lunedì 19 aprile 2010

Bruciori di stomaco di FF


È partita l’inevitabile e prevedibile grancassa. Gianfranco Fini? Un uomo solo. I finiani? Quattro gatti. E poi giù, con l’ovvio elenco di fulgide caratteristiche: traditori, ingrati, voltagabbana… Una retorica guerriera degna della penna di qualche giornalista embedded che trasferisce alla pubblica opinione i dispacci dei comandi militari. Veline di guerra, insomma. Bugiarde come tutte la propaganda con le stellette. È così che un dibattito politico si può arricchire di espressioni tipo, “esercito del fantozzi”, “brigata ridolini”, “armata Brancaleone…”.

Propaganda che descrive in modo semplice un mondo complesso, che riduce ogni cosa a puro scontro di apparato, di potere, di palazzo. È per questo che troppi piazzisti di false certezze si attardano in elenchi di colonnelli, sergenti, marescialli. È per questo che parlano di “truppe”, come se le questioni poste in questi mesi fossero solo roba di poltrone, roba di visibilità, roba di posti (e territori) da occupare. È per questo che parlano di “fedelissimi” come se la politica fosse roba di bande di quartiere.

Ne parlano perché sperano che sia così. Sperano che non ci sia altro rispetto all’unica realtà che conoscono, fatta di numeri, di noi e loro. Niente contenuti, niente ideali, niente di niente. Solo battaglie vinte e battaglie perse. Mai speranza più vana e più falsa. C’è dell’altro, molto altro nella società civile. C’è molta più insofferenza di quanto pensano, molte più domande di quanto credono. Molti più ideali. E lo sanno pure loro: è per questo che vedono nemici dappertutto. È per questo che anche quelli che abbaiano contro Fini nei loro pezzi, poi il giorno dopo ti chiedono scusa e ti dicono che infondo «qualche ragione Gianfranco ce l’ha… Tenete duro, andate avanti così».

C’è dell’altro, molto altro. Per dirla terra terra, con i loro semplici parametri, l’esercito di Gianfranco Fini è molto più potente di quanto immaginano, dentro il palazzo e tra gente. È molto più numeroso. Molto più convinto. È un esercito senza armi, certo. Senza struttura. Senza generali e senza colonnelli. Un esercito senza retorica. E senza rabbia. Un esercito d’italiani normali che chiedono alla politica quello che la politica non riesce più a dare. Un esercito che non vuole andare alla guerra perché è composto da “civili” che non amano mettersi la divisa, che non vogliono prendere le armi. Di “civili” che coltivano l’arte della discussione e del confronto. Che non hanno una militanza da vantare, un’appartenenza da mettere sul tavolo delle trattative. Di gente, insomma che non capisce, non sopporta, la retorica urlata di una politica autoreferenziale. Di gente che, però, al momento giusto sa scegliere, perché non è embedded, non è aggregata e non è gregaria. Di gente che pensa con la propria testa. E che non prende ordini e non canta canzoncine orecchiabili. Perché è la gente che fa la storia. Perché sono le idee che fanno la storia. E non la propaganda. È sempre stato così. E sarà sempre così.

5 commenti:

Nessie ha detto...

Una carrettata di emerite stronzate, questo Fare Futuro.

Eleonora ha detto...

Esatto. Ecco perchè ogni tanto posto articoli del genere. :)

Nessie ha detto...

Uhh! Che carino il tuo nuovo template e l'avatar!

Maria Luisa ha detto...

bla bla bla...solo chiacchiere

demiurgo77 ha detto...

Una cosa giusta però la dice: è la gente che fa la storia! Loro sono già il passato.