Vorrei esprimere, innanzitutto, il mio grande piacere nell’essere qui, insieme a due tra i migliori membri del Parlamento, Virendra Sharma e Steven Pound; e ringraziarli per quello che fanno per il loro collegio, e per quello che fanno per tutta la nazione. Siamo orgogliosi di voi. Voglio anche sottolineare il fatto che questa mattina ci incontriamo in una capitale in cui si parlano più di trecento lingue; una città che può annoverarsi tra i più ricchi centri culturali del pianeta; una città simbolo dei valori profondi e delle diversità che hanno contribuito a fare della Gran Bretagna uno dei paesi più dinamici che la storia ricordi. Oggi voglio festeggiare con voi – membri del Parlamento, consiglieri, rappresentanti delle tante comunità del paese – questa diversità. E voglio affrontare la questione immigrazione. La scelta di controllare e gestire l’immigrazione, quando ciò sia nell’interesse nazionale – economicamente, socialmente, culturalmente – è una scelta che non ho mai mancato di prendere. Non sono mai stato d’accordo con la pigrizia delle elite, che nega importanza a questo tema, o dipinge come un razzista chiunque esprima dei timori o sollevi dubbi sull’immigrazione. L’immigrazione non è questione da lasciare agli estremismi, né un tabù. E’ un tema che la politica deve considerare cruciale. E’ un problema che pone una domanda fondamentale: cosa significa essere cittadino britannico? Ovvero: quali sono i nostri valori più cari? Quali responsabilità spettano a chi viene nel nostro paese? Come assicuriamo le conoscenze e le capacità di cui abbiamo bisogno per competere in un’economia globalizzata? Come possiamo, al di là delle diversità, preservare e rafforzare la ricchezza delle nostre comunità? E’ una questione che deve essere considerata in una giusta prospettiva. La gente che viene in questo paese ha dato e continua a dare un grande contributo in ogni aspetto della vita pubblica: dal commercio allo sport, dal tessuto sociale della nostra comunità alla nostra cultura, ai servizi. Proprio qui, a Ealing, la storia personale della stessa Virendra – venuta qui per studiare, e oggi rappresentante in Parlamento della gente di Ealing Southall – simboleggia il contributo che una singola persona può dare al nostro paese, e i vantaggi di dare il benvenuto alle persone di talento che vogliono unirsi alla comunità britannica. Un esempio che si è ripetuto in migliaia, anzi in centinaia di migliaia di casi, con le tante persone che sono venute qui e hanno contribuito validamente alla nostra prosperità. Credo anche che attrarre immigranti di alte capacità, che siano o meno specializzati, è essenziale per conservare il nostro successo e la nostra influenza, in un contesto di economia globalizzata. Ora, tutto questo non significa che l’immigrazione non comporti costi o rischi, né tanto meno che si debbano negare questi rischi o fare del nostro meglio per minimizzarli. Riconoscere la cosa più importante, ossia che l’immigrazione porta benefici, nasconde quanto diversamente questi benefici, e il loro costo, siano avvertiti attraverso il paese, o attraverso i diversi settori dell’economia e della società. Se vi trovate in una grande città e state lavorando per un’impresa internazionale che opera in un settore in espansione, allora una forza lavoro multiforme che provenga da tutto il mondo vi apparirà come una stimolante fonte di nuove idee; ed è proprio così. Ma se lavorate in un settore dove i salari vanno impoverendosi e le opportunità di lavoro scarseggiano, la vostra impressione dell’immigrazione sarà del tutto diversa, anche se pensate che l’immigrazione sia, in generale, un bene per la crescita generale. Se i principali effetti dell’immigrazione sulla vostra vita si riducono a trovare più facilmente un idraulico, o a vedere infermiere e medici d’oltreoceano nell’ospedale del quartiere in cui vivete, allora sarete naturalmente portati a tener conto dei benefici dell’immigrazione, piuttosto che dei suoi costi. Ma se vivete in una città che non ha mai visto molta immigrazione, allora potreste preoccuparvi dell’eventualità che questa possa indebolire i salari, e delle prospettive di lavoro per i vostri figli, e se riusciranno a trovare una casa in qualche posto vicino a voi. E tutti vogliono essere rassicurati sul fatto che gli immigrati non solo godano dei diritti, ma rispettino anche i doveri che discendono dallo stare