sabato 10 marzo 2012

Punti di vista sulla credibilità italiana

Il peso dell'Italia di Davide Giacalone

Preoccupa la perdita di peso internazionale dell’Italia. Fatti diversi, non collegabili fra di loro, indicano la poca considerazione in cui viene tenuta la nostra collocazione e la nostra forza nel mondo. Sgomberiamo subito il campo da possibili riduzioni nella miseria del dibattito interno, spesso privo di spessore: è una perdita che risale almeno alla guerra di Libia, quando fummo messi davanti al fatto compiuto e reagimmo con colpevole lentezza di riflessi. Quando fummo costretti a scegliere fra l’allinearci all’iniziativa franco-inglese o restare nella scomoda posizione di ultimi disposti a far affidamento su un despota prossimo alla fine. Eravamo quelli con i maggiori interessi economici e il maggiore coinvolgimento, fummo gli ultimi a sapere e a essere chiamati. La storia non comincia e non finisce mai in un singolo punto, quello, comunque, fu un passaggio d’indubbio significato.

Adesso ci ritroviamo con due militari in un carcere indiano, di cui non ha molto senso discutere la colpevolezza o l’innocenza, accertamento che spetta al tribunale competente, ma che operavano in missione legittima e si sono trovati coinvolti in un possibile reato in acque internazionali. A dispetto del diritto sono stati portati dentro acque territoriali e indotti a sbarcare, divenendo prigionieri in un Paese di cui si dovrebbe contestare la giurisdizione e, invece, si contesta la designazione dei periti balistici. Dice il nostro governo: se la perizia sarà sfavorevole interverremo. Troppo tardi: se la perizia sarà sfavorevole il guaio sarà solo più grave, ma non cambierà natura giuridica. Ieri capita il caso di due ostaggi in Nigeria, uno cittadino italiano e l’altro inglese. L’intervento delle teste di cuoio britanniche s’è risolto in una tragedia. In questo genere di cose si deve sempre mettere in conto l’esito infausto, ma quel che colpisce è che le nostre autorità non fossero neanche state informate. Fra due alleati Nato, due Paesi dell’Unione europea, non è stato ritenuto utile, e men che meno necessario, avvertire di quel che era in preparazione. Perché? Noncuranza, timore di una fuga di notizie, ipotesi che ci si sarebbe potuti trovare davanti ad un ostacolo? In tutti i casi è il nostro peso internazionale a uscirne intaccato.

Tutto questo senza dimenticare che Il Tempo di ieri recava in prima pagina la foto di Cesare Battisti, comodamente seduto al sole brasiliano e irridente verso l’Italia, la cui giustizia lo ha condannato all’ergastolo, da omicida quale è. Se ne può stare in quella posizione perché i francesi lo protessero, e quando l’estradizione non era più evitabile il terrorista scomparve dalla Francia e riapparve miracolosamente in Brasile, avviando un conflitto giuridico e diplomatico fra noi e quel Paese, dove non solo risiede una numerosa comunità italiana, ma è anche fra quelli con cui abbiamo maggiori e più frequenti rapporti economici. Può essere un caso, ma sta di fatto che importanti commesse militari furono, proprio in quel frangente, perse dalla nostra Finmeccanica e acquisite dai francesi. Gli stessi che avevano fra le mani Battisti. Credo che anche in quel caso la nostra diplomazia abbia gestito la faccenda con imprudenza. Quando l’allora presidente del Consiglio disse: se lo tengano, fu irriso da molti e scandalizzò i più. Non noi, che vedevamo non solo il rischio di quel conflitto, ma anche l’amo cui ci apprestavamo ad abboccare. Ma pur ammettendo tutte le possibili mancanze italiane, sta di fatto che quella roba fu possibile, come le altre dopo, perché altri poterono supporre che fosse possibile procedere fregando l’Italia. Ed è questo il problema.

Quando sostenni, nel pieno della crisi dell’euro e degli attacchi speculativi contro i debiti sovrani, e segnatamente il nostro, che avremmo fatto bene a ricordare il nostro peso nella Nato, la parte che avevamo svolto nelle recenti guerre e il posizionamento geostrategico dell’Italia, non pochi ebbero l’impressione fossi fuori di testa. Una specie di guerrafondaio in pantofole. Ma nella considerazione internazionale di un Paese il tema delle armi conta. Eccome. Se lo si mette d’un canto, se si accetta di conformarsi alle direttive di altri, quasi sia colpa nostra il divaricarsi degli spread, se si finisce in amministrazione controllata, facendosi dettare le politiche interne, è difficile poi esercitare un ruolo in quelle internazionali. E non esercitandolo diminuisce la considerazione di cui si gode, al punto che sono gli alleati a non informarci di quel che ci riguarda e i concorrenti a supporre di poterci impunemente sottrarre gli affari. Non si tratta, oggi, di schierare le nostre truppe ad un qualche confine, o di far inutilmente la faccia dell’arme. Si tratta di far osservare che esiste ancora un governo forte di un Paese sovrano. Uno dei più ricchi e potenti del mondo. Un Paese che ancora vede crescere le proprie esportazioni più di quelle degli altri europei e che non è minimamente disposto a veder minacciati i propri interessi. Non il governo di Tizio o di Caio, ma il governo della Repubblica italiana.

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