La gestione del patrimonio, la provenienza dei fondi per le nuove costruzioni, le inchieste giudiziarie che interessano imam e frequentatori assidui. Sono queste le incognite su cui il ministero dell’Interno punta la lente d’ingrandimento per individuare le zone d’ombra dell’islam italiano. Proprio a partire dai finanziamenti alle moschee, prima fra tutte quella di Colle Val D’Elsa (Siena), che si avvia alla conclusione senza aver rivelato i nomi dei finanziatori. Se fino all’estate scorsa il progetto era nelle mani di Feras Jabareen – esponente moderato della locale comunità islamica, che ha incontrato non poche difficoltà nel reperire i fondi per la costruzione – dieci mesi fa sono intervenuti i dirigenti dell’Ucoii (Unione delle Comunità ed organizzazioni Islamiche in Italia). Da quel momento l’amministrazione è stata assunta da Ezzedin El Zir. In poche settimane l’imam fiorentino ha annunciato nuove risorse che assicurano il completamento della moschea, ma non ha offerto i chiarimenti richiesti dai cittadini. Secondo El Zir, il denaro sarebbe stato ottenuto da una raccolta di fondi «straordinaria» promossa nelle moschee. Neppure dopo l’interrogazione parlamentare presentata al ministro dell’Interno dall’onorevole Souad Sbai (Pdl) El Zir ha fornito spiegazioni. Rimane dunque un punto interrogativo sulla futura gestione dell’Ucoii e sull’influenza che i donatori potrebbero vantare sui 3.200 metri quadrati di Colle Val d’Elsa. Il problema dei finanziamenti è diffuso in gran parte del territorio nazionale, e non da oggi. Agli atti della Camera giace un’interpellanza urgente del 2007 sulla natura dei sostenitori di un altro luogo di culto, quello che a Bologna dovrebbe occupare 6.000 metri quadrati. La moschea è ferma alla fase di progettazione e neppure a Bologna l’Ucoii ha fornito chiarimenti sui finanziamenti ricevuti. Una verifica della provenienza dei fondi e dei garanti, spesso non nominali, non è così facile da attuare per le autorità, perché le moschee sono associazioni e, come tali, usufruiscono di libere offerte. Senza limitazioni. I Servizi indagano da anni anche nelle Marche, dove le campagne di autofinanziamento sono una politica diffusa. A Porto Recanati, uno dei luoghi dove è attuata con più frequenza, è molto radicato il movimento pakistano Tabligh Eddawa, ma non sempre è possibile dimostrare in che misura l’influenza religiosa possa degenerare in proselitismo politico. Magari sulla base di finanziamenti dall’estero. Ad esempio, un rapporto di intelligence trasmesso alla Procura di Torino qualche anno fa, frutto della cooperazione tra antiterrorismo italiana e Fbi, aveva segnalato l’imam Bouriqi Bouchta – poi espulso – per i collegamenti con il movimento palestinese Hamas e per aver organizzato una raccolta fondi per la guerriglia nei Territori. Sempre lui, fu indicato come animatore di una palestra di radicalismo nella moschea di via Cottolengo. Secondo le autorità, la sua era un’associazione che rappresentava un «nodo logistico e finanziario» dove si raccoglievano fondi e si reclutano volontari per il fronte ceceno. Bouchta aveva contatti anche a Milano, nella moschea di viale Jenner, già oggetto di tre filoni di indagini con numerosi arresti. Non a caso il più recente rapporto del Dipartimento informazioni e sicurezza della presidenza del Consiglio (Dis) parla della Lombardia come di una delle principali «piazze del radicalismo», insieme con l’hinterland partenopeo. Quest’anno, la più grande moschea della Campania si è trovata per la quarta volta dal 2005 al centro di un’indagine giudiziaria. Stavolta in via «preventiva». Le porte del centro islamico di San Marcellinio, nel Casertano, sono state aperte dalla Procura per disarticolare una rete di supporto logistico per clandestini. Per gli inquirenti, la moschea offriva agli immigrati ospitalità, assistenza economica e documenti contraffatti per rimanere in Italia e spostarsi in area Schengen. L’operazione ha riguardato anche le province di Venezia, Padova, Brescia, Firenze, Como, Cuneo e Trento. Secondo il Dis, infatti, il panorama integralista italiano è molto «fluido», con circuiti estremisti raccolti attorno a «referenti carismatici in grado di influenzare i più giovani». Tra i rischi c’è anche quello di incontrare i cosiddetti «lone terrorist», i jihadisti dell’ultimora, cioè «soggetti che agiscono al di fuori di qualsiasi vincolo associativo, seguendo indicazioni tecnico-operative in cui Internet resta una fonte di prima grandezza». Come è successo nel 2007 a Ponte Felcino (Perugia).
L'islam radicale in crescita. Torino dice no alla moschea.
0 commenti:
Posta un commento