Roma - Ayo ha Superga blu tarocche ai piedi, giacca trapuntata e berrettino jeans. Un sospetto di baffi, parla zero italiano e un rudimentale inglese. Il suo curriculum italiano è stringato: un viaggio in «boat», in barca verso Lampedusa, in «Sicily»; e poi a Roma, due mesi al Cie, il Centro di identificazione ed espulsione di Ponte Galeria, non più Roma non ancora Fiumicino. Quando gli si spalanca il cancello bianco elettronico esce da quello che lui chiama «camp» con una busta nera della spazzatura per unico bagaglio, che stringe come chissà quale tesoro. E se è vero, come dice Alessandra Mussolini, che i Cie non sono prigioni, nemmeno può dirsi che Ayo abbia l’aria di uscire dalla suite di un grande albergo. Aspetta il trenino per Roma alla vicina stazione della nuova Fiera perché così gli hanno detto, non fa il biglietto perché non ha soldi e chiede a noi perché non c’è nessun altro: «Napoli?». A lui si aggrega Adia: maglia bianca, capelli miniati in treccine, un passo avanti nell’inglese e nel bagaglio a mano: borsa fiorata per la spesa. Anche lei esce dal «camp», anche lei non ha soldi, anche lei non sa dove andare. È un attimo: Napoli con Ayo. Raggiungono Tiburtina con il trenino - e il controllore che tanto non passa mai - poi Termini con il biglietto della metro offerto da chi scrive. Saliranno sul regionale per Napoli delle 12.49 dal binario 14 di Termini: meno controlli di un Eurostar. Un viaggio a rimpiattino nei bagni e a guardarsi in giro. Un viaggio? Una vita. E a Napoli? Scrollano le spalle. «A Napoli tanti black». E poi? «E poi Caritas». Per ora mangiano un panino con 5 euro che gli allunghiamo chiedendo loro: ma non dovreste lasciare l’Italia? «No, we stay in Italy. Italy best country», dicono facendo i finti tonti e guardando con malcelata invidia i rom che suonano la fisarmonica sui convogli della metro B da Tiburtina a Termini raccogliendo pochi spiccioli che a chi ha la vita in una plastica da cassonetto devono sembrare una chimera. Ayo e Adia sono due tra i circa mille clandestini arrivati a Lampedusa che ieri hanno lasciato i Cie (già Cpt) di tutta Italia nella festa della liberazione con un giorno di ritardo che l’emendamento Franceschini ha voluto regalar loro, impedendo l’aumento da due a sei mesi del tempo di permanenza nelle strutture. Sì, va bene: escono con l’impegno di andarsene dall’Italia entro cinque giorni. Ma è un ordine che quasi nessuno rispetterà. Non Ayo e Adia nel frattempo saliti sul regionale per Napoli. E poi vattelapesca. E nemmeno Inessa, russa che parla un italiano a macchinetta. Ha fatto la badante a Pavia («conosci Pavia?») e cercherà di tornarci: «Lì mi conoscono tutti, d’estate tanto lavoro, d’inverno no. Ma ora arriva estate», dice sorridendo con i denti d’oro. Dal suo punto di vista non ha tutti i torti, si sente una derelitta meno derelitta di altri, Inessa: «Noi russi e ucraini trovare lavoro, africani non trovare, solo vendere sigarette a noi, come nel campo». Sigarette barattate con schede telefoniche. O fumi o senti la famiglia lontana. Ma anche l’Italia fa i suoi conti. I sindacati di polizia hanno calcolato che 1.038 clandestini di Lampedusa, tra trasferimento dall’isola ai vari Cie italiani in voli speciali, espulsione di quelli che si potrà espellere e impegno delle forze dell’ordine, costerà allo Stato 350mila euro. Del resto, la legge prevede una trafila di arresti, rilasci, ritorni nei centri di identificazioni spesso infinita. Per questo ieri a Milano, al Cie di via Corelli, 84 posti sulla carta, chissà quanti in verità, il parlamentare