La signora Navi Pillay, alto commissario Onu per i diritti umani, ha denunciato in un discorso che pronuncerà oggi, ma di cui è già stato diffuso il testo, le attuali politiche nei confronti dei migranti, in particolare nelle zone del Mediterraneo, del golfo di Aden, dei Caraibi, dell’Oceano Indiano, in quanto, a suo dire, violerebbero le norme del diritto internazionale. Naturalmente tale discorso ha fatto riaccendere la polemica in Italia nei riguardi dei respingimenti, sebbene il ministro Maroni abbia più volte ribadito che la legge italiana è conforme alle norme internazionali, cosa che dovrebbe bastare a mettere in pace la coscienza dei numerosissimi San Francesco che vivono nel Bel Paese. È tuttavia evidente, ormai, che, come succede a tutte le leggi, anche il diritto internazionale non è più corrispondente alla realtà e che è proprio questo diritto che deve essere ripensato. Il «diritto d’asilo» per esempio, è nato nei lontanissimi tempi nei quali la pena più grave che veniva inferta a un cittadino era l’esilio; una condanna che discendeva dalla sacralità della terra patria, che sarebbe stata profanata dall’impurità del reo, colpevole di tradimento o di omicidio. Per questo una terra «altra» aveva l’obbligo di accoglierlo: non era rivestita della stessa sacralità, non essendone la patria, e di conseguenza non ne sarebbe stata per nulla contaminata. Dunque, come è evidente, si tratta di casi singoli; il diritto d’asilo di masse di persone non è pensabile. Infatti, oggi si finge che si tratti di casi singoli, sebbene la condanna all'esilio non esista più, ma la finzione non è mai una buona via d'uscita, ed invece è indispensabile ripensare tutta la questione del diritto d’asilo. Il problema attuale dell’immigrazione è la sua numerosità, e i politici così come i legislatori hanno l’obbligo di affrontarlo nei termini reali, quello della numerosità, appunto, eliminando una volta per tutte dai loro discorsi la retorica dei «diritti umani» piantati in cielo. Anche i diritti umani devono essere gestiti da uomini, non da divinità, o da politici che si ritengono divinità. Proviamo, allora, a guardarla in faccia, questa realtà. Mischiare tutti i popoli, sollecitando al massimo l'emigrazione di massa, fa parte del progetto di «uguaglianza» e di «globalizzazione» messo a punto da alcuni politici e da alcune associazioni mondialiste in cui prevalgono uomini di sinistra ed esponenti delle varie Chiese, inclusa quella Cattolica. È un progetto che va contro i sentimenti, gli interessi, i valori dei popoli e che condanna le sinistre a perdere voti e a diventare minoritarie fino a sparire, come in Italia è già successo. È indispensabile, invece, approntare un piano di persuasione e di aiuto concreto, nei loro paesi, ai popoli che ormai scelgono l'emigrazione, anche quando non sarebbe necessario, come strada più comoda per migliorare la propria vita, investendo in questo piano le stesse ricchezze che spendiamo per mantenerli da noi. Abbiamo mezzi di informazione in abbondanza; abbiamo strutture operative di tutti i generi da mandare sul posto per organizzare, insegnare, realizzare. Smettiamola di trattarli come se non potessero fare le stesse cose che facciamo noi: basta insegnarglielo e cominciare a mettere in opera. Non esistono paesi poveri: esistono paesi nei quali non si sfruttano le ricchezze esistenti. Perfino le lotte tribali finirebbero, o almeno sarebbero limitate, se ci fosse un lavoro ordinato, delle produzioni e delle ricchezze da proteggere: è questa la meta che desideriamo per loro e per noi.
martedì 15 settembre 2009
Onu
Il diritto d’asilo è ormai una finzione che piace solo all’Onu di Ida Magli
La signora Navi Pillay, alto commissario Onu per i diritti umani, ha denunciato in un discorso che pronuncerà oggi, ma di cui è già stato diffuso il testo, le attuali politiche nei confronti dei migranti, in particolare nelle zone del Mediterraneo, del golfo di Aden, dei Caraibi, dell’Oceano Indiano, in quanto, a suo dire, violerebbero le norme del diritto internazionale. Naturalmente tale discorso ha fatto riaccendere la polemica in Italia nei riguardi dei respingimenti, sebbene il ministro Maroni abbia più volte ribadito che la legge italiana è conforme alle norme internazionali, cosa che dovrebbe bastare a mettere in pace la coscienza dei numerosissimi San Francesco che vivono nel Bel Paese. È tuttavia evidente, ormai, che, come succede a tutte le leggi, anche il diritto internazionale non è più corrispondente alla realtà e che è proprio questo diritto che deve essere ripensato. Il «diritto d’asilo» per esempio, è nato nei lontanissimi tempi nei quali la pena più grave che veniva inferta a un cittadino era l’esilio; una condanna che discendeva dalla sacralità della terra patria, che sarebbe stata profanata dall’impurità del reo, colpevole di tradimento o di omicidio. Per questo una terra «altra» aveva l’obbligo di accoglierlo: non era rivestita della stessa sacralità, non essendone la patria, e di conseguenza non ne sarebbe stata per nulla contaminata. Dunque, come è evidente, si tratta di casi singoli; il diritto d’asilo di masse di persone non è pensabile. Infatti, oggi si finge che si tratti di casi singoli, sebbene la condanna all'esilio non esista più, ma la finzione non è mai una buona via d'uscita, ed invece è indispensabile ripensare tutta la questione del diritto d’asilo. Il problema attuale dell’immigrazione è