domenica 25 aprile 2010

Su Gino Strada


Gabriele Torsello, fotoreporter, fu rapito in Afghanistan quattro anni fa, su un autobus afghano, vestito da afghano, con una barba afghana e molta partecipazione emotiva verso “i popoli in lotta per la libertà”. Aveva con sé il Corano, era amato dai talebani, che lanciarono un appello per la sua liberazione, conosceva Emergency (e con la mediazione di Emergency venne infine liberato, dopo un mese di prigionia dentro un buco nero, con la catena alle caviglie e una lattina per ogni necessità). Quando tornano a casa, gli ostaggi della guerra conservano a lungo una specie di fascinazione per i propri carcerieri, faticano a vestirsi da occidentali, tendono ad ammirare il coraggio e il rapporto carnale con le armi dei talebani e sono sempre follemente innamorati di Gino Strada, indiscutibile eroe e, nei loro casi, liberatore (“a Emergency posso soltanto dire: grazie”, ha detto Daniele Mastrogiacomo in un’intervista all’Unità).

Gli ex rapiti scrivono libri, sono dispiaciuti di tornare in Italia (“Lo vivo come un esilio, come un’emigrazione forzata”, disse Simona Torretta), sperano di poter rimettere presto piede nel luogo del sequestro, “ci manca così tanto”, sono felici di aver ricevuto in dono l’esegesi del Corano in dodici volumi, ringraziano “tutte le comunità musulmane” e la “gentilezza e premura” dei carcerieri, si scordano di Enzo Baldoni e di Fabrizio Quattrocchi, chiedono il ritiro delle truppe, restano malinconici e non abbastanza grati al governo che li ha salvati. Gabriele Torsello ha rovesciato questo misterioso cliché e si è trasformato in un occidentale (non si sa però se indossi ancora, per le strade di Londra, la tunica bianca). In un’intervista alla Stampa di ieri ha detto che Gino Strada dovrebbe spiegare molte cose, e che “la storia che l’ospedale di Lashkargah dia fastidio è ridicola. Bisogna ricordare che la missione di Emergency in Afghanistan è curare i feriti e non informare il mondo su cosa accade nel paese”.

Torsello contesta la partigianeria politica di Gino Strada e giudica irresponsabile il suo atteggiamento di allora, quando parlò del riscatto pagato per liberarlo (“pubblicità al prezzo dell’ostaggio”). “Va bene criticare la guerra, ma non nel contesto in cui operano loro”. Quattro anni fa Torsello sembrava un simpatico fricchettone peace and love che se l’era vista brutta (e salire su un autobus afghano, nel 2004, non era stato proprio un colpo di genio), adesso dice: “Appena sento i cosiddetti pacifisti mi viene da ridere. Come si fa a pensare che basti il ritiro dei soldati occidentali per portare la pace in Afghanistan? Parlare di pace è facile, ma allora cominci Gino Strada chiarendo la situazione”. Dice perfino che non è mai più tornato in Afghanistan perché “non mi sembrerebbe giusto”. E stavolta, ma si scherza, Gino Strada non lo libererebbe.

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