Milano - C’è da stropicciarsi gli occhi: la lettura dei giornali domenicali è un tintinnare di calici al presidente del Consiglio. Il Corriere della sera - La Repubblica - Il Messaggero - La Stampa: la ola per il premier è un girotondo che dà le vertigini. Specie per chi ricorda come era il clima solo qualche mese fa, per non parlare dei tempi remoti, quasi preistorici, del Berlusconi I, nell’anno di grazia 1994. Massimo Franco, sul Corsera, rende onore alle parole di Silvio Berlusconi pronunciate a Onna per il 25 aprile: «Di fatto il capo del governo ha aperto una fase nuova». E ancora: «Con parole misurate, Berlusconi ha reso stantie le recriminazioni di alcune frange della sinistra e dell’Idv contro la sua adesione alle manifestazioni». Chapeau. Il premier ha centrato il discorso, ha unito laddove prima divideva, ha saputo interpretare gli umori profondi degli italiani, «ha cercato di cambiare il proprio profilo». Come? Appunto sdoganando il 25 aprile e ricevendo in cambio l’abbraccio di quella parte dei connazionali che prima considerava il 25 aprile la festa di liberazione da Berlusconi. O giù di lì. Riccardo Barenghi sulla Stampa, in un editoriale intitolato «Il Cavaliere senza avversari», cosparge anzitutto di sale le ferite della sinistra: «Franceschini gli ha lanciato un invito che assomigliava a una sfida e gli è tornato indietro un boomerang»; più o meno il finale che il giorno prima il profetico Franco prevedeva sul quotidiano di via Solferino. Ma non basta. Barenghi, simmetricamente, lucida la statua del Cavaliere, metronomo dell’Italia di oggi: «L’epoca in cui viviamo è ormai scandita da lui, dalle sue iniziative, dalle sue vittorie, dalle sue trovate». Sì, anche le trovate come quella del G8 all’Aquila che ha spiazzato tutto e tutti e porterà i grandi a celebrare il loro G8 sull’altare del dolore abruzzese. La Stampa mena fendenti a Franceschini, impugna il turibolo davanti a Berlusconi: Franceschini «ha tirato fuori il coniglio del 25 aprile, sfidando Berlusconi a partecipare alle celebrazioni. Geniale. Il premier ha colto la palla al balzo, è andato fra le macerie di Onna, ha fatto un discorso equilibrato ed egemone, appunto presidenziale, si è assicurato i titoli dei telegiornali di ieri e dei giornali di oggi, oltre ovviamente all’apprezzamento degli italiani, anche di molti fra quelli che non lo amano». Che fragore di cristalli. Quelle frasi sono davvero uno spartiacque: il Cavaliere, almeno per un giorno, ha catturato molti nemici storici, il consenso nel Paese ha raggiunto vette impensabili, quasi imbarazzanti, lunari se si pensa all’Italia del Berlusconi prima maniera, quella degli anni Novanta: allora Palazzo Chigi, assediato dai sindacati, dalla magistratura, dalle scuole in rivolta, sembrava impersonare l’opposizione dell’opposizione. Oggi Berlusconi si muove da statista, miete successi su successi, anche se la situazione economica è drammatica, porta via alla sinistra perfino il 25 aprile, il Sacro Graal di una cultura che si riteneva lontana da lui mille miglia. Niente. Anche questo diaframma è saltato, pure questo tabù è stato infranto. Che altro dire? Invece le sorprese non finiscono mai. A scorrere la predica domenicale di Eugenio Scalfari, fondatore della Repubblica e arcinemico del Cavaliere, si capisce che il cambiamento è davvero epocale: «Ieri 25 aprile è caduto il muro che aveva fin qui impedito a quella ricorrenza di diventare una data condivisa da tutti gli italiani. Il merito di questo risultato spetta a Silvio Berlusconi, al discorso da lui tenuto ad Onna». Gli squilli di tromba dalla tribuna scalfariana non ce li saremmo aspettati e forse proprio lui è il primo a