qui. I doveri di rispettare la legge, di parlare inglese, di essere d’aiuto. E dunque, se la gente mi chiede “lo sai?”, ebbene sì, lo so. Sono stato ad ascoltare, ho capito, e ora dò l’annuncio di alcuni cambiamenti nelle nostre politiche. Vedete, la nostra è una società che dà qualcosa in cambio di qualcosa, e nulla in cambio di nulla. Qualche tempo fa potevamo forse assumere che la gente accettasse spontaneamente diritti e doveri. Ma in un mondo che cambia rapidamente è vitale per la coesione della nazione che tutti coloro che vivono in Gran Bretagna sottoscrivano esplicitamente i doveri che derivano dal far parte di una determinata comunità. Quindi, nell’interesse della giustizia, una condizione per entrare nella nostra casa, nella famiglia britannica, deve essere l’impegno di preservare tutto il meglio del paese che amiamo. I valori britannici, per noi, non sono un optional, un lusso di cui si possa fare a meno. Coloro che desiderano venire nel nostro paese devono abbracciarli senza riserve e con orgoglio, come noi. Tutti questi temi vanno inseriti nel contesto appropriato, né mai dobbiamo tralasciare di considerare quelli che sono i fatti. Il primo è che la società britannica ha tratto incommensurabili vantaggi dalla sua diversità, dall’essere continuamente rinnovata da nuovi talenti e nuove prospettive, dalla fiducia che deriva nel definirci in chiave positiva rispetto ai nostri valori, piuttosto che negativamente in base all’ostilità verso gli altri. E dobbiamo anche ricordarci che l’immigrazione sia dall’Unione che dai paesi extra Ue non sta crescendo, bensì diminuendo; i dati annuali parlano di un calo del 44% nel 2008, e osservatori indipendenti come l’Oxford Economics prevedono che questa tendenza diventerà ancor più marcata. Dobbiamo anche sottolineare il fatto che, negli ultimi decenni, la gente venuta qua dall’estero ha dato una spinta all’occupazione e alla crescita. Ha colmato carenze in settori cruciali tanto nel pubblico come nel privato. Voglio rassicurare, come dirò più avanti, che ai britannici in cerca di un lavoro daremo tutte le possibilità di occupazione che si presentino mentre usciamo dalla crisi. Ma dove ci sono dei vuoti occupazionali che restano tali, è necessario per l’impresa e per l’economia lasciare aperta la possibilità di allargare le possibilità di reclutamento. Per questo respingiamo l’idea di coloro che sostengono un’inflessibile e arbitraria quota per gli ingressi. Tale misura negherebbe flessibilità alle imprese britanniche, impedendo loro di trovare le capacità di cui sono in cerca; impedirebbe ai datori di lavoro di assumere; sarebbe il contrario di quelli che sono i nostri obblighi verso l’Unione europea; danneggerebbe l’economia, e colpirebbe i nostri servizi pubblici. Per comprendere i danni che il sistema delle quote produrrebbe sulla nostra economia, si può pensare al sistema americano durante l’inizio di questo decennio. C’era una quota annuale di lavoratori specializzati in IT (Information Technology, ndr): alla fine dell’anno, si scoprì che ne servivano sette volte tanto. E’ questo fatto che ha portato il presidente Obama a dire che presto riformerà tale sistema. Il presidente della Intel, Craig Barrett, quando, ben prima della fine dell’anno, quella quota si esaurì, disse: “Questi tetti arbitrari compromettono la capacità delle imprese di assumere e mantenere con loro persone di alta formazione in campi dove è per noi necessario mantenere una posizione di vantaggio. Invece di tetti arbitrari”, continuava Barrett, “c’è bisogno di un approccio di mercato che risponda alla domanda. Solo allora gli Stati Uniti saranno competitivi, e avranno la possibilità di assumere i migliori e i più brillanti”. Per questo siamo favorevoli a un severo, ma corretto, approccio a questo problema, basato su un sistema a punti (Based Points System) che decida di quali abilità abbiamo bisogno, e di quali no. Ciò combinerebbe flessibilità e controllo con un costante impegno nella sicurezza delle frontiere e un vigoroso rafforzamento delle leggi contro l’immigrazione illegale. Si tratta di un sistema favorevole a un’immigrazione controllata, che contemporaneamente garantisce gli interessi nazionali; riconosce ciò di cui noi, come nazione, abbiamo bisogno per un’economia di successo, e allo stesso tempo rafforza la nostra società e le nostre comunità. Introdotto questo sistema, dovremo continuare