Ma quanti armoniosi minuetti, quali sofisticati distinguo, che sfoggi di fantasia letteraria, abbiamo letto ieri sui quotidiani italiani di solito scatenati e furiosi come Erinni quando un minimo rischio di comportamento o anche solo intenzione razzista sfiora il Bel Paese. Stavolta no, stavolta la mascalzonata l’hanno fatta i compagni, una bella giunta di centro sinistra e un sindaco eletto nelle liste del Partito Democratico, Orazio Ciliberti, a Foggia; stavolta non è successo nel bieco nord leghista, in specie nell’infame triangolo nordestino dove vivono e affamano amministratori come Tosi e Gentilini, ma nel sud, nella Puglia di Nichi Vendola, che in ritardo e flebilmente si dissocia. Allora sui giornali partono le esercitazioni di fioretto, le situazioni si fanno ingestibili, gli immigrati sono troppi, soprattutto «non è razzismo», perché «si fa presto a dire razzismo», per dirla con il manifesto. Il tutto, invece del consueto titolone di prima pagina grondante sangue e ritorno al fascismo, è stato ben occultato nelle cronache e con trucco di impaginazione avanzata. Il fatto. Da lunedì viaggeranno separati - gli immigrati su un pullman, i residenti su un altro - sulla linea 24 dell’Ataf, l’azienda di trasporti locale, che da Borgo Mezzanone porta a Foggia. «Nessuna segregazione», ha detto il sindaco Ciliberti. Nessuno infatti, stando alle spiegazioni ufficiali, impedirà al migliaio d’immigrati del centro di accoglienza «Cara» di Borgo Mezzanone di salire sullo stesso autobus dei cittadini della borgata. Solo che non ne avranno più bisogno. È stata creata una linea «dedicata» ai rifugiati che li trasporterà dal centro d’accoglienza al centro della città e ritorno. Gli abitanti del borgo invece potranno viaggiare su un’altra linea, sempre per lo stesso tragitto, ma partendo da un luogo diverso. Ancora Ciliberti precisa che si tratta di una decisione presa per ragioni di sicurezza, una misura di prevenzione, studiata d’intesa con la prefettura, per eliminare gli attriti tra la popolazione e gli immigrati. Perciò da lunedì la linea 24 diventa anche 24/1. Il centro d’accoglienza, realizzato per ospitare cinquecento persone, è arrivato un mese fa ad accoglierne milleduecento, e in questi giorni è a quota ottocento. Sono clandestini che dopo lo sbarco in Italia hanno chiesto lo status di rifugiati politici, e sono in attesa di una risposta. A quanto pare il comportamento pubblico non era dei più decorosi, al capolinea volavano schiaffoni, gli autisti sono stati malmenati, di pagare il biglietto non se ne parlava, le vetture arrivavano a fine corsa cariche di rifiuti e residui sgradevoli. Dopo numerosi interventi della forza pubblica, chiamata a presidiare il capolinea della tremenda linea 24, è stata presa la decisione di raddoppiare per separare, al costo di 120mila euro l’anno.La morale, ammesso che ce ne sia una, e che ci consoli. Se gli immigrati in attesa di status di rifugiati sono così numerosi, a Foggia come in altre città, evidentemente non siamo così intransigenti e chiusi al mondo, come volentieri invece veniamo dipinti, noi italiani e il governo attuale. Piuttosto siamo generosi e accoglienti, e se ci vuole qualche tempo per vagliare il diritto allo stato di rifugiato, è perché un minimo di rigore e di verifiche sono la garanzia che non ci mettiamo dei delinquenti o dei millantatori in casa, considerazione che dovrebbe rassicurare tutti. Invece no, perché sempre per citarne uno solo, il manifesto, è pur vero che «il messaggio che passa è di separazione fra italiani e immigrati», ma è sacrosanto che «va sempre a finire così quando si costruiscono situazioni ingestibili». Capito? Ascoltate la descrizione, che è da manuale del politically correct, servito un tanto al chilo. «Esasperazione terreno fertile per il razzismo: gli abitanti del borgo che protestano, e che cominciano a lamentarsi anche per la sicurezza, se ci sono dei ragazzi del centro che si fermano al bar a bere una birra, o per l’igiene, perché hanno visto qualcuno urinare per la strada». I termini sicurezza e igiene sono rigorosamente