stupirsene: «Noi siamo fra quelli che l’avversano, ma riconosciamo che una svolta è stata compiuta». Certo, poi Scalfari si dilunga sui rischi del padre padrone, intanto anche la metamorfosi più inattesa è compiuta. Il 25 aprile del premier è il 25 aprile di tutti gli italiani, non di una parte sola. È la morte del pregiudizio, è la caduta di tutti i muri, simboleggiata dal fazzoletto partigiano annodato al collo del premier, è la fine una volta per tutte di quell’anomalia italiana che andava avanti esattamente dai primi anni Novanta, dall’esplosione di Mani pulite, dalla scomparsa della Prima repubblica e dall’ascesa del Cavaliere. C’è un’immagine che coglie bene questo clima inedito di unità nazionale. È la foto di gruppo degli anziani partigiani che vanno incontro a Berlusconi fra le macerie di Onna, luogo simbolo del terremoto e terra insanguinata dalla furia nazista nel ’44. «Se è qui per fare campagna elettorale - spiegano a Mario Ajello per il Messaggero - a noi non importa. Va giudicato dai fatti. L’importante è che ci aiuti a rimettere in piedi la nostra vita». E nel fonte battesimale del 25 aprile gli italiani, tutti, si ritrovano. Finalmente.
lunedì 27 aprile 2009
25 aprile (2)
Il miracolo di Onna: Scalfari elogia il Cavaliere di Stefano Zurlo
Milano - C’è da stropicciarsi gli occhi: la lettura dei giornali domenicali è un tintinnare di calici al presidente del Consiglio. Il Corriere della sera - La Repubblica - Il Messaggero - La Stampa: la ola per il premier è un girotondo che dà le vertigini. Specie per chi ricorda come era il clima solo qualche mese fa, per non parlare dei tempi remoti, quasi preistorici, del Berlusconi I, nell’anno di grazia 1994. Massimo Franco, sul Corsera, rende onore alle parole di Silvio Berlusconi pronunciate a Onna per il 25 aprile: «Di fatto il capo del governo ha aperto una fase nuova». E ancora: «Con parole misurate, Berlusconi ha reso stantie le recriminazioni di alcune frange della sinistra e dell’Idv contro la sua adesione alle manifestazioni». Chapeau. Il premier ha centrato il discorso, ha unito laddove prima divideva, ha saputo interpretare gli umori profondi degli italiani, «ha cercato di cambiare il proprio profilo». Come? Appunto sdoganando il 25 aprile e ricevendo in cambio l’abbraccio di quella parte dei connazionali che prima considerava il 25 aprile la festa di liberazione da Berlusconi. O giù di lì. Riccardo Barenghi sulla Stampa, in un editoriale intitolato «Il Cavaliere senza avversari», cosparge anzitutto di sale le ferite della sinistra: «Franceschini gli ha lanciato un invito che assomigliava a una sfida e gli è tornato indietro un boomerang»; più o meno il finale che il giorno prima il profetico Franco prevedeva sul quotidiano di via Solferino. Ma non basta. Barenghi, simmetricamente, lucida la statua del Cavaliere, metronomo dell’Italia di oggi: «L’epoca in cui viviamo è ormai scandita da lui, dalle sue iniziative, dalle sue vittorie, dalle sue trovate». Sì, anche le trovate come quella del G8 all’Aquila che ha spiazzato tutto e tutti e porterà i grandi a celebrare il loro G8 sull’altare del dolore abruzzese. La Stampa mena fendenti a Franceschini, impugna il turibolo davanti a Berlusconi: Franceschini «ha tirato fuori il coniglio del 25 aprile, sfidando Berlusconi a partecipare alle celebrazioni. Geniale. Il premier ha colto la palla al balzo, è andato fra le macerie di Onna, ha fatto un discorso equilibrato ed egemone, appunto presidenziale, si è assicurato i titoli dei telegiornali di ieri e dei giornali di oggi, oltre ovviamente all’apprezzamento degli italiani, anche di molti fra quelli che non lo amano». Che fragore di cristalli. Quelle