Siamo tutti addolorati per quanto è successo a Daniela Santanchè e, prima di commentare con una riflessione, di carattere culturale più che politico, il problema posto dall'abbigliamento delle donne musulmane in Italia, vorrei mettere l'accento su un dato di fatto, l'unico davvero grave: non passa giorno in cui non siamo costretti, per un episodio o per l'altro, ad occuparci della difficilissima convivenza con il mondo islamico. Questo significa che non si tratta di episodi singoli o eccezionali, ma di una realtà patologica radicata nel tessuto della nostra vita quotidiana. Sono ormai molti anni che tentiamo di mettere in guardia i politici sul fatto che il mondo islamico è incompatibile con il mondo occidentale e che alla fine lo scontro sarà inevitabile. Scontro sicuramente doloroso e ingiusto per ambedue le parti dato che si tratta di difendere ciò in cui si crede, ciò cui si dà il massimo valore: la propria religione, sia che si tratti del Corano, sia che si tratti dell'Uguaglianza o della Libertà. Ma i politici non ascoltano. Questo è il loro maggiore difetto. Naturalmente sono in buona fede. Quando, per esempio, Gianfranco Fini insiste nel proporre la concessione della cittadinanza e del voto agli immigrati, appoggia questa proposta nella convinzione che, messi alla pari con gli italiani al massimo limite possibile, non avranno più motivo di sentirsi stranieri e si integreranno perciò con facilità. Purtroppo però questa convinzione discende da una totale ignoranza di che cosa sia una cultura come quella musulmana, fondata e plasmata da un Libro Sacro che risale a molti secoli prima di Cristo in quanto Maometto ha fondato il Corano sul ripristino dell'osservanza dei primi cinque libri dell'Antico Testamento. L'uccisione della donna infedele, per esempio, anche da parte del padre oltre che del marito, tanto per riferirci ad un episodio che ci ha sconvolto soltanto pochi giorni fa, è prescritta dal Deuteronomio, ossia da uno dei libri più antichi della Bibbia convalidati da Maometto. Sarebbe necessario che la Chiesa proponesse essa stessa una revisione dell' Antico Testamento, spingendo così anche gli studiosi del Corano a prendere in considerazione questa possibilità, soprattutto per quanto riguarda la legislazione incompatibile con il mondo moderno. Sia ben chiaro però che questo è soltanto un auspicio, mentre qui abbiamo da risolvere i problemi dell'oggi. L'abbigliamento femminile è un punctum dolens di tutte le società, anche quando non è prescritto da un libro sacro ( non sono passati, poi, troppi anni, da quando le donne italiane non potevano entrare nel palazzo del Parlamento indossando i pantaloni). Il motivo di questa ipersensibilità è facilmente spiegabile: con il loro abiti le donne non soltanto «segnalano» la propria maggiore o minore disponibilità sessuale, ma anche la loro maggiore o minore vicinanza con il mondo dell'al-di-là. Due cose che naturalmente sono collegate l'una all'altra perché così le ha immaginate la fantasia maschile. È sufficiente, per quanto riguarda l'Oriente prima ebraico, poi musulmano, riflettere ai colori: il bianco appartiene ai maschi in quanto non hanno a che fare con il mondo impuro della Morte, dell'al-di-là della Morte, del quale sono invece portatrici le donne ( a causa della procreazione), avvolte perciò totalmente nel nero. Credo, perciò, per quanto ci dispiaccia non poter affrettare questo momento, che la battaglia del «burqa» potrà essere combattuta soltanto dalle donne musulmane quando, come è successo alle occidentali, saranno esse stesse consapevoli dei significati del mondo in cui vivono.
