...Siamo all’esibizionismo intimidatorio. All’ostentazione online di un crimine che i fanatici talebani rivendicano come un gesto di santità e di purezza. Ci fanno vedere due poveretti uccisi a fucilate perché colpevoli di adulterio, ci fanno ascoltare le implorazioni delle due vittime umiliate e gli ululati di incitamento della folla complice. E’ una sfida aperta, non un documento dell’orrore casualmente arrivato in Occidente. E’ un’offensiva mediatica impostata con freddezza per comunicarci che il fondamentalismo islamista è vigoroso e di nuovo spavaldo. E’ di pochi giorni fa il video che raffigurava una ragazza pachistana immobilizzata e presa a cinghiate davanti al solito compiacente gruppo di maschi inferociti solo perché aveva osato uscire con un uomo che non era suo marito. La legge che prescrive la sottomissione e lo stupro della moglie indifesa al cospetto del coniuge prepotente e onnipotente ha suscitato le proteste internazionali ma non è stata ancora abrogata. A Teheran la giornalista americano-iraniana Roxana Saberi è stata appena condannata a otto anni di reclusione per «spionaggio». Adesso è la volta del video ammonitore, che trasmette la sicurezza della propria impunità e rende serialmente normale il maltrattamento delle donne come segno e simbolo di una guerra culturale minacciosa e ininterrotta. Sanno che le reazioni saranno blande e rituali. Sanno che l’Occidente è restio a ingaggiare una battaglia di civiltà e di valori, roso dal senso di colpa penitenziale e ancora stordito dalle battaglie perdute. Un recente sondaggio di Corriere. it ha rivelato che la stragrande maggioranza degli italiani considera inutile e anzi dannoso il nostro impegno militare in Afghanistan. Le donne prigioniere dei talebani devono vedersela da sole, lapidate, fucilate, incarcerate, prese a cinghiate. Da sole. E’ questa certezza di combattere con un avversario sfibrato e sfiduciato che alimenta nei talebani la voglia di sfidare con immagini che noi sentiamo come raccapriccianti, ma loro si ostinano a interpretare come simboli di virtù santificata e di integrità religiosa. Le loro donne massacrate e messe a morte non sono vittime, ma trofei da esibire di una guerra vittoriosa. Mentre in Occidente si discute, con Naomi Klein, se il burqa non debba essere considerato come un simbolo di una libertà femminile diversa da quella che conosciamo, loro, i talebani, mettono in scena ciò che esattamente intendono per «libertà femminile»: le botte a chi esce da sola e le pallottole somministrate nella piazza vociante a chi commette il peccato mortale e imperdonabile dell’adulterio. Tutto meticolosamente registrato, per metterci paura. Operazione, sinora, davvero ben riuscita.
martedì 21 aprile 2009
Islam
Sfida aperta all’Occidente, sfibrato e sfiduciato di Pierluigi Battista
...Siamo all’esibizionismo intimidatorio. All’ostentazione online di un crimine che i fanatici talebani rivendicano come un gesto di santità e di purezza. Ci fanno vedere due poveretti uccisi a fucilate perché colpevoli di adulterio, ci fanno ascoltare le implorazioni delle due vittime umiliate e gli ululati di incitamento della folla complice. E’ una sfida aperta, non un documento dell’orrore casualmente arrivato in Occidente. E’ un’offensiva mediatica impostata con freddezza per comunicarci che il fondamentalismo islamista è vigoroso e di nuovo spavaldo. E’ di pochi giorni fa il video che raffigurava una ragazza pachistana immobilizzata e presa a cinghiate davanti al solito compiacente gruppo di maschi inferociti solo perché aveva osato uscire con un uomo che non era suo marito. La legge che prescrive la sottomissione e lo stupro della moglie indifesa al cospetto del coniuge prepotente e onnipotente ha suscitato le proteste internazionali ma non è stata ancora abrogata. A Teheran la giornalista americano-iraniana Roxana Saberi è stata appena condannata a otto anni di reclusione per «spionaggio». Adesso è la volta del video ammonitore, che trasmette la sicurezza della propria impunità e rende serialmente normale il maltrattamento delle donne come segno e simbolo di una guerra culturale minacciosa e