i nostri sforzi, come spiegherò oggi, per dare alla nostra gente le conoscenze di cui ha bisogno per competere in un’economia globalizzata. Annuncio oggi stesso che concretizzeremo questo sistema a punti, di cui spiegherò tra poco i dettagli. Secondo, dobbiamo capire e gestire l’impatto dell’immigrazione a livello tanto locale quanto nazionale. I finanziamenti tradizionali devono rispondere con maggior prontezza ai cambiamenti della popolazione, e il nuovo Migration Impact Fund deve assicurare che i nuovi arrivati paghino un contributo addizionale per aiutare ad allentare la pressione che grava su determinate comunità. Terzo, la nostra nuova proposta per l’assegnazione della cittadinanza prevede esplicitamente che chi provenga da fuori l’Unione europea e voglia stabilirsi qui in via definitiva, dovrà rispettare non solo dei criteri economici, ma anche i nostri valori e il nostro linguaggio, per una partecipazione più completa alla nostra società. Quarto e ultimo punto, le misure di controllo dei nostri confini sono oggi più coordinate che mai: è stata istituita la nuova Border Agency, sono stati introdotti i visti biometrici, i controlli di frontiera elettronici contano automaticamente quanti entrano e quanti escono, ci sono le carte d’identità per gli stranieri, progettate in modo specifico per evitare contraffazioni e proteggere la sicurezza nazionale. Adesso lasciatemi spiegare la politica dei punti, passo per passo. Il primo è l’utilizzo del Points Based System (sistema basato sui punti) per definire l’immigrazione in base alle capacità di cui si ha bisogno, senza trascurare di aumentare le capacità degli uomini e delle donne inglesi in modo da coprire, in futuro, quelle necessità. Due anni fa avevamo ottanta differenti categorie d’immigrazione, venute lentamente a definirsi nel corso di diversi decenni. Adesso abbiamo un sistema semplice e facilmente controllabile composto di sole cinque categorie, una delle quali, relativa all’immigrazione di bassa capacità, attualmente è chiusa. Siamo costantemente all’opera per migliorarne la gestione, ma crediamo che sia soprattutto la flessibilità di questo sistema a punti che ci ha permesso di aiutare i lavoratori britannici in questi momenti difficili, quando si è nel giusto nel pretendere una selezione severa sulle capacità di cui abbiamo bisogno negli immigrati. In marzo abbiamo alzato il salario minimo e il livello di qualificazione per la prima categoria. Abbiamo chiesto al Jobcenter Plus (agenzia statale preposta al collocamento e alle politiche del lavoro, ndr) di adottare il test nazionale di attitudine al lavoro per chi rientra nella seconda categoria, in modo che un posto di lavoro non possa andare a un immigrato a meno che non sia già stato conosciuto da ditte che assumono nel Regno Unito da almeno due settimane. I cambiamenti che abbiamo introdotto significano che, da questo autunno, i lavoratori locali avranno migliori possibilità di trovare un impiego, perché le assunzioni vengono adesso proposte per quattro settimane negli uffici di collocamento prima di essere passate a una platea più ampia. Abbiamo istituito il Migration Advisory Committee, un comitato di esperti incaricato di valutare gli effetti del Points Based System sul mercato del lavoro, e anche se il loro ultimo rapporto suggerisce che restano dei campi in cui abbiamo bisogno di lavoratori provenienti dall’estero, conferma altresì che non abbiamo più bisogno di assumere ingegneri civili, specialisti in medicina, ingegneri aeronautici, ufficiali navali; e così questi e altri lavori sono stati tolti dalla lista. Quel rapporto mostra inoltre che siamo in grado di focalizzare la lista su più piccole, specifiche necessità che includono ad esempio un certo tipo di scienziati, di geologi, di infermiere, di lavoratori altamente specializzati. Ma con il ritorno della crescita quel che voglio vedere è l’innalzamento delle capacità, dei salari e dei posti di lavoro tra coloro che vivono qui, piuttosto che datori di lavoro che devono ricorrere ad assunzioni dall’estero. Per questo ho parlato con il presidente del Migration Advisory Committee, il professor David Metcalf, di come il governo e tutte le organizzazioni preposte alla formazione possano dare una risposta più rapida nel dotare la forza lavoro esistente delle conoscenze di cui c’è bisogno. Fino ad ora, quest’anno abbiamo cancellato altri 30 mila