della Lega Nord Matteo Salvini con altri simpatizzanti del Carroccio ha deposto una grossa corona di fiori per protestare contro l’emendamento «salvaclandestini» targato Pd ma anche Udc e parte del Pdl, che sta dando i suoi frutti avvelenati. «Ma la Lega non ci sta e tornerà a combattere perché questa è casa nostra», ha detto Salvini guardando un gruppo di esponenti dei centri sociali tenuti lontani dalle forze dell’ordine. Per loro qualche slogan: «No ai Cie, lager della democrazia». E mentre il ministro della Difesa Ignazio La Russa promette «una legge in tempo record perché è giusto che ci sia tutto il tempo per identificare i clandestini da mandare a casa loro», alza la posta il capogruppo Pdl al Senato, Maurizio Gasparri: «Per i clandestini il termine di trattenimento deve essere allungato. L’Europa prevede fino a 18 mesi. L’Italia si adeguerà. Siamo al governo per un’Italia più sicura non per proseguire la politica della sinistra di resa all’illegalità. Meno clandestini è una priorità assoluta per tutto il Pdl». Intanto Ayo, Adia e Inessa spariscono con le loro buste di plastica piene di sigarette e di sogni italiani.
lunedì 27 aprile 2009
Magie clandestine
I clandestini liberati sono già "scomparsi" di Andrea Cuomo
Roma - Ayo ha Superga blu tarocche ai piedi, giacca trapuntata e berrettino jeans. Un sospetto di baffi, parla zero italiano e un rudimentale inglese. Il suo curriculum italiano è stringato: un viaggio in «boat», in barca verso Lampedusa, in «Sicily»; e poi a Roma, due mesi al Cie, il Centro di identificazione ed espulsione di Ponte Galeria, non più Roma non ancora Fiumicino. Quando gli si spalanca il cancello bianco elettronico esce da quello che lui chiama «camp» con una busta nera della spazzatura per unico bagaglio, che stringe come chissà quale tesoro. E se è vero, come dice Alessandra Mussolini, che i Cie non sono prigioni, nemmeno può dirsi che Ayo abbia l’aria di uscire dalla suite di un grande albergo. Aspetta il trenino per Roma alla vicina stazione della nuova Fiera perché così gli hanno detto, non fa il biglietto perché non ha soldi e chiede a noi perché non c’è nessun altro: «Napoli?». A lui si aggrega Adia: maglia bianca, capelli miniati in treccine, un passo avanti nell’inglese e nel bagaglio a mano: borsa fiorata per la spesa. Anche lei esce dal «camp», anche lei non ha soldi, anche lei non sa dove andare. È un attimo: Napoli con Ayo. Raggiungono Tiburtina con il trenino - e il controllore che tanto non passa mai - poi Termini con il biglietto della metro offerto da chi scrive. Saliranno sul regionale per Napoli delle 12.49 dal binario 14 di Termini: meno controlli di un Eurostar. Un viaggio a rimpiattino nei bagni e a guardarsi in giro. Un viaggio? Una vita. E a Napoli? Scrollano le spalle. «A Napoli tanti black». E poi? «E poi Caritas». Per ora mangiano un panino con 5 euro che gli allunghiamo chiedendo loro: ma non dovreste lasciare l’Italia? «No, we stay in Italy. Italy best country», dicono facendo i finti tonti e guardando con malcelata invidia i rom che suonano la fisarmonica sui convogli della metro B da Tiburtina a Termini raccogliendo pochi spiccioli che a chi ha la vita in una plastica da cassonetto devono sembrare una chimera. Ayo e Adia sono due tra i circa mille clandestini arrivati a Lampedusa che ieri hanno lasciato i Cie (già Cpt) di tutta Italia nella festa della liberazione con un giorno di ritardo che l’emendamento Franceschini ha voluto regalar loro, impedendo l’aumento da due a sei mesi del tempo di permanenza nelle strutture. Sì, va bene: escono con