la sua numerosità, e i politici così come i legislatori hanno l’obbligo di affrontarlo nei termini reali, quello della numerosità, appunto, eliminando una volta per tutte dai loro discorsi la retorica dei «diritti umani» piantati in cielo. Anche i diritti umani devono essere gestiti da uomini, non da divinità, o da politici che si ritengono divinità. Proviamo, allora, a guardarla in faccia, questa realtà. Mischiare tutti i popoli, sollecitando al massimo l'emigrazione di massa, fa parte del progetto di «uguaglianza» e di «globalizzazione» messo a punto da alcuni politici e da alcune associazioni mondialiste in cui prevalgono uomini di sinistra ed esponenti delle varie Chiese, inclusa quella Cattolica. È un progetto che va contro i sentimenti, gli interessi, i valori dei popoli e che condanna le sinistre a perdere voti e a diventare minoritarie fino a sparire, come in Italia è già successo. È indispensabile, invece, approntare un piano di persuasione e di aiuto concreto, nei loro paesi, ai popoli che ormai scelgono l'emigrazione, anche quando non sarebbe necessario, come strada più comoda per migliorare la propria vita, investendo in questo piano le stesse ricchezze che spendiamo per mantenerli da noi. Abbiamo mezzi di informazione in abbondanza; abbiamo strutture operative di tutti i generi da mandare sul posto per organizzare, insegnare, realizzare. Smettiamola di trattarli come se non potessero fare le stesse cose che facciamo noi: basta insegnarglielo e cominciare a mettere in opera. Non esistono paesi poveri: esistono paesi nei quali non si sfruttano le ricchezze esistenti. Perfino le lotte tribali finirebbero, o almeno sarebbero limitate, se ci fosse un lavoro ordinato, delle produzioni e delle ricchezze da proteggere: è questa la meta che desideriamo per loro e per noi.
La signora Navi Pillay, alto commissario Onu per i diritti umani, ha denunciato in un discorso che pronuncerà oggi, ma di cui è già stato diffuso il testo, le attuali politiche nei confronti dei migranti, in particolare nelle zone del Mediterraneo, del golfo di Aden, dei Caraibi, dell’Oceano Indiano, in quanto, a suo dire, violerebbero le norme del diritto internazionale. Naturalmente tale discorso ha fatto riaccendere la polemica in Italia nei riguardi dei respingimenti, sebbene il ministro Maroni abbia più volte ribadito che la legge italiana è conforme alle norme internazionali, cosa che dovrebbe bastare a mettere in pace la coscienza dei numerosissimi San Francesco che vivono nel Bel Paese. È tuttavia evidente, ormai, che, come succede a tutte le leggi, anche il diritto internazionale non è più corrispondente alla realtà e che è proprio questo diritto che deve essere ripensato. Il «diritto d’asilo» per esempio, è nato nei lontanissimi tempi nei quali la pena più grave che veniva inferta a un cittadino era l’esilio; una condanna che discendeva dalla sacralità della terra patria, che sarebbe stata profanata dall’impurità del reo, colpevole di tradimento o di omicidio. Per questo una terra «altra» aveva l’obbligo di accoglierlo: non era rivestita della stessa sacralità, non essendone la patria, e di conseguenza non ne sarebbe stata per nulla contaminata. Dunque, come è evidente, si tratta di casi singoli; il diritto d’asilo di masse di persone non è pensabile. Infatti, oggi si finge che si tratti di casi singoli, sebbene la condanna all'esilio non esista più, ma la finzione non è mai una buona via d'uscita, ed invece è indispensabile ripensare tutta la questione del diritto d’asilo. Il problema attuale dell’immigrazione è la sua numerosità, e i politici così come i legislatori hanno l’obbligo di affrontarlo nei termini reali, quello della numerosità, appunto, eliminando una volta per tutte dai loro discorsi la retorica dei «diritti umani» piantati in cielo. Anche i diritti umani devono essere gestiti da uomini, non da divinità, o da politici che si ritengono divinità. Proviamo, allora, a guardarla in faccia, questa realtà. Mischiare tutti i popoli, sollecitando al massimo l'emigrazione di massa, fa parte del progetto di «uguaglianza» e di «globalizzazione» messo a punto da alcuni politici e da alcune associazioni mondialiste in cui prevalgono uomini di sinistra ed esponenti delle varie Chiese, inclusa quella Cattolica. È un progetto che va contro i sentimenti, gli interessi, i valori dei popoli e che condanna le sinistre a perdere voti e a diventare minoritarie fino a sparire, come in Italia è già successo. È indispensabile, invece, approntare un piano di persuasione e di aiuto concreto, nei loro paesi, ai popoli che ormai scelgono l'emigrazione, anche quando non sarebbe necessario, come strada più comoda per migliorare la propria vita, investendo in questo piano le stesse ricchezze che spendiamo per mantenerli da noi. Abbiamo mezzi di informazione in abbondanza; abbiamo strutture operative di tutti i generi da mandare sul posto per organizzare, insegnare, realizzare. Smettiamola di trattarli come se non potessero fare le stesse cose che facciamo noi: basta insegnarglielo e cominciare a mettere in opera. Non esistono paesi poveri: esistono paesi nei quali non si sfruttano le ricchezze esistenti. Perfino le lotte tribali finirebbero, o almeno sarebbero limitate, se ci fosse un lavoro ordinato, delle produzioni e delle ricchezze da proteggere: è questa la meta che desideriamo per loro e per noi.
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