posti dalla lista dei posti di lavoro accessibili ai non britannici stilata in base al Points Based System, e nei prossimi mesi altre migliaia ne cancelleremo. In definitiva, stiamo sviluppando le strategie che ieri hanno permesso di creare un programma più aderente alle nostre esigenze, e domani permetteranno di ridurre lo svantaggio di conoscenze addestrando qui la forza lavoro. Ho chiesto alla Commissione britannica per l’impiego e le conoscenze di fornire entro gennaio un consiglio sulle priorità nazionali nella formazione. Ho chiesto alla Commissione di lavorare di concerto con il Migration Advisory Committee, per valutare se non sia il caso di rimuovere altre specialità dalla lista delle mancanze – per esempio alcune tipologie di ingegnere, cuochi professionisti e lavoratori della sanità – per introdurle invece tra le priorità dei nostri prossimi investimenti nella formazione e nel futuro. Come parte integrante di un tale studio ho chiesto alle due strutture di consultarsi con aziende, formatori e altre agenzie connesse a queste tematiche per fissare una realistica tabella di marcia che, entro il 2010, definisca il momento in cui quelle occupazioni possano essere tolte dalla lista. Con la ripresa dell’economia, dobbiamo fare di più per assicurare alla gente di bassa formazione e di prospettive occupazionali modeste un aiuto, che dia loro un lavoro e condizioni di vita dignitose per loro e per le loro famiglie. Più investimenti nella formazione, più aiuti alle famiglie numerose, una riforma severa del Welfare: tutto ciò contribuirà a far sì che un cittadino britannico possa assumersi la responsabilità di svolgere un lavoro ogni volta che può, avendo in cambio la giusta ricompensa che gli spetta per l’impegno preso. La seconda priorità è capire e gestire l’impatto dell’immigrazione, tanto a livello locale quanto a livello nazionale. Ogni volta che il numero di bambini in una scuola aumenta improvvisamente, o aumentano in breve tempo i pazienti di cui si deve far carico la sanità pubblica, è ovvio che si devono fornire risorse extra. Il nuovo Migration Impact Fund, introdotto quest’anno, chiede a ogni immigrante extra-Ue che arriva in Gran Bretagna di pagare, prima di avere il visto, una sovrattassa di settanta sterline, che va ad arricchire quel fondo. E questo fondo sta già pagando per fornire nuovi insegnanti, e per potenziare l’assistenza pubblica nelle aree di maggior immigrazione. Credo che sia del tutto corretto che ai nuovi arrivati venga chiesto di dare un contributo addizionale, oltre alle tasse, per aiutare la comunità alla quale si uniscono. Ci sono preoccupazioni, in certi ambienti, su come vengono assegnate le case popolari. Voglio qui sottolineare l’importanza degli enti locali, che seguendo le nuove direttive da noi emanate sono incoraggiati a dare la precedenza alle persone del posto e a coloro che da più tempo sono sulle liste d’attesa; e comunque di confrontarsi più approfonditamente con le loro comunità quando si tratta di assegnare alloggi. Tutto ciò arriva nel pieno del nostro impegno per l’offerta di nuove opportunità abitative in tutta la nazione, con investimenti per un miliardo e mezzo di sterline in nuove costruzioni che mostrano che continueremo a investire in questo campo anche durante la crisi, pur di dare alla nostra gente le case di cui ha bisogno. Entro i prossimi due anni saranno pronte alla consegna più di 100 mila nuove abitazioni che le giovani coppie potranno affittare o acquistare a prezzi accessibili, costruite secondo i principi dell’efficienza energetica. Terzo, dobbiamo stabilire dei criteri più precisi per tutti coloro che progettano di fermarsi a vivere nel nostro paese. E’ proprio perché crediamo che coloro che cercano di costruirsi una nuova vita in Gran Bretagna devono meritarselo, che porteremo il Points Based System a una fase successiva introducendo un test a punti non solo per l’ingresso, ma anche per la permanenza e la cittadinanza. Ciò ci permetterà inoltre di sapere quanta gente si è stabilita qui, oltre al numero di persone che entrano nel paese. Così il diritto di fermarsi permanentemente non seguirà più automaticamente dal fatto di aver vissuto qui per un certo numero di anni. Invece, come abbiamo spiegato, dopo aver vissuto qui per cinque anni, un immigrato deve segnalarsi come “cittadino in prova”, e a quel punto sosterrà un test a punti che indagherà