venerdì 24 aprile 2009

La moschea di Torino

Torino - la chiesa e il sindaco chiamparino: tutto in regola. Gli islamici con la Lega: non aprite quella moschea. In piazza contro un imam: «È pagato dal Marocco, ne chiediamo uno eletto che predichi in italiano»

TORINO
— Mohammed Lamsuni dice che lui e i suoi amici «musulmani laici e demo­cratici» le hanno provate tutte pur di avere «un islam di lin­gua italiana» che non solo pre­dichi letteralmente nella nostra lingua ma che sia anche «rispet­toso dei diritti umani, specie quelli delle donne». Segue l’elenco dei tentativi: «Poliziot­ti, consoli, ambasciatori, i politi­ci a sinistra, i servizi segreti ma­rocchini. A tutti abbiamo chie­sto ascolto inutilmente» giura. Quello che lui e gli altri propo­nevano era che semmai si fosse aperta una nuova grande mo­schea, a Torino, si tenesse con­to di tutti i musulmani (tunisi­ni, marocchini, algerini, egizia­ni, palestinesi...), con una gui­da che rappresentasse la comu­nità intera, magari eletta con una votazione. Meglio niente, in sostanza, piuttosto che una moschea «nelle mani delle soli­te persone, gente che esprime tutt'al più un partito politico marocchino». Aggiunge, Lam­suni, che la prevista moschea di via Urbinio 5 va esattamente in questa direzione, cosa «ag­gravata» dal fatto che è finanzia­ta direttamente dal governo ma­rocchino che la controlla politi­camente con due milioni mez­zo di euro. E allora, appunto, «meglio niente» Pausa di riflessione. Poi un sospiro: «Queste cose le dicia­mo da anni senza esito, ora ci siamo stancati e abbiamo bussa­to alla porta di Satana». Cioè del­la Lega, «proprio io che ho scrit­to parole di fuoco contro la Bos­si- Fini...». Lamsuni è scrittore, poeta e, adesso anche voce e capo del movimento anti-moschea tori­nese, il primo a dividere i mu­sulmani della città. Accanto a lui il «diavolo» Mario Borghe­zio, il segretario degli imam pre­dicatori in Italia Abu Anas, il consigliere della Consulta per gli stranieri Mustafa Kobba, l'Associazione dei predicatori di Mohammed Bahre Ddine, imam a Ivrea, il direttore del centro islamico di Moncalieri, Mohammed El Yeudouzi e l'onorevole Pdl Souad Sbai che ha presentato una denuncia al­la polizia per chiedere «chiarez­za sulla raccolta di fondi, sulle attività e sulle prediche nelle moschee torinesi partendo da segnalazioni gravi che mi sono arrivate — spiega la parlamen­tare — attraverso la lettera di un ragazzo musulmano». An­che il leader storico dei comita­ti spontanei della città Carlo Verra, il deputato di An Agosti­no Ghiglia e alcuni consiglieri comunali del Pdl sono con Lam­suni: che moschea sia soltanto se è controllabile, se i finanzia­menti sono chiari, se la comuni­tà islamica firma un'intesa «per rifiutare la jihad, condannare il terrorismo, aderire ai nostri va­lori costituzionali e predicare in italiano». «Io credo che questo scontro appartenga alle diverse posizio­ni fra le nove moschee torinesi» riflette don Tino Negri che a Tori­no, con il suo Centro Peirone, è un punto di riferimento per i mi­granti e di incontro fra cattolici e musulmani. Don Tino concorda con «la liturgia in arabo ma la predica in italiano» e si dice sicu­ro che «per questa moschea è stato fatto tutto con una grande osservazione delle regole». Aziz Kounati, fondatore del­l’Unione musulmani d’Italia e re­sponsabile dell’Istituto islamico di corso Giulio Cesare, è l’uomo che gestirà la futura moschea di via Urbino, il «nemico» di Lam­suni che ripete di aver la mag­gioranza dei musulmani dalla sua. «Non è vero» replicano i suoi avversari «e domani (oggi, ndr) lo dimostreremo racco­gliendo le firme di chi sta con noi». Il sindaco Sergio Chiampari­no osserva questa «guerra» con mille perplessità: «Khounati è sempre stata una persona mol­to affidabile. È l'interlocutore del governo. Ha la fiducia di Ra­bat. Se tutto questo non è cam­pagna elettorale della Lega e se davvero le carte sono cambiate e c’è una minima ombra sul suo conto mi aspetto che il ministro Maroni intervenga, anzi sono io che glielo chiedo. Lui ha gli stru­menti per saperlo, non io».

Giusi Fasano

Ecco cosa pensa Gagliardi del Pdl. Qui. Le sue parole servirebbero a far riflettere per non votarlo mai più.

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