virgolettati, ad evocarne la pretestuosità. È giusto, solo l’effetto nefasto che promana dal governo di Silvio Berlusconi può indurre gli abitanti del paese foggiano a non gradire che si vada al bar per provocare risse al momento del passaggio alla cassa, o che si dia libero e pubblico sfogo a impellenti necessità di minzione. Gli scontrini e i gabinetti sono un dovere richiesto agli italiani, ma sconveniente da esigere con gli immigrati. Che può fare a questo punto un povero sindaco sinceramente Democratico? Può, anzi deve, prendere una decisione che appare di separazione, che odora di razzismo, ma che è invece dettata dal bisogno e dalle responsabilità altrui. Sia chiaro, la misura non desta in me il minimo scandalo, non mi viene in mente il Sudafrica, l’apartheid, o sciocchezze del genere. Immagino che si sia fatta la scelta meno dolorosa per la popolazione, già provata dalla convivenza forzata, anche se controversa. Quel che non va bene, anzi va malissimo, è l’esercizio dell’antirazzismo eroico e del mito dell’accoglienza a tutti i costi solo quando serve a fare propaganda politica e a disorientare l’opinione pubblica. Da oggi sappiamo che esistono sempre eccezioni, la doppia morale e il doppio peso, vizi capitali della sinistra italiana e dei suoi giornalisti, funzionano anche per l’immigrato.
sabato 4 aprile 2009
Su Foggia
Se il razzismo è politicamente corretto di Maria Giovanna Maglie
Ma quanti armoniosi minuetti, quali sofisticati distinguo, che sfoggi di fantasia letteraria, abbiamo letto ieri sui quotidiani italiani di solito scatenati e furiosi come Erinni quando un minimo rischio di comportamento o anche solo intenzione razzista sfiora il Bel Paese. Stavolta no, stavolta la mascalzonata l’hanno fatta i compagni, una bella giunta di centro sinistra e un sindaco eletto nelle liste del Partito Democratico, Orazio Ciliberti, a Foggia; stavolta non è successo nel bieco nord leghista, in specie nell’infame triangolo nordestino dove vivono e affamano amministratori come Tosi e Gentilini, ma nel sud, nella Puglia di Nichi Vendola, che in ritardo e flebilmente si dissocia. Allora sui giornali partono le esercitazioni di fioretto, le situazioni si fanno ingestibili, gli immigrati sono troppi, soprattutto «non è razzismo», perché «si fa presto a dire razzismo», per dirla con il manifesto. Il tutto, invece del consueto titolone di prima pagina grondante sangue e ritorno al fascismo, è stato ben occultato nelle cronache e con trucco di impaginazione avanzata. Il fatto. Da lunedì viaggeranno separati - gli immigrati su un pullman, i residenti su un altro - sulla linea 24 dell’Ataf, l’azienda di trasporti locale, che da Borgo Mezzanone porta a Foggia. «Nessuna segregazione», ha detto il sindaco Ciliberti. Nessuno infatti, stando alle spiegazioni ufficiali, impedirà al migliaio d’immigrati del centro di accoglienza «Cara» di Borgo Mezzanone di salire sullo stesso autobus dei cittadini della borgata. Solo che non ne avranno più bisogno. È stata creata una linea «dedicata» ai rifugiati che li trasporterà dal centro d’accoglienza al centro della città e ritorno. Gli abitanti del borgo invece potranno viaggiare su un’altra linea, sempre per lo stesso tragitto, ma partendo da un luogo diverso. Ancora Ciliberti precisa che si tratta di una decisione presa per ragioni di sicurezza, una misura di prevenzione, studiata d’intesa con la prefettura, per eliminare gli attriti tra la popolazione e gli immigrati. Perciò da lunedì la linea 24 diventa anche 24/1. Il centro d’accoglienza, realizzato per ospitare cinquecento persone, è arrivato un mese fa ad accoglierne milleduecento, e in questi giorni è a quota ottocento. Sono clandestini che dopo lo sbarco in Italia hanno chiesto lo status di rifugiati politici, e sono in attesa di una risposta. A quanto pare il comportamento pubblico non era dei più decorosi, al capolinea volavano schiaffoni, gli autisti sono stati malmenati, di pagare il biglietto non se ne parlava, le vetture arrivavano a fine corsa cariche di rifiuti e residui sgradevoli. Dopo numerosi interventi della forza