Come Stendhal, anche Fini è stato preso da una sindrome; comincio a darmi questa spiegazione, dopo che tante altre mi sono passate per la testa. Fini è stato un uomo di destra per troppo tempo. Dalla culla si può dire. Almirante ne capì la vocazione e lo elesse a suo pupillo, al punto che ancora oggi Donna Assunta, la vedova del fondatore del Msi, lo tiene sotto la sua ala protettrice. Guai a parlarle male di lui. Tutto gli perdona. Chi sa però se arriverà a perdonargli il nuovo cavallo di Troia che ha mosso ieri i suoi primi passi dentro le mura del Pdl. Fini gli ha dato un nome: Generazione Italia e lo ha affidato ad un suo fedelissimo, Italo Bocchino. Il suo compito, nonostante le frettolose assicurazioni? Fare da sponda al Pd; fermare qualsiasi decisione che non sia gradita a Bersani & C. Come è potuto succedere? Quanto mi ci sono arrovellato! Ma ora una risposta sicura ce l’ho. Giunto all’età di 58 anni (è del mio stesso segno zodiacale, ahimè, il Capricorno) gli è precipitata addosso la sindrome della sinistra. Si è stancato di essere un uomo di destra, gli è venuta la nausea, quasi un mancamento. Necessaria la cura, dunque. Per prima cosa il cambio della moglie: Daniela Di Sotto viene sostituita con una più giovane Elisabetta Tulliani. È l’avvio di un percorso nuovo, forse un taglio netto. Poi realizza che quella sindrome è in realtà il passato degli avi che ritorna, non quello del padre, che fu tutto sommato un moderato, ma quello del nonno paterno, morto nel 1970, che fu invece comunista. Tra tutto questo rimescolio improvviso e inatteso, ecco che è bastato uno scaltro sorriso, un ammiccamento dei vecchi compagni del nonno, per fare il resto. Ora Fini è uno di loro. Per le strade di Roma, salvo Italo Bocchino e qualche altro naufrago, sono soltanto quelli del Pd che lo salutano. Molti dei suoi antichi camerati non lo riconoscono, e qualcuno si volta perfino dall’altra parte. Che cosa faranno ora che Fini ha introdotto nel gruppo dirigente del Pdl il suo cavallo di Troia? Lo ripudieranno definitivamente? Ne avranno il coraggio? Sarà difficile, infatti, che le proposte messe in discussione all’interno degli organismi direttivi del Pdl non incontrino i distinguo e il contrasto dei finiani. Bersani sarà il primo a conoscere ciò che accade nel Pdl, e messo così in condizione di preparare le contromosse. Ciò che è certo è che le riforme volute dal Pdl non coincidono con quelle del Pd. Ne abbiamo avuto la prova con le esplicite dichiarazioni di Luciano Violante (qui) e di Pierluigi Bersani (qui). Da queste dichiarazioni appare chiaro che le strade sono diverse. Le proposte del Pdl mirano a riconoscere la sovranità al popolo con la elezione diretta del premier; quelle del Pd mirano a lasciare le cose come stanno. Insisto su questa riforma, piuttosto che sulle altre, perché è la più importante, quella che creerà il definitivo spartiacque tra la prima e la seconda Repubblica. Se Bersani insiste nel mantenere la democrazia parlamentare, ossia, in sostanza, lo statu quo, la possibilità di un’intesa è pari a zero. Toccherà ai finiani, perciò, mettersi in azione. Essi cercheranno, in seno al Pdl, di intorpidire le acque, di rallentare i tempi delle decisioni, di confondere l’idee. La mia domanda è: Vale la pena di tenersi in casa una sponda del Pd o non è meglio ricacciare subito il cavallo di Troia fuori delle mura? Ovviamente, parteggio per questa seconda soluzione. Il Pdl metta subito le carte in tavola e svergogni i traditori.