lunedì 21 settembre 2009
Scritto nel corano
L’integrazione è un miraggio. È scritto nel Corano di Ida Magli
Siamo tutti addolorati per quanto è successo a Daniela Santanchè e, prima di commentare con una riflessione, di carattere culturale più che politico, il problema posto dall'abbigliamento delle donne musulmane in Italia, vorrei mettere l'accento su un dato di fatto, l'unico davvero grave: non passa giorno in cui non siamo costretti, per un episodio o per l'altro, ad occuparci della difficilissima convivenza con il mondo islamico. Questo significa che non si tratta di episodi singoli o eccezionali, ma di una realtà patologica radicata nel tessuto della nostra vita quotidiana. Sono ormai molti anni che tentiamo di mettere in guardia i politici sul fatto che il mondo islamico è incompatibile con il mondo occidentale e che alla fine lo scontro sarà inevitabile. Scontro sicuramente doloroso e ingiusto per ambedue le parti dato che si tratta di difendere ciò in cui si crede, ciò cui si dà il massimo valore: la propria religione, sia che si tratti del Corano, sia che si tratti dell'Uguaglianza o della Libertà. Ma i politici non ascoltano. Questo è il loro maggiore difetto. Naturalmente sono in buona fede. Quando, per esempio, Gianfranco Fini insiste nel proporre la concessione della cittadinanza e del voto agli immigrati, appoggia questa proposta nella convinzione che, messi alla pari con gli italiani al massimo limite possibile, non avranno più motivo di sentirsi stranieri e si integreranno perciò con facilità. Purtroppo però questa convinzione discende da una totale ignoranza di che cosa sia una cultura come quella musulmana, fondata e plasmata da un Libro Sacro che risale a molti secoli prima di Cristo in quanto Maometto ha fondato il Corano sul ripristino dell'osservanza dei primi cinque libri dell'Antico Testamento. L'uccisione della donna infedele, per esempio, anche da parte del padre oltre che del marito, tanto per riferirci ad un episodio che ci ha sconvolto soltanto pochi giorni fa, è prescritta dal Deuteronomio, ossia da uno dei libri più antichi della Bibbia convalidati da Maometto. Sarebbe necessario che la Chiesa proponesse essa stessa una revisione dell' Antico Testamento, spingendo così anche gli studiosi del Corano a prendere in considerazione questa possibilità, soprattutto per quanto riguarda la legislazione incompatibile con il mondo moderno. Sia ben chiaro però che questo è soltanto un auspicio, mentre qui abbiamo da risolvere i problemi dell'oggi. L'abbigliamento femminile è un punctum dolens di tutte le società, anche quando non è prescritto da un libro sacro ( non sono passati, poi, troppi anni, da quando le donne italiane non potevano entrare nel palazzo del Parlamento indossando i pantaloni). Il motivo di questa ipersensibilità è facilmente spiegabile: con il loro abiti le donne non soltanto «segnalano» la propria maggiore o minore disponibilità sessuale, ma anche la loro maggiore o minore vicinanza con il mondo dell'al-di-là. Due cose che naturalmente sono collegate l'una all'altra perché così le ha immaginate la fantasia maschile. È sufficiente, per quanto riguarda l'Oriente prima ebraico, poi musulmano, riflettere ai colori: il bianco appartiene ai maschi in quanto non hanno a che fare con il mondo impuro della Morte, dell'al-di-là della Morte, del quale sono invece portatrici le donne ( a causa della procreazione), avvolte perciò totalmente nel nero. Credo, perciò, per quanto ci dispiaccia non poter affrettare questo momento, che la battaglia del «burqa» potrà essere combattuta soltanto dalle donne musulmane quando, come è successo alle occidentali, saranno esse stesse consapevoli dei significati del mondo in cui vivono.