pubblica, chiamata a presidiare il capolinea della tremenda linea 24, è stata presa la decisione di raddoppiare per separare, al costo di 120mila euro l’anno.La morale, ammesso che ce ne sia una, e che ci consoli. Se gli immigrati in attesa di status di rifugiati sono così numerosi, a Foggia come in altre città, evidentemente non siamo così intransigenti e chiusi al mondo, come volentieri invece veniamo dipinti, noi italiani e il governo attuale. Piuttosto siamo generosi e accoglienti, e se ci vuole qualche tempo per vagliare il diritto allo stato di rifugiato, è perché un minimo di rigore e di verifiche sono la garanzia che non ci mettiamo dei delinquenti o dei millantatori in casa, considerazione che dovrebbe rassicurare tutti. Invece no, perché sempre per citarne uno solo, il manifesto, è pur vero che «il messaggio che passa è di separazione fra italiani e immigrati», ma è sacrosanto che «va sempre a finire così quando si costruiscono situazioni ingestibili». Capito? Ascoltate la descrizione, che è da manuale del politically correct, servito un tanto al chilo. «Esasperazione terreno fertile per il razzismo: gli abitanti del borgo che protestano, e che cominciano a lamentarsi anche per la sicurezza, se ci sono dei ragazzi del centro che si fermano al bar a bere una birra, o per l’igiene, perché hanno visto qualcuno urinare per la strada». I termini sicurezza e igiene sono rigorosamente virgolettati, ad evocarne la pretestuosità. È giusto, solo l’effetto nefasto che promana dal governo di Silvio Berlusconi può indurre gli abitanti del paese foggiano a non gradire che si vada al bar per provocare risse al momento del passaggio alla cassa, o che si dia libero e pubblico sfogo a impellenti necessità di minzione. Gli scontrini e i gabinetti sono un dovere richiesto agli italiani, ma sconveniente da esigere con gli immigrati. Che può fare a questo punto un povero sindaco sinceramente Democratico? Può, anzi deve, prendere una decisione che appare di separazione, che odora di razzismo, ma che è invece dettata dal bisogno e dalle responsabilità altrui. Sia chiaro, la misura non desta in me il minimo scandalo, non mi viene in mente il Sudafrica, l’apartheid, o sciocchezze del genere. Immagino che si sia fatta la scelta meno dolorosa per la popolazione, già provata dalla convivenza forzata, anche se controversa. Quel che non va bene, anzi va malissimo, è l’esercizio dell’antirazzismo eroico e del mito dell’accoglienza a tutti i costi solo quando serve a fare propaganda politica e a disorientare l’opinione pubblica. Da oggi sappiamo che esistono sempre eccezioni, la doppia morale e il doppio peso, vizi capitali della sinistra italiana e dei suoi giornalisti, funzionano anche per l’immigrato.
Ma quanti armoniosi minuetti, quali sofisticati distinguo, che sfoggi di fantasia letteraria, abbiamo letto ieri sui quotidiani italiani di solito scatenati e furiosi come Erinni quando un minimo rischio di comportamento o anche solo intenzione razzista sfiora il Bel Paese. Stavolta no, stavolta la mascalzonata l’hanno fatta i compagni, una bella giunta di centro sinistra e un sindaco eletto nelle liste del Partito Democratico, Orazio Ciliberti, a Foggia; stavolta non è successo nel bieco nord leghista, in specie nell’infame triangolo nordestino dove vivono e affamano amministratori come Tosi e Gentilini, ma nel sud, nella Puglia di Nichi Vendola, che in ritardo e flebilmente si dissocia. Allora sui giornali partono le esercitazioni di fioretto, le situazioni si fanno ingestibili, gli immigrati sono troppi, soprattutto «non è razzismo», perché «si fa presto a dire razzismo», per dirla con il manifesto. Il tutto, invece del consueto titolone di prima pagina grondante sangue e ritorno al fascismo, è stato ben occultato nelle cronache e con trucco di impaginazione avanzata. Il fatto. Da lunedì viaggeranno separati - gli immigrati su un pullman, i residenti su un altro - sulla linea 24 dell’Ataf, l’azienda di trasporti locale, che da Borgo Mezzanone porta a Foggia. «Nessuna segregazione», ha detto il sindaco Ciliberti. Nessuno infatti, stando alle