sabato 3 aprile 2010
Generazione italia
Generazione Italia, ovvero il cavallo di Troia di Bartolomeo Di Monaco
Come Stendhal, anche Fini è stato preso da una sindrome; comincio a darmi questa spiegazione, dopo che tante altre mi sono passate per la testa. Fini è stato un uomo di destra per troppo tempo. Dalla culla si può dire. Almirante ne capì la vocazione e lo elesse a suo pupillo, al punto che ancora oggi Donna Assunta, la vedova del fondatore del Msi, lo tiene sotto la sua ala protettrice. Guai a parlarle male di lui. Tutto gli perdona. Chi sa però se arriverà a perdonargli il nuovo cavallo di Troia che ha mosso ieri i suoi primi passi dentro le mura del Pdl. Fini gli ha dato un nome: Generazione Italia e lo ha affidato ad un suo fedelissimo, Italo Bocchino. Il suo compito, nonostante le frettolose assicurazioni? Fare da sponda al Pd; fermare qualsiasi decisione che non sia gradita a Bersani & C. Come è potuto succedere? Quanto mi ci sono arrovellato! Ma ora una risposta sicura ce l’ho. Giunto all’età di 58 anni (è del mio stesso segno zodiacale, ahimè, il Capricorno) gli è precipitata addosso la sindrome della sinistra. Si è stancato di essere un uomo di destra, gli è venuta la nausea, quasi un mancamento. Necessaria la cura, dunque. Per prima cosa il cambio della moglie: Daniela Di Sotto viene sostituita con una più giovane Elisabetta Tulliani. È l’avvio di un percorso nuovo, forse un taglio netto. Poi realizza che quella sindrome è in realtà il passato degli avi che ritorna, non quello del padre, che fu tutto sommato un moderato, ma quello del nonno paterno, morto nel 1970, che fu invece comunista. Tra tutto questo rimescolio improvviso e inatteso, ecco che è bastato uno scaltro sorriso, un ammiccamento dei vecchi compagni del nonno, per fare il resto. Ora Fini è uno di loro. Per le strade di Roma, salvo Italo Bocchino e qualche altro naufrago, sono soltanto quelli del Pd che lo salutano. Molti dei suoi antichi camerati non lo riconoscono, e qualcuno si volta perfino dall’altra parte. Che cosa faranno ora che Fini ha introdotto nel gruppo dirigente del Pdl il suo cavallo di Troia? Lo ripudieranno definitivamente? Ne avranno il coraggio? Sarà difficile, infatti, che le proposte messe in discussione all’interno degli organismi direttivi del Pdl non incontrino i distinguo e il contrasto dei finiani. Bersani sarà il primo a conoscere ciò che accade nel Pdl, e messo così in condizione di preparare le contromosse. Ciò che è certo è che le riforme volute dal Pdl non coincidono con quelle del Pd. Ne abbiamo avuto la prova con le esplicite dichiarazioni di Luciano Violante (qui) e di Pierluigi Bersani (qui). Da queste dichiarazioni appare chiaro che le strade sono diverse. Le proposte del Pdl mirano a riconoscere la sovranità al popolo con la elezione diretta del premier; quelle del Pd mirano a lasciare le cose come stanno. Insisto su questa riforma, piuttosto che sulle altre, perché è la più importante, quella che creerà il definitivo spartiacque tra la prima e la seconda Repubblica. Se Bersani insiste nel mantenere la democrazia parlamentare, ossia, in sostanza, lo statu quo, la possibilità di un’intesa è pari a zero. Toccherà ai finiani, perciò, mettersi in azione. Essi cercheranno, in seno al Pdl, di intorpidire le acque, di rallentare i tempi delle decisioni, di confondere l’idee. La mia domanda è: Vale la pena di tenersi in casa una sponda del Pd o non è meglio ricacciare subito il cavallo di Troia fuori delle mura? Ovviamente, parteggio per questa seconda soluzione. Il Pdl metta subito le carte in tavola e svergogni i traditori.