Siamo tutti addolorati per quanto è successo a Daniela Santanchè e, prima di commentare con una riflessione, di carattere culturale più che politico, il problema posto dall'abbigliamento delle donne musulmane in Italia, vorrei mettere l'accento su un dato di fatto, l'unico davvero grave: non passa giorno in cui non siamo costretti, per un episodio o per l'altro, ad occuparci della difficilissima convivenza con il mondo islamico. Questo significa che non si tratta di episodi singoli o eccezionali, ma di una realtà patologica radicata nel tessuto della nostra vita quotidiana. Sono ormai molti anni che tentiamo di mettere in guardia i politici sul fatto che il mondo islamico è incompatibile con il mondo occidentale e che alla fine lo scontro sarà inevitabile. Scontro sicuramente doloroso e ingiusto per ambedue le parti dato che si tratta di difendere ciò in cui si crede, ciò cui si dà il massimo valore: la propria religione, sia che si tratti del Corano, sia che si tratti dell'Uguaglianza o della Libertà. Ma i politici non ascoltano. Questo è il loro maggiore difetto. Naturalmente sono in buona fede. Quando, per esempio, Gianfranco Fini insiste nel proporre la concessione della cittadinanza e del voto agli immigrati, appoggia questa proposta nella convinzione che, messi alla pari con gli italiani al massimo limite possibile, non avranno più motivo di sentirsi stranieri e si integreranno perciò con facilità. Purtroppo però questa convinzione discende da una totale ignoranza di che cosa sia una cultura come quella musulmana, fondata e plasmata da un Libro Sacro che risale a molti secoli prima di Cristo in quanto Maometto ha fondato il Corano sul ripristino dell'osservanza dei primi cinque libri dell'Antico Testamento. L'uccisione della donna infedele, per esempio, anche da parte del padre oltre che del marito, tanto per riferirci ad un episodio che ci ha sconvolto soltanto pochi giorni fa, è prescritta dal Deuteronomio, ossia da uno dei libri più antichi della Bibbia convalidati da Maometto. Sarebbe necessario che la Chiesa proponesse essa stessa una revisione dell' Antico Testamento, spingendo così anche gli studiosi del Corano a prendere in considerazione questa possibilità, soprattutto per quanto riguarda la legislazione incompatibile con il mondo moderno. Sia ben chiaro però che questo è soltanto un auspicio, mentre qui abbiamo da risolvere i problemi dell'oggi. L'abbigliamento femminile è un punctum dolens di tutte le società, anche quando non è prescritto da un libro sacro ( non sono passati, poi, troppi anni, da quando le donne italiane non potevano entrare nel palazzo del Parlamento indossando i pantaloni). Il motivo di questa ipersensibilità è facilmente spiegabile: con il loro abiti le donne non soltanto «segnalano» la propria maggiore o minore disponibilità sessuale, ma anche la loro maggiore o minore vicinanza con il mondo dell'al-di-là. Due cose che naturalmente sono collegate l'una all'altra perché così le ha immaginate la fantasia maschile. È sufficiente, per quanto riguarda l'Oriente prima ebraico, poi musulmano, riflettere ai colori: il bianco appartiene ai maschi in quanto non hanno a che fare con il mondo impuro della Morte, dell'al-di-là della Morte, del quale sono invece portatrici le donne ( a causa della procreazione), avvolte perciò totalmente nel nero. Credo, perciò, per quanto ci dispiaccia non poter affrettare questo momento, che la battaglia del «burqa» potrà essere combattuta soltanto dalle donne musulmane quando, come è successo alle occidentali, saranno esse stesse consapevoli dei significati del mondo in cui vivono.
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2 commenti:
E' vero quel che dice la Magli: quello straccio beduino se lo devono togliere loro di dosso. Nel frattempo che stiano a casa loro a meditare sulla loro reclusione. Qui importiamo solo della gran arretratezza tribale.
Condivido pienamente. Ed è per questo stesso motivo che ritengo inutile una qualsiasi "missione di pace" (?!) in quei paesi. Così come le donne musulmane devono darsi una svegliata e togliersi quel lenzuolo di dosso, così anche tutti loro si devono rendere conto della bestialità di quella religione, e solo quando se ne saranno accorti potranno poi passare al darsi una mossa per uscire dal loro medioevo. In quale altro modo puoi far funzionare una democrazia se la gente che la compone non ne capisce il significato?
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