giovedì 22 aprile 2010

Intanto via il burqa


PARIGI — La Francia vieterà in modo rigoroso il burqa negli spazi pubblici. Il disegno di legge del governo sarà discusso all'Assemblea in maggio, ha annunciato il portavoce Luc Chatel al termine del consiglio dei ministri. Lo «spazio pubblico» è concetto più vasto del luogo pubblico. In pratica, la Francia vuole proibire il burqa non solo nell'ambito delle istituzioni e dei servizi (scuole, ospedali, amministrazioni, trasporti), secondo quanto era stato immaginato nella prima fase di un dibattito in corso da mesi, ma anche nei luoghi esposti al pubblico, quali ad esempio uffici, mercati, banche, locali. Nel primo caso sarebbero sufficienti regolamenti amministrativi, equiparabili al divieto di presentarsi a volto coperto (ad esempio il casco integrale del motociclista), ovvero una misura di polizia.

Nel secondo, si colpisce la visibilità del burqa, confinato di conseguenza all'ambito privato e al diritto individuale. La distinzione diventa sostanziale e risponde alla volontà del presidente Sarkozy, il quale, con un occhio alla disaffezione dell'elettorato moderato, ha modificato la posizione iniziale, orientata a un messaggio educativo più che repressivo. «Il velo integrale — è il suo pensiero — deve essere considerato un'offesa alla dignità della donna e al principio della parità: il burqa non è benvenuto in Francia». «E' una legge per arginare un fenomeno che aggrava la deriva comunitaristica e il rigetto dei valori repubblicani», ha commentato Chatel. Il fenomeno, in verità, è circoscritto. Secondo stime del ministero dell'Interno, non più di duemila donne porterebbero il burqa in Francia (inclusi territori d'Oltremare e Mayotte). Ma la questione va al di là delle cifre per percorrere inquietudini della società e comportamenti elettorali. Il divieto assume un valore emblematico, rispetto a fenomeni più profondi e complicati, come la poligamia, la proliferazione di correnti islamiste, le barriere invisibili che separano molte banlieues dalle regole repubblicane.

Quanto la legge possa trovare un ampio consenso parlamentare e un'effettiva applicazione è tutto da verificare. La strada del disegno di legge aggira le raccomandazioni del Consiglio di Stato, la più alta giurisdizione francese, che ha messo in guardia dai rischi di un divieto generalizzato che non troverebbe fondamenti nel dettato costituzionale, venendo in qualche modo a ledere il principio delle libertà individuali. Secondo i giudici, ogni applicazione potrebbe innescare un ginepraio di ricorsi e polemiche sulla stampa. Da più parti, si sottolinea il rischio di una reazione identitaria da parte di oltre 5 milioni di musulmani, la maggior parte dei quali è integrata e aderisce a valori repubblicani. Con il dibattito attorno al burqa, la Francia si avvia a rivivere la traumatica riflessione collettiva sulla legge per la laicità, voluta a suo tempo dal presidente Jacques Chirac. Di fronte a cronicizzate questioni socio-politiche, Sarkozy sceglie una strada analoga: l'esaltazione simbolica dei valori dello Stato francese, senza progredire nella sfera delle disparità e dell'esclusione sociale. Ciò che il dibattito non dice è che il presidente ha dovuto fare concessioni a quelle correnti interne della sua maggioranza che reclamano un ritorno «ai fondamentali» del programma. Correnti che stanno trovando un punto di coagulo attorno al capogruppo Jean-François Copé, giovane stella del gollismo, il quale si è fatto promotore della legge. Copé già sogna un futuro all'Eliseo. Magari al turno successivo, nel 2017. Ma si prepara, facendo il Sarkozy. Quello vero, versione 2007.

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