sulla continuazione del suo contributo economico, sulle sue capacità, sui suoi progressi in inglese e sulle sue conoscenze della vita in Gran Bretagna. Ovviamente, tutti devono mostrare una fedina penale immacolata. Il principio più ovvio, ma fondamentale, è che chiunque venga qui – che sia per lavorare, per studiare o per vivere – deve rispettare le nostre leggi, e pagare il giusto prezzo in caso contrario. E’ dal 2008 che abbiamo assunto la decisione di espellere chiunque provenga da un paese extracomunitario e sia colpevole di un delitto la cui pena è superiore a un anno di carcere. Da questo aprile abbiamo anche deciso di espellere i cittadini comunitari giudicati colpevoli di reati sessuali o di traffico di droga, cui sia stata comminata una pena superiore a un anno. Stiamo deportando un numero crescente di criminali stranieri. Quando una madre o un padre piangono un figlio ucciso, o accudiscono una figlia che è stata assalita, non è possibile aggravare una tale pena con la consapevolezza che il colpevole non aveva neanche il diritto di essere qui. In totale abbiamo espulso dal Regno Unito 68 mila persone all’anno, il doppio rispetto al 1997; tale cifra comprende più di cinquecento cittadini europei che hanno commesso reati. Lasciatemi essere chiaro: tutti coloro che vengono in Gran Bretagna hanno la precisa responsabilità di obbedire alle leggi britanniche. Non esistono eccezioni. I reati più gravi comportano la deportazione, ma anche quelli meno gravi hanno la loro importanza, perché se ne terrà conto nel percorso verso la cittadinanza, ritardandone la concessione o addirittura chiudendo la pratica. Il secondo requisito per avere la cittadinanza è che, come ci aspettiamo che vengano rispettate le nostre leggi, così ci aspettiamo dai nuovi arrivati che siano in grado di parlare la nostra lingua. Ciò si applica ai lavoratori reclutati attraverso il Points Based System, che desiderino stabilirsi qui con la loro famiglia. E’ dal 2004 che abbiamo introdotto il requisito della lingua per concedere la cittadinanza. Adesso quel requisito è richiesto anche a coloro che arrivano tramite il Points Based System. E stiamo preparando l’introduzione dei requisiti di inglese anche per i coniugi. Ci aspettiamo che i nuovi arrivati non siano un peso per la nazione che ha offerto loro l’opportunità di venire a farsi una nuova vita. Coloro che si impegnano a lavorare e che vogliono restare devono dimostrare continuità nel loro contributo all’economia generale. Coloro che vengono per stabilirsi con la famiglia devono dimostrare che questa fa tutto il possibile per aiutarli. Questo messaggio deve essere chiaro: se non puoi ottenere i punti necessari per la cittadinanza, allora non l’avrai. A differenza di altri status, una cittadinanza in prova è esattamente quello che il nome indica: in prova. Se dopo un determinato numero di anni come cittadino in prova – da un minimo di uno a un massimo di cinque – qualcuno vuole restare in questo paese, allora dovrà sostenere l’esame per avere la piena cittadinanza e il permesso di residenza illimitata, o tornarsene a casa. Il fatto è che crediamo in una società dove hai qualcosa in cambio di qualcosa, e in un tale sistema alcuni diritti e l’accesso ai servizi pubblici, che attualmente sono a disposizione anche degli immigranti appena arrivati, non saranno più disponibili per i cittadini in prova. Lo saranno soltanto quando il nuovo arrivato acquisterà la piena cittadinanza e la residenza illimitata. Sto parlando del diritto all’istruzione per i maggiorenni con sussidi pubblici in base al reddito; al diritto a una casa popolare; al diritto ad alcuni benefici sociali. Si risparmieranno centinaia di milioni di sterline. Allo stesso tempo, incoraggeremo i cittadini in prova a dimostrare la loro buona volontà verso il paese e la comunità in cui vivono, attraverso il volontariato e i servizi sociali. Queste attività avranno un riflesso nel nuovo sistema a punti, e la gente potrà muoversi più rapidamente verso la cittadinanza il momento in cui avrà fatto la differenza nella comunità che l’ha accolto. Questa nuova strada dalla cittadinanza in prova fino alla cittadinanza piena mostra le aspettative che abbiamo, in quanto società, sulla gente che viene nel nostro paese. Aspettative chiare in ogni fase del loro viaggio, perché vivere e lavorare qui, diventare un cittadino britannico è un insieme di