l’impegno di andarsene dall’Italia entro cinque giorni. Ma è un ordine che quasi nessuno rispetterà. Non Ayo e Adia nel frattempo saliti sul regionale per Napoli. E poi vattelapesca. E nemmeno Inessa, russa che parla un italiano a macchinetta. Ha fatto la badante a Pavia («conosci Pavia?») e cercherà di tornarci: «Lì mi conoscono tutti, d’estate tanto lavoro, d’inverno no. Ma ora arriva estate», dice sorridendo con i denti d’oro. Dal suo punto di vista non ha tutti i torti, si sente una derelitta meno derelitta di altri, Inessa: «Noi russi e ucraini trovare lavoro, africani non trovare, solo vendere sigarette a noi, come nel campo». Sigarette barattate con schede telefoniche. O fumi o senti la famiglia lontana. Ma anche l’Italia fa i suoi conti. I sindacati di polizia hanno calcolato che 1.038 clandestini di Lampedusa, tra trasferimento dall’isola ai vari Cie italiani in voli speciali, espulsione di quelli che si potrà espellere e impegno delle forze dell’ordine, costerà allo Stato 350mila euro. Del resto, la legge prevede una trafila di arresti, rilasci, ritorni nei centri di identificazioni spesso infinita. Per questo ieri a Milano, al Cie di via Corelli, 84 posti sulla carta, chissà quanti in verità, il parlamentare della Lega Nord Matteo Salvini con altri simpatizzanti del Carroccio ha deposto una grossa corona di fiori per protestare contro l’emendamento «salvaclandestini» targato Pd ma anche Udc e parte del Pdl, che sta dando i suoi frutti avvelenati. «Ma la Lega non ci sta e tornerà a combattere perché questa è casa nostra», ha detto Salvini guardando un gruppo di esponenti dei centri sociali tenuti lontani dalle forze dell’ordine. Per loro qualche slogan: «No ai Cie, lager della democrazia». E mentre il ministro della Difesa Ignazio La Russa promette «una legge in tempo record perché è giusto che ci sia tutto il tempo per identificare i clandestini da mandare a casa loro», alza la posta il capogruppo Pdl al Senato, Maurizio Gasparri: «Per i clandestini il termine di trattenimento deve essere allungato. L’Europa prevede fino a 18 mesi. L’Italia si adeguerà. Siamo al governo per un’Italia più sicura non per proseguire la politica della sinistra di resa all’illegalità. Meno clandestini è una priorità assoluta per tutto il Pdl». Intanto Ayo, Adia e Inessa spariscono con le loro buste di plastica piene di sigarette e di sogni italiani.
Roma - Ayo ha Superga blu tarocche ai piedi, giacca trapuntata e berrettino jeans. Un sospetto di baffi, parla zero italiano e un rudimentale inglese. Il suo curriculum italiano è stringato: un viaggio in «boat», in barca verso Lampedusa, in «Sicily»; e poi a Roma, due mesi al Cie, il Centro di identificazione ed espulsione di Ponte Galeria, non più Roma non ancora Fiumicino. Quando gli si spalanca il cancello bianco elettronico esce da quello che lui chiama «camp» con una busta nera della spazzatura per unico bagaglio, che stringe come chissà quale tesoro. E se è vero, come dice Alessandra Mussolini, che i Cie non sono prigioni, nemmeno può dirsi che Ayo abbia l’aria di uscire dalla suite di un grande albergo. Aspetta il trenino per Roma alla vicina stazione della nuova Fiera perché così gli hanno detto, non fa il biglietto perché non ha soldi e chiede a noi perché non c’è nessun altro: «Napoli?». A lui si aggrega Adia: maglia bianca, capelli miniati in treccine, un passo avanti nell’inglese e nel bagaglio a mano: borsa fiorata per la spesa. Anche lei esce dal «camp», anche lei non ha soldi, anche lei non sa dove andare. È un attimo: Napoli con Ayo. Raggiungono Tiburtina