Come Stendhal, anche Fini è stato preso da una sindrome; comincio a darmi questa spiegazione, dopo che tante altre mi sono passate per la testa. Fini è stato un uomo di destra per troppo tempo. Dalla culla si può dire. Almirante ne capì la vocazione e lo elesse a suo pupillo, al punto che ancora oggi Donna Assunta, la vedova del fondatore del Msi, lo tiene sotto la sua ala protettrice. Guai a parlarle male di lui. Tutto gli perdona. Chi sa però se arriverà a perdonargli il nuovo cavallo di Troia che ha mosso ieri i suoi primi passi dentro le mura del Pdl. Fini gli ha dato un nome: Generazione Italia e lo ha affidato ad un suo fedelissimo, Italo Bocchino. Il suo compito, nonostante le frettolose assicurazioni? Fare da sponda al Pd; fermare qualsiasi decisione che non sia gradita a Bersani & C. Come è potuto succedere? Quanto mi ci sono arrovellato! Ma ora una risposta sicura ce l’ho. Giunto all’età di 58 anni (è del mio stesso segno zodiacale, ahimè, il Capricorno) gli è precipitata addosso la sindrome della sinistra. Si è stancato di essere un uomo di destra, gli è venuta la nausea, quasi un mancamento. Necessaria la cura, dunque. Per prima cosa il cambio della moglie: Daniela Di Sotto viene sostituita con una più giovane Elisabetta Tulliani. È l’avvio di un percorso nuovo, forse un taglio netto. Poi realizza che quella sindrome è in realtà il passato degli avi che ritorna, non quello del padre, che fu tutto sommato un moderato, ma quello del nonno paterno, morto nel 1970, che fu invece comunista. Tra tutto questo rimescolio improvviso e inatteso, ecco che è bastato uno scaltro sorriso, un ammiccamento dei vecchi compagni del nonno, per fare il resto. Ora Fini è uno di loro. Per le strade di Roma, salvo Italo Bocchino e qualche altro naufrago, sono soltanto quelli del Pd che lo salutano. Molti dei suoi antichi camerati non lo riconoscono, e qualcuno si volta perfino dall’altra parte. Che cosa faranno ora che Fini ha introdotto nel gruppo dirigente del Pdl il suo cavallo di Troia? Lo ripudieranno definitivamente? Ne avranno il coraggio? Sarà difficile, infatti, che le proposte messe in discussione all’interno degli organismi direttivi del Pdl non incontrino i distinguo e il contrasto dei finiani. Bersani sarà il primo a conoscere ciò che accade nel Pdl, e messo così in condizione di preparare le contromosse. Ciò che è certo è che le riforme volute dal Pdl non coincidono con quelle del Pd. Ne abbiamo avuto la prova con le esplicite dichiarazioni di Luciano Violante (qui) e di Pierluigi Bersani (qui). Da queste dichiarazioni appare chiaro che le strade sono diverse. Le proposte del Pdl mirano a riconoscere la sovranità al popolo con la elezione diretta del premier; quelle del Pd mirano a lasciare le cose come stanno. Insisto su questa riforma, piuttosto che sulle altre, perché è la più importante, quella che creerà il definitivo spartiacque tra la prima e la seconda Repubblica. Se Bersani insiste nel mantenere la democrazia parlamentare, ossia, in sostanza, lo statu quo, la possibilità di un’intesa è pari a zero. Toccherà ai finiani, perciò, mettersi in azione. Essi cercheranno, in seno al Pdl, di intorpidire le acque, di rallentare i tempi delle decisioni, di confondere l’idee. La mia domanda è: Vale la pena di tenersi in casa una sponda del Pd o non è meglio ricacciare subito il cavallo di Troia fuori delle mura? Ovviamente, parteggio per questa seconda soluzione. Il Pdl metta subito le carte in tavola e svergogni i traditori.
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