frasi sono davvero uno spartiacque: il Cavaliere, almeno per un giorno, ha catturato molti nemici storici, il consenso nel Paese ha raggiunto vette impensabili, quasi imbarazzanti, lunari se si pensa all’Italia del Berlusconi prima maniera, quella degli anni Novanta: allora Palazzo Chigi, assediato dai sindacati, dalla magistratura, dalle scuole in rivolta, sembrava impersonare l’opposizione dell’opposizione. Oggi Berlusconi si muove da statista, miete successi su successi, anche se la situazione economica è drammatica, porta via alla sinistra perfino il 25 aprile, il Sacro Graal di una cultura che si riteneva lontana da lui mille miglia. Niente. Anche questo diaframma è saltato, pure questo tabù è stato infranto. Che altro dire? Invece le sorprese non finiscono mai. A scorrere la predica domenicale di Eugenio Scalfari, fondatore della Repubblica e arcinemico del Cavaliere, si capisce che il cambiamento è davvero epocale: «Ieri 25 aprile è caduto il muro che aveva fin qui impedito a quella ricorrenza di diventare una data condivisa da tutti gli italiani. Il merito di questo risultato spetta a Silvio Berlusconi, al discorso da lui tenuto ad Onna». Gli squilli di tromba dalla tribuna scalfariana non ce li saremmo aspettati e forse proprio lui è il primo a stupirsene: «Noi siamo fra quelli che l’avversano, ma riconosciamo che una svolta è stata compiuta». Certo, poi Scalfari si dilunga sui rischi del padre padrone, intanto anche la metamorfosi più inattesa è compiuta. Il 25 aprile del premier è il 25 aprile di tutti gli italiani, non di una parte sola. È la morte del pregiudizio, è la caduta di tutti i muri, simboleggiata dal fazzoletto partigiano annodato al collo del premier, è la fine una volta per tutte di quell’anomalia italiana che andava avanti esattamente dai primi anni Novanta, dall’esplosione di Mani pulite, dalla scomparsa della Prima repubblica e dall’ascesa del Cavaliere. C’è un’immagine che coglie bene questo clima inedito di unità nazionale. È la foto di gruppo degli anziani partigiani che vanno incontro a Berlusconi fra le macerie di Onna, luogo simbolo del terremoto e terra insanguinata dalla furia nazista nel ’44. «Se è qui per fare campagna elettorale - spiegano a Mario Ajello per il Messaggero - a noi non importa. Va giudicato dai fatti. L’importante è che ci aiuti a rimettere in piedi la nostra vita». E nel fonte battesimale del 25 aprile gli italiani, tutti, si ritrovano. Finalmente.
Milano - C’è da stropicciarsi gli occhi: la lettura dei giornali domenicali è un tintinnare di calici al presidente del Consiglio. Il Corriere della sera - La Repubblica - Il Messaggero - La Stampa: la ola per il premier è un girotondo che dà le vertigini. Specie per chi ricorda come era il clima solo qualche mese fa, per non parlare dei tempi remoti, quasi preistorici, del Berlusconi I, nell’anno di grazia 1994. Massimo Franco, sul Corsera, rende onore alle parole di Silvio Berlusconi pronunciate a Onna per il 25 aprile: «Di fatto il capo del governo ha aperto una fase nuova». E ancora: «Con parole misurate, Berlusconi ha reso stantie le recriminazioni di alcune frange della sinistra e dell’Idv contro la sua adesione alle manifestazioni». Chapeau. Il premier ha centrato il discorso, ha unito laddove prima divideva, ha saputo interpretare gli umori profondi degli italiani, «ha cercato di cambiare il proprio profilo». Come? Appunto sdoganando il 25 aprile e ricevendo in cambio l’abbraccio di quella parte dei connazionali che prima considerava il 25 aprile la festa di liberazione da Berlusconi. O giù di lì. Riccardo Barenghi sulla Stampa, in un editoriale intitolato «Il Cavaliere senza avversari», cosparge