con il trenino - e il controllore che tanto non passa mai - poi Termini con il biglietto della metro offerto da chi scrive. Saliranno sul regionale per Napoli delle 12.49 dal binario 14 di Termini: meno controlli di un Eurostar. Un viaggio a rimpiattino nei bagni e a guardarsi in giro. Un viaggio? Una vita. E a Napoli? Scrollano le spalle. «A Napoli tanti black». E poi? «E poi Caritas». Per ora mangiano un panino con 5 euro che gli allunghiamo chiedendo loro: ma non dovreste lasciare l’Italia? «No, we stay in Italy. Italy best country», dicono facendo i finti tonti e guardando con malcelata invidia i rom che suonano la fisarmonica sui convogli della metro B da Tiburtina a Termini raccogliendo pochi spiccioli che a chi ha la vita in una plastica da cassonetto devono sembrare una chimera. Ayo e Adia sono due tra i circa mille clandestini arrivati a Lampedusa che ieri hanno lasciato i Cie (già Cpt) di tutta Italia nella festa della liberazione con un giorno di ritardo che l’emendamento Franceschini ha voluto regalar loro, impedendo l’aumento da due a sei mesi del tempo di permanenza nelle strutture. Sì, va bene: escono con l’impegno di andarsene dall’Italia entro cinque giorni. Ma è un ordine che quasi nessuno rispetterà. Non Ayo e Adia nel frattempo saliti sul regionale per Napoli. E poi vattelapesca. E nemmeno Inessa, russa che parla un italiano a macchinetta. Ha fatto la badante a Pavia («conosci Pavia?») e cercherà di tornarci: «Lì mi conoscono tutti, d’estate tanto lavoro, d’inverno no. Ma ora arriva estate», dice sorridendo con i denti d’oro. Dal suo punto di vista non ha tutti i torti, si sente una derelitta meno derelitta di altri, Inessa: «Noi russi e ucraini trovare lavoro, africani non trovare, solo vendere sigarette a noi, come nel campo». Sigarette barattate con schede telefoniche. O fumi o senti la famiglia lontana. Ma anche l’Italia fa i suoi conti. I sindacati di polizia hanno calcolato che 1.038 clandestini di Lampedusa, tra trasferimento dall’isola ai vari Cie italiani in voli speciali, espulsione di quelli che si potrà espellere e impegno delle forze dell’ordine, costerà allo Stato 350mila euro. Del resto, la legge prevede una trafila di arresti, rilasci, ritorni nei centri di identificazioni spesso infinita. Per questo ieri a Milano, al Cie di via Corelli, 84 posti sulla carta, chissà quanti in verità, il parlamentare della Lega Nord Matteo Salvini con altri simpatizzanti del Carroccio ha deposto una grossa corona di fiori per protestare contro l’emendamento «salvaclandestini» targato Pd ma anche Udc e parte del Pdl, che sta dando i suoi frutti avvelenati. «Ma la Lega non ci sta e tornerà a combattere perché questa è casa nostra», ha detto Salvini guardando un gruppo di esponenti dei centri sociali tenuti lontani dalle forze dell’ordine. Per loro qualche slogan: «No ai Cie, lager della democrazia». E mentre il ministro della Difesa Ignazio La Russa promette «una legge in tempo record perché è giusto che ci sia tutto il tempo per identificare i clandestini da mandare a casa loro», alza la posta il capogruppo Pdl al Senato, Maurizio Gasparri: «Per i clandestini il termine di trattenimento deve essere allungato. L’Europa prevede fino a 18 mesi. L’Italia si adeguerà. Siamo al governo per un’Italia più sicura non per proseguire la politica della sinistra di resa all’illegalità. Meno clandestini è una priorità assoluta per tutto il Pdl». Intanto Ayo, Adia e Inessa spariscono con le loro buste di plastica piene di sigarette e di sogni italiani.
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