del Senato, prima che lui e sua sorella divorziassero. Nessun imbarazzo, in luglio, nell’essere esaminato da una commissione che nel resto delle sedute è presieduta da un ex parente, comunque da un amico? «No. E sono tuttora suo cognato. Kerry mi ha presentato, mi ha abbracciato e, per correttezza istituzionale, è uscito. Non ero imbarazzato perché alla seduta non c’era. Io e il senatore Kerry siamo come fratelli da 45 anni, dal college. Abbiano fatto i militari insieme in Vietnam, siamo stati fra i tori di Pamplona e...».
E? «Non le dico altro, sennò i diplomatici che stanno qui mi mettono la museruola. Di sicuro Kerry mi ha aiutato, ma per me è un onore. Sua figlia, mia nipote, si sposerà tra due settimane e andrò al matrimonio. Mi dispiace solo che mia sorella gemella non ci sia più, e che non potrà esserci».
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1 commenti:
Brava! Così se qualcuno non ci è ancora arrivato a capire le dinamiche, ci arriverà, si spera. Mica lo scrivono i giornali di Berlusconi, 'ste cose: le scrive il Corriere.
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