ROMA — Tutti fuori. I 1038 clandestini di Lampedusa, che il governo avrebbe voluto tenere nei centri di identificazione fino al rimpatrio, sono già tutti liberi. Tecnicamente espulsi. Con un'operazione iniziata già da una settimana. Prima la dislocazione nei vari centri di identificazione di tutta Italia. Trasferiti con voli speciali a Torino, Gorizia, Roma, Bologna, Caltanissetta, Milano, Trapani. Drappelli di 200-250 al giorno diluiti in gruppi di 30-50 per ogni centro. Con l'intento, spiegano al Viminale, di evitare l'esodo di massa che avrebbe portato ulteriori problemi di sicurezza, ma anche di aiutarli ad andar via. In mano hanno tutti un foglio che gli intima di lasciare l'Italia entro 5 giorni. Pena, almeno teorica, la reclusione da 1 a 4 anni. Un'operazione che, secondo i sindacati di polizia, costerà almeno 350 mila euro, escluso il personale. «Un costo non solo economico ma anche di impegno sottratto ad altri compiti» denuncia Enzo Letizia, del sindacato funzionari di polizia che spiega come la minaccia di reclusione per i clandestini disobbedienti sia solo teorica. «Se chi non ottempera all'obbligo di lasciare l'Italia viene fermato la prima volta viene arrestato e condannato. Ma se non ha precedenti, solitamente, viene rimesso in libertà. Fermato la seconda volta non possiamo riarrestarlo, perché secondo un'interpretazione giurisprudenziale della Cassazione, spetta allo Stato riaccompagnarlo nel suo Paese. Lo possiamo riportare nel centro identificazione, se c'è posto, con la speranza che il suo Paese lo riprenda. Altrimenti, 60 giorni dopo ricomincia il giro vizioso». Per i mille di Lampedusa, gran parte tunisini, ora inizia l'ultima fase del viaggio. Molti hanno in mente di arrivare in Francia. C'è chi ha già contattato parenti in Italia. Tutti senza soldi né vestiti cercheranno a ogni costo di non tornare mai più nell'inferno vissuto. Il ministro dell'Interno Roberto Maroni, al Corriere della Sera, ha parlato di indulto. «E non è finita qui» avverte il sottosegretario agli Interni, Alfredo Mantovano, «a quelli che festeggiano la Liberazione tra qualche giorno se ne aggiungeranno altri cento. Saranno trecento tra due settimane. E così via». Lui, relatore del pacchetto sicurezza che conteneva la norma sul prolungamento della permanenza nei Cie dei clandestini, aveva avvertito che sarebbe andata così. Ma per due volte quella parte del provvedimento, stralciata per salvarne il resto, era stata bocciata. «Impallinata» nel voto segreto anche da parlamentari del Pdl che, rimarca Mantovano, «hanno avuto il voto degli elettori promettendo di rafforzare la sicurezza, ma poi hanno votato contro soltanto per scaricare tensioni politiche estranee alla materia del provvedimento». Ora il governo ci riprova. La prossima settimana in commissione alla Camera, dove è in discussione il ddl sicurezza, sarà riproposto un emendamento che allunga a 6 mesi dagli attuali 2, i tempi di permanenza nei Cie in attesa di espulsione. «Speriamo — dice Mantovano — che dopo il disastro combinato i parlamentari approvino regole che sono europee».
Virginia Piccolillo
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