TORINO — Mohammed Lamsuni dice che lui e i suoi amici «musulmani laici e democratici» le hanno provate tutte pur di avere «un islam di lingua italiana» che non solo predichi letteralmente nella nostra lingua ma che sia anche «rispettoso dei diritti umani, specie quelli delle donne». Segue l’elenco dei tentativi: «Poliziotti, consoli, ambasciatori, i politici a sinistra, i servizi segreti marocchini. A tutti abbiamo chiesto ascolto inutilmente» giura. Quello che lui e gli altri proponevano era che semmai si fosse aperta una nuova grande moschea, a Torino, si tenesse conto di tutti i musulmani (tunisini, marocchini, algerini, egiziani, palestinesi...), con una guida che rappresentasse la comunità intera, magari eletta con una votazione. Meglio niente, in sostanza, piuttosto che una moschea «nelle mani delle solite persone, gente che esprime tutt'al più un partito politico marocchino». Aggiunge, Lamsuni, che la prevista moschea di via Urbinio 5 va esattamente in questa direzione, cosa «aggravata» dal fatto che è finanziata direttamente dal governo marocchino che la controlla politicamente con due milioni mezzo di euro. E allora, appunto, «meglio niente» Pausa di riflessione. Poi un sospiro: «Queste cose le diciamo da anni senza esito, ora ci siamo stancati e abbiamo bussato alla porta di Satana». Cioè della Lega, «proprio io che ho scritto parole di fuoco contro la Bossi- Fini...». Lamsuni è scrittore, poeta e, adesso anche voce e capo del movimento anti-moschea torinese, il primo a dividere i musulmani della città. Accanto a lui il «diavolo» Mario Borghezio, il segretario degli imam predicatori in Italia Abu Anas, il consigliere della Consulta per gli stranieri Mustafa Kobba, l'Associazione dei predicatori di Mohammed Bahre Ddine, imam a Ivrea, il direttore del centro islamico di Moncalieri, Mohammed El Yeudouzi e l'onorevole Pdl Souad Sbai che ha presentato una denuncia alla polizia per chiedere «chiarezza sulla raccolta di fondi, sulle attività e sulle prediche nelle moschee torinesi partendo da segnalazioni gravi che mi sono arrivate — spiega la parlamentare — attraverso la lettera di un ragazzo musulmano». Anche il leader storico dei comitati spontanei della città Carlo Verra, il deputato di An Agostino Ghiglia e alcuni consiglieri comunali del Pdl sono con Lamsuni: che moschea sia soltanto se è controllabile, se i finanziamenti sono chiari, se la comunità islamica firma un'intesa «per rifiutare la jihad, condannare il terrorismo, aderire ai nostri valori costituzionali e predicare in italiano». «Io credo che questo scontro appartenga alle diverse posizioni fra le nove moschee torinesi» riflette don Tino Negri che a Torino, con il suo Centro Peirone, è un punto di riferimento per i migranti e di incontro fra cattolici e musulmani. Don Tino concorda con «la liturgia in arabo ma la predica in italiano» e si dice sicuro che «per questa moschea è stato fatto tutto con una grande osservazione delle regole». Aziz Kounati, fondatore dell’Unione musulmani d’Italia e responsabile dell’Istituto islamico di corso Giulio Cesare, è l’uomo che gestirà la futura moschea di via Urbino, il «nemico» di Lamsuni che ripete di aver la maggioranza dei musulmani dalla sua. «Non è vero» replicano i suoi avversari «e domani (oggi, ndr) lo dimostreremo raccogliendo le firme di chi sta con noi». Il sindaco Sergio Chiamparino osserva questa «guerra» con mille perplessità: «Khounati è sempre stata una persona molto affidabile. È l'interlocutore del governo. Ha la fiducia di Rabat. Se tutto questo non è campagna elettorale della Lega e se davvero le carte sono cambiate e c’è una minima ombra sul suo conto mi aspetto che il ministro Maroni intervenga, anzi sono io che glielo chiedo. Lui ha gli strumenti per saperlo, non io».
Giusi Fasano
Ecco cosa pensa Gagliardi del Pdl. Qui. Le sue parole servirebbero a far riflettere per non votarlo mai più.
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