doveri oltre che una garanzia di diritti; ed è un premio di grande valore al quale aspirare. L’ultimo argomento di cui voglio parlare è il fatto che, parallelamente allo sviluppo del nostro sistema di gestione dell’immigrazione, è in atto un continuo lavoro di rafforzamento delle nostre frontiere: nuovi investimenti, nuove metodologie per affrontare le sfide sempre diverse di un mondo in continua evoluzione. Di stanza all’estero vi sono un gran numero di funzionari dell’immigrazione, con i relativi strumenti, che forniscono un prezioso aiuto nel bloccare viaggiatori sospetti o addirittura pericolosi prima che giungano qui – per esempio, respingendo, negli ultimi cinque anni, 240 mila persone che volevano arrivare in aereo. Stiamo aumentando le richieste di visto, anche in caso di una semplice vacanza, e tutti i nostri visti sono biometrici: non un semplice pezzo di carta con un timbro sopra, ma un documento con impronte digitali che ci permette di individuare coloro che cercano di violare le regole tentando di rientrare abusivamente in Gran Bretagna. Un’altra novità introdotta dal Points Based System è la possibilità per aziende o college di ottenere una licenza e diventare sponsor di un immigrato; in cambio, si dovranno accettare alcune responsabilità, tra cui quelle di verificare i suoi progressi e il suo rispetto delle regole. Quest’anno, ad esempio, abbiamo ispezionato i college che erano stati autorizzati a sponsorizzare studenti e abbiamo ridotto la loro lista di oltre la metà, da 4.000 a 1.800; abbiamo inoltre sospeso in via temporanea le concessione di visti in alcune zone della Cina dove si erano verificate irregolarità. Voglio qui ringraziare Phil Woolas, il nostro ministro dell’Immigrazione, che ha fatto così tanto per rendere il nostro sistema migliore. Quando si verificano irregolarità con i visti, le affrontiamo. Il rischio di abusi è maggiore quando si tratta di corsi a basso livello di specializzazione, di grado inferiore alla laurea. Le nostre università continuano a offrire un alto grado di qualità, in lauree e dottorati, per gli studenti stranieri, i quali a loro volta sono un patrimonio prezioso per le nostre università, la nostra ricerca di base e la nostra economia. Vi annuncio oggi una revisione dei visti di studio, che sarà condotta congiuntamente dal dipartimento di Stato e dal dipartimento per l’Economia. Coinvolgerà i principali soggetti, in dicembre tireremo un bilancio. Stiamo valutando se aumentare livello minimo dei corsi per i quali può essere concesso un visto di studio. La revisione esaminerà anche l’opportunità di introdurre un test d’inglese per visti di studio che non riguardino corsi di lingua inglese. Rivedremo anche le norme che consentono a studenti impegnati in corsi di bassa qualificazione di lavorare part-time, specialmente per quanto riguarda i corsi brevi, per verificare se questa tipologia di studenti vada a occupare posti di lavoro che possono essere coperti da giovani lavoratori britannici. Per far rispettare queste regole più severe abbiamo più che raddoppiato il numero dei funzionari dell’immigrazione alle frontiere. L’anno scorso abbiamo istituito la UK Border Agency. Si tratta di un’organizzazione che riunisce i poteri di controllo e di concessione dei visti, che nel 2008 ha fermato e rimandato indietro quasi 28 mila persone che cercavano di attraversare il Canale. Abbiamo inasprito le regole sulla negazione dell’ingresso e sull’espulsione. Nel novembre scorso abbiamo consegnato 100 mila carte d’identità a cittadini stranieri. La prossima fase della riforma è l’introduzione dei controlli elettronici alla frontiera, che già stanno contando la gente che entra e che esce. Non si tratta più dell’inutile processo burocratico in vigore negli anni ’90, ma di un efficiente controllo in tempo reale delle identità riportate da passaporti e visti, che vengono correlate con una lista d’attenzione relativa a immigrazione, crimine e terrorismo. E’ un programma con il quale abbiamo già eseguito oltre quattromila arresti; assicura che chiunque sia stato legittimamente espulso dalla Gran Bretagna o abbia commesso dei gravi reati nel suo paese d’origine, abbia negato l’ingresso. Uno dei maggiori ostacoli nel gestire l’immigrazione è il rifiuto dei governi stranieri di accogliere quei cittadini che abbiano deliberatamente distrutto i propri documenti d’identità. Ebbene, quando