giovedì 23 aprile 2009

Clandestini

La via umanitaria all'intolleranza di Davide Giacalone

...Dopo la Pinar, ne arriveranno altre. Dopo i 140 disperati che abbiamo tratto in salvo, altri seguiranno il loro esempio, come moltissimi altri lo hanno preceduto. Noi, nel frattempo, agitiamo ancora la nostra politica interna, contrapponendo due ricette irreali: quella del rifiuto e quella dell’accoglienza. Mescolando problemi diversi e, così facendo, negandoci delle soluzioni. L’Europa ci lascia da soli, e forse il merito della Pinar sarà quello di rompere l’equilibrio dell’ipocrisia: i maltesi se ne lavano le mani, gli spagnoli sparano alle frontiere, chiarendo ai migranti qual è il loro atteggiamento, e noi muoviamo la marina per fare gli umanitari. Ecco, domandiamoci di che razza d’umanità stiamo parlando. La regola è che si soccorre chi, nel mare, si trova in pericolo o difficoltà. Giusto, voglio vedere chi è contrario. Ma quei traghetti dell’immigrazione clandestina navigano per arrivare da noi, ed anche nell’affondare portano a compimento la missione, se qualcuno li salva. E’ come se i clandestini ce li andassimo a prendere con le navi militari, a mezza strada. Non solo, ma così agendo favoriamo il moltiplicarsi sia dei disperati che dei colabrodo semigalleggianti, perché se li troviamo in buone condizioni abbiamo la possibilità di far invertire loro la rotta, mentre se affondano ce li prendiamo a bordo. Gli spagnoli, per capirci, non devono soccorre la gente che arriva a piedi, non hanno obblighi umanitari verso potenziali moribondi, quindi aprono il fuoco su chi cerca di violare la loro legge che regola l’immigrazione. Noi no, noi siamo costretti a fare i buoni. E non basta, perché paghiamo anche debiti altrui. Insomma, Malta era una colonia inglese, nel marzo del 2003 aderì all’Unione Europea, dal gennaio 2008 usa l’euro, ma se impedisce ad una nave italiana, con a bordo gente che abbiamo ripescato, di entrare in porto, allora l’Europa dice che è un problema fra noi e loro. No, sia per ragioni istituzionali, che per quel che riguarda la regolazione dell’immigrazione, è un problema dell’Unione. E, tanto per capirsi, dentro l’Unione noi siamo quelli con la maggiore propensione a far entrare tutti, gli altri sono assai più rigidi ed occhiuti, anche se, paradossalmente, ci tirano le orecchie, quasi fossimo degli aguzzini, allorquando qualche politico sfrutta demagogicamente il tema, invocando durezze che non ci sono. Noi non possiamo e non dobbiamo rinunciare agli immigrati, ma neanche possiamo farci prendere d’assalto. L’immigrazione è vitale, non solo per l’economia, ma un Paese civile sa anche scegliere chi far entrare, ed a chi chiudere la porta in faccia. Ci siamo, invece, fatti impantanare in una melassa falso umanitaria, confondendo un giusto principio, ovvero l’uguaglianza di tutti gli esseri umani, con l’autentica scemenza secondo cui tutti gli immigrati devono essere trattati allo stesso modo. Ma dove sta scritto? C’è chi vuol lavorare e si vuole integrare, ci sono professionalità utili e rispondenti a bisogni nazionali, e c’è chi passa da queste parti per delinquere, anzi, che arriva già con un posto da criminale. Complice l’inesistenza di una giustizia efficiente, rendiamo la vita difficile ai primi e troppo facile ai secondi. Poi, però, consideriamo cosa buona e giusta fare accordi con i Paesi di “transito”, a cominciare dalla Libia, l’Egitto e la Tunisia, per limitare i “flussi”. Della serie: voi fate il lavoro sporco e noi vi mandiamo quattrini. La cooperazione è cosa saggia, ma è sbagliato considerare sporco il lavoro contro la clandestinità. E, dato un occhio alla carta geografica, il resto degli europei devono riconoscerci che stiamo facendo anche quello per loro, sollevandoli dal disturbo di sparare. Il popolo italiano non è razzista, siamo noi stessi orgogliosamente meticci (come tutti, del resto). La sofferenza, però, cresce negli strati più deboli, dove si riversa il peso dell’irregolarità, del degrado e della delinquenza. Affrontiamo il problema senza ipocrisie, se non vogliamo inventare la via umanitaria all’intolleranza.

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