ininterrotta. Sanno che le reazioni saranno blande e rituali. Sanno che l’Occidente è restio a ingaggiare una battaglia di civiltà e di valori, roso dal senso di colpa penitenziale e ancora stordito dalle battaglie perdute. Un recente sondaggio di Corriere. it ha rivelato che la stragrande maggioranza degli italiani considera inutile e anzi dannoso il nostro impegno militare in Afghanistan. Le donne prigioniere dei talebani devono vedersela da sole, lapidate, fucilate, incarcerate, prese a cinghiate. Da sole. E’ questa certezza di combattere con un avversario sfibrato e sfiduciato che alimenta nei talebani la voglia di sfidare con immagini che noi sentiamo come raccapriccianti, ma loro si ostinano a interpretare come simboli di virtù santificata e di integrità religiosa. Le loro donne massacrate e messe a morte non sono vittime, ma trofei da esibire di una guerra vittoriosa. Mentre in Occidente si discute, con Naomi Klein, se il burqa non debba essere considerato come un simbolo di una libertà femminile diversa da quella che conosciamo, loro, i talebani, mettono in scena ciò che esattamente intendono per «libertà femminile»: le botte a chi esce da sola e le pallottole somministrate nella piazza vociante a chi commette il peccato mortale e imperdonabile dell’adulterio. Tutto meticolosamente registrato, per metterci paura. Operazione, sinora, davvero ben riuscita.
...Siamo all’esibizionismo intimidatorio. All’ostentazione online di un crimine che i fanatici talebani rivendicano come un gesto di santità e di purezza. Ci fanno vedere due poveretti uccisi a fucilate perché colpevoli di adulterio, ci fanno ascoltare le implorazioni delle due vittime umiliate e gli ululati di incitamento della folla complice. E’ una sfida aperta, non un documento dell’orrore casualmente arrivato in Occidente. E’ un’offensiva mediatica impostata con freddezza per comunicarci che il fondamentalismo islamista è vigoroso e di nuovo spavaldo. E’ di pochi giorni fa il video che raffigurava una ragazza pachistana immobilizzata e presa a cinghiate davanti al solito compiacente gruppo di maschi inferociti solo perché aveva osato uscire con un uomo che non era suo marito. La legge che prescrive la sottomissione e lo stupro della moglie indifesa al cospetto del coniuge prepotente e onnipotente ha suscitato le proteste internazionali ma non è stata ancora abrogata. A Teheran la giornalista americano-iraniana Roxana Saberi è stata appena condannata a otto anni di reclusione per «spionaggio». Adesso è la volta del video ammonitore, che trasmette la sicurezza della propria impunità e rende serialmente normale il maltrattamento delle donne come segno e simbolo di una guerra culturale minacciosa e ininterrotta. Sanno che le reazioni saranno blande e rituali. Sanno che l’Occidente è restio a ingaggiare una battaglia di civiltà e di valori, roso dal senso di colpa penitenziale e ancora stordito dalle battaglie perdute. Un recente sondaggio di Corriere. it ha rivelato che la stragrande maggioranza degli italiani considera inutile e anzi dannoso il nostro impegno militare in Afghanistan. Le donne prigioniere dei talebani devono vedersela da sole, lapidate, fucilate, incarcerate, prese a cinghiate. Da sole. E’ questa certezza di combattere con un avversario sfibrato e sfiduciato che alimenta nei talebani la voglia di sfidare con immagini che noi sentiamo come raccapriccianti, ma loro si ostinano a interpretare come simboli di virtù santificata e di integrità religiosa. Le loro donne massacrate e messe a morte non sono vittime, ma trofei da esibire di una guerra vittoriosa. Mentre in Occidente si discute, con Naomi Klein, se il burqa non debba essere considerato come un simbolo di una libertà femminile diversa da quella che conosciamo, loro, i talebani, mettono in scena ciò che esattamente intendono per «libertà femminile»: le botte a chi esce da sola e le pallottole somministrate nella piazza vociante a chi commette il peccato mortale e imperdonabile dell’adulterio. Tutto meticolosamente registrato, per metterci paura. Operazione, sinora, davvero ben riuscita.
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