lunedì 5 marzo 2012

L'irlanda, il referendum e il fiscal compact

L'irlanda di nuovo al referendum. SE non dovesse accettare il fiscal compact (ossia la morte totale della tigre celtica), l'unione europea imporrà un nuovo referendum per fare in modo che il fiscal compact venga accettato a forza. Infondo, gli ultimi referendum che sono stati fatti in irlanda, andavano contro la ue e poi... bhe, poi le cose sono cambiate.


Ancora una volta il destino dell’Europa potrebbe essere nelle mani degli irlandesi. Visti i precedenti, forse è il caso di preoccuparsi. Il capo del governo Enda Kenny, ha confermato che il Paese intende sottoporre a referendum popolare l’accordo sul rafforzamento della governance economica battezzato “Fiscal compact”, il nuovo insieme di regole concertate tra Paesi Ue che prevede criteri stringenti sulla disciplina di bilancio che di fatto segna un primo passo di rinuncia a parte delle sovranità nazionali su questo versante. Gli orgogliosi irlandesi potrebbero decidere di non starci, considerato che hanno l’abitudine di fare lo sgambetto all’Europa. L’Irlanda ha bloccato due volte i trattati europei, dicendo no nel 2001 al trattato di Nizza e nel 2008 a quello di Lisbona (in entrambi i casi il governo ha indetto poi ulteriori referendum, nel 2002 e nel 2009, che hanno superato il sentimento antieuropeo). Un rifiuto da parte degli elettori irlandesi non ucciderebbe il “Fiscal compact”, che richiede l’approvazione di 12 paesi per entrare in vigore. Il risultato più immediato di un rifiuto sarebbe l’obbligo a rinunciare al programma di assistenza finanziaria del Fondo salva Stati. Un no al referendum avrebbe, però, implicazioni sull’adesione dell'Irlanda alla zona euro. Sarebbe un ennesimo segnale di sfiducia nei confronti di un Europa che deve mostrarsi compatta e risoluta se vuole davvero sconfiggere la crisi dei debiti sovrani. L’esito della consultazione elettorale non è affatto scontato. Kenny ha detto che non intende condannare il paese ad altri anni di austerità dopo quelli già subiti.

L’Irlanda, assieme a Grecia e Portogallo, ha ottenuto aiuti da Ue e Fmi, in cambio dei quali ha avviato un piano di risanamento e riforme. Se l’Italia ha fatto i compiti a casa, gli irlandesi si sono laureati in austerity. La scure si è abbattuta su welfare, costi della politica e beni immobili. Nel dicembre 2010, per incassare 85 miliardi di aiuti, Dublino varò una delle manovre più drammatiche della sua storia. Tasse, tagli drastici allo stato sociale (salari minimi, assegni familiari, pensioni) anche per le fasce basse di reddito. Aumento dell’Iva (al 22% nel 2013 e al 23% nel 2014), patrimoniale sugli immobili. In quattro anni, servono 15 miliardi di sacrifici per portare il deficit sotto il 3% entro il 2014, di cui 10 miliardi di soli tagli. Misure che hanno profondamente segnato la società irlandese. Tanto per fare un esempio, i pub (“tempio” intorno ai quali ruota la vita sociale della società irlandese) chiudono al ritmo di due al giorno. La batosta è stata ancora più dura perché la crisi è arrivata dopo anni di impetuosa crescita economica. Il modello di Dublino ha funzionato fino all'ingresso nell’euro, poi è mancata la capacità di controllare i forti flussi di capitali in ingresso che hanno portato a una crescita ipertrofica di banche e mercato immobiliare. Alla fine la bolla è esplosa impedendo alla tigre celtica di mordere ancora. Gli irlandesi sono stati costretti a fare i conti con la durezza dell’austerity ma ora sembrano essere nella direzione giusta per essere ripagati. L’economia da segni di ripresa. Le esportazioni sono aumentate del 40%, gran parte degli aumenti dipendono dagli investimenti delle imprese multinazionali nell’isola gaelica. Anche nei momenti più difficili, infatti, il governo di Dublino ha rifiutato di aumentare la tassazione sulle imprese per proteggere la crescita.

Con il tasso di disoccupazione oltre il 14%, l'Irlanda ha una lunga strada da percorrere. Ma la determinazione l’unità con cui il Paese ha reagito fanno ben sperare. Tanto che un articolo del Wall Street Journal indica nell’Irlanda un esempio da seguire per Spagna, Italia, Grecia e Portogallo. Membri del “club Med” che sembrano essere in grado di ridurre i disavanzi mettere a posto i conti pubblici. Bisognerebbe imparare dalla diligente Irlanda che continua ad incassare complimenti. Il Fmi ha appena sbloccato altri 3,2 miliardi di euro promessi all'Irlanda nell'ambito del piano di aiuti concordato nel 2010. In tutto, fino ad oggi, l'istituto di Washington ha erogato a Dublino 16,05 miliardi (su un totale messo a disposizione di 22,6 miliardi). “Il governo irlandese continua a implementare riforme che permetteranno un ritorno alla crescita”, ha sottolineato l’istituto di Washington. Gli irlandesi sperano che si a davvero così. Che l’economia torni a correre e che i pub tornino ad aprire.

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