spiegazioni ufficiali, impedirà al migliaio d’immigrati del centro di accoglienza «Cara» di Borgo Mezzanone di salire sullo stesso autobus dei cittadini della borgata. Solo che non ne avranno più bisogno. È stata creata una linea «dedicata» ai rifugiati che li trasporterà dal centro d’accoglienza al centro della città e ritorno. Gli abitanti del borgo invece potranno viaggiare su un’altra linea, sempre per lo stesso tragitto, ma partendo da un luogo diverso. Ancora Ciliberti precisa che si tratta di una decisione presa per ragioni di sicurezza, una misura di prevenzione, studiata d’intesa con la prefettura, per eliminare gli attriti tra la popolazione e gli immigrati. Perciò da lunedì la linea 24 diventa anche 24/1. Il centro d’accoglienza, realizzato per ospitare cinquecento persone, è arrivato un mese fa ad accoglierne milleduecento, e in questi giorni è a quota ottocento. Sono clandestini che dopo lo sbarco in Italia hanno chiesto lo status di rifugiati politici, e sono in attesa di una risposta. A quanto pare il comportamento pubblico non era dei più decorosi, al capolinea volavano schiaffoni, gli autisti sono stati malmenati, di pagare il biglietto non se ne parlava, le vetture arrivavano a fine corsa cariche di rifiuti e residui sgradevoli. Dopo numerosi interventi della forza pubblica, chiamata a presidiare il capolinea della tremenda linea 24, è stata presa la decisione di raddoppiare per separare, al costo di 120mila euro l’anno.La morale, ammesso che ce ne sia una, e che ci consoli. Se gli immigrati in attesa di status di rifugiati sono così numerosi, a Foggia come in altre città, evidentemente non siamo così intransigenti e chiusi al mondo, come volentieri invece veniamo dipinti, noi italiani e il governo attuale. Piuttosto siamo generosi e accoglienti, e se ci vuole qualche tempo per vagliare il diritto allo stato di rifugiato, è perché un minimo di rigore e di verifiche sono la garanzia che non ci mettiamo dei delinquenti o dei millantatori in casa, considerazione che dovrebbe rassicurare tutti. Invece no, perché sempre per citarne uno solo, il manifesto, è pur vero che «il messaggio che passa è di separazione fra italiani e immigrati», ma è sacrosanto che «va sempre a finire così quando si costruiscono situazioni ingestibili». Capito? Ascoltate la descrizione, che è da manuale del politically correct, servito un tanto al chilo. «Esasperazione terreno fertile per il razzismo: gli abitanti del borgo che protestano, e che cominciano a lamentarsi anche per la sicurezza, se ci sono dei ragazzi del centro che si fermano al bar a bere una birra, o per l’igiene, perché hanno visto qualcuno urinare per la strada». I termini sicurezza e igiene sono rigorosamente virgolettati, ad evocarne la pretestuosità. È giusto, solo l’effetto nefasto che promana dal governo di Silvio Berlusconi può indurre gli abitanti del paese foggiano a non gradire che si vada al bar per provocare risse al momento del passaggio alla cassa, o che si dia libero e pubblico sfogo a impellenti necessità di minzione. Gli scontrini e i gabinetti sono un dovere richiesto agli italiani, ma sconveniente da esigere con gli immigrati. Che può fare a questo punto un povero sindaco sinceramente Democratico? Può, anzi deve, prendere una decisione che appare di separazione, che odora di razzismo, ma che è invece dettata dal bisogno e dalle responsabilità altrui. Sia chiaro, la misura non desta in me il minimo scandalo, non mi viene in mente il Sudafrica, l’apartheid, o sciocchezze del genere. Immagino che si sia fatta la scelta meno dolorosa per la popolazione, già provata dalla convivenza forzata, anche se controversa. Quel che non va bene, anzi va malissimo, è l’esercizio dell’antirazzismo eroico e del mito dell’accoglienza a tutti i costi solo quando serve a fare propaganda politica e a disorientare l’opinione pubblica. Da oggi sappiamo che esistono sempre eccezioni, la doppia morale e il doppio peso, vizi capitali della sinistra italiana e dei suoi giornalisti, funzionano anche per l’immigrato.
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