sorge il problema di un cittadino di certe nazioni che superi i termini di permanenza stabiliti dal visto, o che stia lavorando illegalmente, chiederemo a quelle nazioni di riconoscere l’evidenza fornita dai documenti di viaggio scannerizzati alla frontiera, come prova sufficiente per accettare indietro quel loro cittadino. Come saprete, stiamo sviluppando la nostra azione contro quei datori di lavoro che assumono illegalmente, a volte abusando dei lavoratori in modo vergognoso, in una maniera assolutamente inaccettabile, come sarebbe inaccettabile sottopagare la nostra gente. Questo fenomeno, come saprete, in certe aree ha provocato un forte risentimento. Per questo abbiamo innalzato la pena per chi assume illegalmente a 10 mila sterline, o a due anni di carcere, e per quei datori di lavoro che pagano meno del minimo salariale o non proteggono la salute e la sicurezza dei loro dipendenti; anche il Migration Impact Fund contribuisce ai fondi destinati a far rispettare l’osservanza di queste norme. Molte persone credono anche che non sia giusto che i lavoratori interinali possano diventare un mezzo per abbassare i salari, ed è convinzione altrettanto diffusa che non sia giusto che anche dopo mesi passati a fare un determinato lavoro, un interinale possa essere pagato meno dei colleghi con cui lavora. E’ per questo che stiamo cambiando la legge. L’anno scorso la Gran Bretagna ha assunto un ruolo guida in Europa per negoziare un accordo nell’Unione che veda i lavoratori interinali impiegati nel nostro paese avere un trattamento equo dopo 12 mesi d’impiego. E vogliamo che questa legge sia inserita al più presto nella nostra legislazione del lavoro. Viviamo in un mondo in rapido cambiamento. Il governo deve cambiare per poter rispondere alle nuove sfide. Il nostro sistema di gestione dell’immigrazione è un chiaro esempio di ciò. Nel 1997 abbiamo ereditato un sistema con 80 diverse categorie, un piccolo Servizio d’immigrazione poco più che ornamentale, un sistema cartaceo per registrare entrate e uscite che era del tutto ingestibile. Il governo precedente conosceva bene la situazione, pur non avendo alcun piano per cambiarla. Si trattava di un sistema palesemente inadeguato a far fronte a quei nuovi fenomeni che già allora andavano prendendo forma. Con l’intensificarsi di quei fenomeni durante i primi anni del nostro governo, la nostra prima priorità è diventata quella di riformare l’istituto dell’asilo politico, per gestire l’incremento a livello mondiale delle richieste in tal senso. E mentre quelle riforme si dimostravano efficaci e i numeri crescevano, la priorità negli ultimi due anni, come ho detto, è stata quella di riformare il nostro sistema degli ingressi per i lavoratori stranieri. I cambi che ho illustrato oggi – l’entrata in vigore del nuovo Points Based System, e la futura introduzione di un Points Based System per la cittadinanza – significano assai di più che un meccanismo diverso per gestire le difficili questioni di cui stiamo discutendo. Insieme, costituiscono una riforma fondamentale di un sistema vecchio di decenni, una riforma fondata sui valori britannici di responsabilità e doveri civili. Sono pensati per assicurare che la nostra economia continui ad attrarre e trattenere i lavoratori di alte capacità di cui abbiamo bisogno, rinforzando al contempo i diritti e i doveri dei nuovi arrivati in quanto parte della nostra comunità, e le aspettative che la società ha verso di loro, in ogni fase. I due sistemi a punti costituiscono una nuova definizione di ciò che ci aspettiamo da chi ambisce alla cittadinanza britannica, e di cosa vuol dire essere cittadino britannico. Sono orgoglioso del mio paese; sono orgoglioso di essere britannico. Ognuno, qui, è orgoglioso di essere britannico. Questa è una nazione ricca di diversità, ma anche di solidarietà; di culture diverse, ma anche di valori universali. Saremo sempre un paese che, qualunque sia la sfida che dovremo affrontare, non potrà essere spezzato da niente e nessuno. Perché non scenderemo mai a compromessi su un antichissimo ideale britannico: diritti e opportunità vanno sempre bilanciati dai doveri. E’ questo che significa, per me, una Gran Bretagna giusta, una Gran Bretagna responsabile. Grazie a tutti.
Trascrizione del discorso pronunciato dal primo ministro a Ealing, Londra est, il 12 novembre 2009
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