martedì 13 aprile 2010

Islam radicale

"Gli intellettuali in silenzio davanti all’islam radicale"

Nei giorni scorsi l’intellettuale svizzero Tariq Ramadan ha potuto rimettere piede negli Stati Uniti, dove terrà una serie di conferenze in città come New York e Chicago. Il visto d’ingresso gli fu revocato nel 2004 dall’amministrazione Bush: Ramadan, uno dei più noti pensatori islamici del mondo, fu invitato ad insegnare all’università di Notre Dame. Si scoprì però che aveva donato 1.300 dollari a una fondazione svizzera legata ad Hamas. Quindi, in base alle leggi antiterrorismo del Patriot Act, gli fu impedito di sbarcare in Usa. Per molti, Ramadan, rappresenta un baluardo dell’islam moderato. Altri - meno ascoltati - hanno dimostrato invece che il buon Tariq, sotto l’apparenza di perfetto gentleman (bello, alto, elegante, cosmopolita ed educato) nasconde un volto oscuro di difensore di posizioni radicali e pericolose per l’Occidente. Su Libero ne abbiamo parlato spesso. Negli Stati Uniti, uno dei suoi critici più agguerriti è stato Paul Berman. Quest’ultimo è - a nostro parere - uno dei più importanti scrittori politici di questi anni. Da liberal, ha avuto il coraggio di assumere posizioni controcorrente. Il suo saggio Terrore e liberalismo (Einaudi) lanciò il dibattito sull’islamofascismo e spiegò perché la «guerra al terrore» andava sostenuta in nome della libertà, quando tutti - a sinistra - predicavano il contrario. In Idealisti e potere (Baldini e Castoldi) analizzò senza compromessi la Nuova Sinistra europea e le sue contraddizioni. Ora arriva un suo nuovo libro, che si annuncia ancora più dirompente dei precedenti. Negli Usa uscirà il 27 aprile e per ora soltanto la rivista americana Slate lo ha recensito. Si intitola The flight of the intellectuals (Melville House Publishing) e noi lo abbiamo letto in anticipo. Il contenuto è una bomba, che riguarda in parte anche il nostro Paese. Si tratta di una versione allargata di un articolo uscito tre anni fa su The New Republic. In quel pezzo il giornalista americano spiegava che dal bel filosofo svizzero bisogna guardarsi e stigmatizzava le posizioni di alcuni suoi influenti colleghi che erano rimasti abbagliati dal sorriso del filosofo islamico. Uno dei suoi bersagli era Ian Buruma, autore molto conosciuto anche in Italia. Non solo perché Repubblica ha pubblicato vari suoi articoli, ma anche perché Einaudi ha tradotto il suo saggio, Occidentalismo. In The flight, la polemica riprende e si acuisce. Berman se la prende non solo con Buruma, ma anche con Timothy Garton Ash (altro saggista di fama, il quale firma spesso su Repubblica). Questi due pensatori sono il simbolo di una tendenza che ha preso piede in Occidente negli ultimi anni. Hanno difeso dalla presunta “islamofobia” Rama - dan, nonostante suo nonno fosse un estremista che spendeva parole di ammirazione «per Adolf Hitler e aiutò il Gran Muftì di Gerusalemme a evitare di essere processato a Norimberga» e nonostante lo stesso Tariq collaborasse con la Islamic Foundation britannica, organizzazione che criticò aspramente Salman Rushdie e i Satanic Verses ancora prima che fosse emessa la fatwa. Buruma e Garton Ash, però, non hanno mai difeso - in nome della libertà di espressione - gli autori che hanno osato criticare l’islam mettendo in pericolo la propria vita. E qui Berman fa un lungo elenco, che comprende l’olandese Ayaan Hirsi Ali, minacciata di morte per aver collaborato con il regista Theo Van Gogh. Poi il nostro Magdi Allam, costretto a vivere sotto scorta; Fiamma Nirenstein (altra firma italiana di primo piano); Flemming Rose, responsabile delle pagine culturali del Jyllands-Posten, il giornale danese delle vignette contro Maometto disegnate da Kurt Westergaard; lo scrittore algerino Boualem Sansal. Per loro, la libertà d’espres - sione non vale. Anzi, la Hirsi Ali è stata duramente criticata proprio da Garton Ash, che la considera una estremista al pari dei fondamentalisti islamici. Succede quindi che «i più grandi ammiratori di Ramadan nei Paesi anglofoni e i maggori detrattori di Hirsi Ali siano le stesse persone». Ma perché gli intellettuali hanno “preso il volo”? Eppure, ricorda Berman, quando alla fine degli anni ’80 Rushdie fu minacciato, tanti di loro lo sostennero in nome della libertà e dei valori dell’Illuminismo. Per spiegare il cambiamento, l’autore americano utilizza le parole del francese Pascal Bruckner (che ha ben descritto l’odio dell’Occidente per se stesso). Si tratta, spiega, «del razzismo degli antirazzisti». Gli intellettuali sono così concentrati nelle solite lotte “antifasciste”, antiamericane, anticapitaliste eccetera che dimenticano le battaglie meritevoli davvero di essere combattute. «Come sono cambiati i tempi!», dice Berman, «I Rushdie di oggi si trovano sotto il fuoco delle critiche, contrastati sulle migliori riviste», mentre «Tariq Ramdan è celebrato come un ponte fra le culture (...). E ancora, se c’è oggi una minaccia alla società, si dice che è costituita dalla Hirsi Ali». Il fatto è che «il multiculturalismo moderno rende ogni cosa uguale al suo contrario. (...) L’Illuminismo è una delle grandi conquiste della civiltà occidentale. Nell’epoca attuale di odio di sé, invece, gli intellettuali guardano all’Illuminismo come a una serie di pregiudizi antropologici (...), un pregiudizio europeo che, nella sua arroganza, conduce al fanatismo e all’eccesso. Buruma e Garton Ash sapevano molto bene che l’assassino di Van Gogh era un fondamentalista. Eppure, nella loro confusione sull’Illuminismo, si sono convinti che anche Hirsi Ali sia una fondamentalista». Questi pensatori sono così presi dal loro antirazzismo che «hanno finito per concentrare le loro indignate energie sul degradare la dissidente liberale». Ci permettiamo di aggiungere: difendere l’islam radicale (o le Pantere nere, o i terroristi rossi) dagli attici e dalle accademie è facile. Attaccare i fondamentalisti e rischiare una condanna a morte, è un po’ più rischioso.

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