anzitutto di sale le ferite della sinistra: «Franceschini gli ha lanciato un invito che assomigliava a una sfida e gli è tornato indietro un boomerang»; più o meno il finale che il giorno prima il profetico Franco prevedeva sul quotidiano di via Solferino. Ma non basta. Barenghi, simmetricamente, lucida la statua del Cavaliere, metronomo dell’Italia di oggi: «L’epoca in cui viviamo è ormai scandita da lui, dalle sue iniziative, dalle sue vittorie, dalle sue trovate». Sì, anche le trovate come quella del G8 all’Aquila che ha spiazzato tutto e tutti e porterà i grandi a celebrare il loro G8 sull’altare del dolore abruzzese. La Stampa mena fendenti a Franceschini, impugna il turibolo davanti a Berlusconi: Franceschini «ha tirato fuori il coniglio del 25 aprile, sfidando Berlusconi a partecipare alle celebrazioni. Geniale. Il premier ha colto la palla al balzo, è andato fra le macerie di Onna, ha fatto un discorso equilibrato ed egemone, appunto presidenziale, si è assicurato i titoli dei telegiornali di ieri e dei giornali di oggi, oltre ovviamente all’apprezzamento degli italiani, anche di molti fra quelli che non lo amano». Che fragore di cristalli. Quelle frasi sono davvero uno spartiacque: il Cavaliere, almeno per un giorno, ha catturato molti nemici storici, il consenso nel Paese ha raggiunto vette impensabili, quasi imbarazzanti, lunari se si pensa all’Italia del Berlusconi prima maniera, quella degli anni Novanta: allora Palazzo Chigi, assediato dai sindacati, dalla magistratura, dalle scuole in rivolta, sembrava impersonare l’opposizione dell’opposizione. Oggi Berlusconi si muove da statista, miete successi su successi, anche se la situazione economica è drammatica, porta via alla sinistra perfino il 25 aprile, il Sacro Graal di una cultura che si riteneva lontana da lui mille miglia. Niente. Anche questo diaframma è saltato, pure questo tabù è stato infranto. Che altro dire? Invece le sorprese non finiscono mai. A scorrere la predica domenicale di Eugenio Scalfari, fondatore della Repubblica e arcinemico del Cavaliere, si capisce che il cambiamento è davvero epocale: «Ieri 25 aprile è caduto il muro che aveva fin qui impedito a quella ricorrenza di diventare una data condivisa da tutti gli italiani. Il merito di questo risultato spetta a Silvio Berlusconi, al discorso da lui tenuto ad Onna». Gli squilli di tromba dalla tribuna scalfariana non ce li saremmo aspettati e forse proprio lui è il primo a stupirsene: «Noi siamo fra quelli che l’avversano, ma riconosciamo che una svolta è stata compiuta». Certo, poi Scalfari si dilunga sui rischi del padre padrone, intanto anche la metamorfosi più inattesa è compiuta. Il 25 aprile del premier è il 25 aprile di tutti gli italiani, non di una parte sola. È la morte del pregiudizio, è la caduta di tutti i muri, simboleggiata dal fazzoletto partigiano annodato al collo del premier, è la fine una volta per tutte di quell’anomalia italiana che andava avanti esattamente dai primi anni Novanta, dall’esplosione di Mani pulite, dalla scomparsa della Prima repubblica e dall’ascesa del Cavaliere. C’è un’immagine che coglie bene questo clima inedito di unità nazionale. È la foto di gruppo degli anziani partigiani che vanno incontro a Berlusconi fra le macerie di Onna, luogo simbolo del terremoto e terra insanguinata dalla furia nazista nel ’44. «Se è qui per fare campagna elettorale - spiegano a Mario Ajello per il Messaggero - a noi non importa. Va giudicato dai fatti. L’importante è che ci aiuti a rimettere in piedi la nostra vita». E nel fonte battesimale del 25 aprile gli italiani, tutti, si ritrovano. Finalmente.
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