venerdì 30 aprile 2010

Tre articoli sull'immigrazione


Il sobborgo Rosengaard di Malmö è ancora una volta teatro di violente sommosse da parte di giovani immigrati, stipati in questo ghetto che ghetto proprio non è, dato che tutti abitano in abitazioni decorose, dotate di ogni confort, dai bagni in maiolica alle cucine completamente arredate. Tutto pagato dal Comune.

Nella notte fra mercoledì e giovedì, una turba di giovani indossanti passamontagna e maschere di vario tipo ha preso d'assalto scuole, autovetture, chioschi e cassonetti, dando alle fiamme tutto ciò che trovava sulla propria strada.

Dopo la mezzanotte si è aggiunto un gruppo ancor piú consistente di giovani immigrati che ha continuato l'opera di distruzione su vasta scala. I vigili del fuoco accorsi per domare gli incendi sono stati accolti a sassate e contro di loro sono stati sparati dei razzi. Una pattuglia di polizia che è stata inviata per proteggere i pompieri è stata fatta segno al lancio di oggetti di gni tipo e ha dovuto immediatamente chiamare rinforzi. Soltanto dopo aver arrestato alcuni dei capi, si è potuta placare, almeno temporaneamente la sommossa.

I giovani fermati, quasi tutti sotto l'effetto di droghe, hanno spiegato che l'azione scatenata nella notte era una vendetta per l'arresto arbitrario di un loro compagno, eseguito dalla polizia svedese il giorno prima. Sono occorse parecchie ore per spegnere gli incendi e per rimuovere i relitti delle auto incendiate o distrutte. Una testimone oculare ha detto: «Ho paura. Stanotte bruciava dappertutto, specialmente lungo la via Ramel dove abito. Ho visto tutto dal balcone e non ho il coraggio di scendere in strada nei prossimi giorni».

Quando pareva che la sommossa fosse finita, è ricominciato, nel pomeriggio di ieri, giovedì, l'attacco agli edifici, con il lancio di materiale incendiario. Questa volta fuoco e fiamme si potevano vedere fin dal centro di Malmö e centinaia di agenti antisommossa sono stati inviati nella zona.

Un portavoce della polizia ha riferito, alla televisione svedese, che altri gruppi, provenienti da città e centri vicini, si sono aggiunti ai dimostranti. Non si esclude l'ipotesi che la rivolta sia stata organizzata da elementi esterni, forse addirittura dall'estero, probabilmente di ispirazione islamica, per creare disordine in questa città svedese dove un terzo dei 278.000 abitanti sono stranieri e 60.000 di essi sono musulmani provenienti soprattutto dai Balcani e dal Maghreb. La maggioranza di questi giovani non ha finito la scuola e stenta a trovare un lavoro. Oppure non vuole abbassarsi a svolgere mansioni umili. Come ci dice uno di essi quando gli domandiamo perché «protesti in quel modo» senza motivi. «Vogliamo tutto e subito. Come gli svedesi, altrimenti sfasceremo tutte le loro belle cose».

Gianni Armand-Pilon : "La paura degli svedesi: il Medioriente in casa"

La Volvo S-60 imbocca veloce l’Amiralsgatan, la strada che taglia il quartiere popolare di Rosengard, il «giardino delle rose» di Malmö. La musica greca che riempie l’abitacolo fa a pugni con la timida primavera svedese che scorre fuori dai finestrini. Andreas Konstantinidis supera un paio di chioschi con le scritte in arabo per la vendita di kebab e falafel, si infila in un vialetto alberato e parcheggia: «Siamo arrivati». Oltre la bassa recinzione di legno, al centro di tre edifici di edilizia popolare, c’è il campetto dove Zlatan Ibrahimovic ha tirato i primi calci a un pallone. Tutt’intorno, si vedono solo donne con il velo che tornano a casa con la sporta della spesa.

Andreas Konstantinidis, il presidente di quello che è stato definito il ghetto della nuova Svezia multietnica, è un uomo dall’aria mite. Racconta di essere arrivato a Malmö nel 1974, anno dell’invasione di Cipro da parte della Turchia. Conosce palmo a palmo queste strade, i suoi palazzi, e le storie della difficile integrazione di chi li abita. Le statistiche parlano di 23 mila abitanti e 170 nazionalità, con una schiacciante prevalenza di Paesi segnati da guerre e lotte interne: Iraq, Afghanistan, Palestina, Somalia. Le percentuali di disoccupazione sono da brivido: quasi il 90 per cento non lavora e sopravvive con i sussidi del mitico welfare scandinavo.

Le violenze dell’altra notte non sono una novità. Sui quotidiani non passa giorno senza che le cronache non riportino episodi di scontri con la polizia e tensioni con la maggioranza sempre più esigua di svedesi (180 mila persone su un totale di 270 mila abitanti). E non mancano di sottolineare che tutto questo si deve al fatto che la grande maggioranza degli immigrati ha lo status di rifugiato politico. Come dire: gente che in Svezia non cerca una vita migliore ma che semplicemente si trasferisce qui per necessità vitale, finendo per esportare nella tranquilla Scania conflitti che infiammano terre lontane.

Nella moltiplicazione dei gesti e del loro contenuto simbolico, caratteristica del mondo globalizzato, non c’è da stupirsi se una pietra lanciata nei territori di Gaza finisce per infrangersi contro il parabrezza di un’auto della polizia di Malmö.

Che fare? Nel suo piccolo ufficio in Municipio, Mattias Karlsson, 33 anni, membro del direttivo nazionale della Sverige Demokaterna, una sorta di Lega Nord svedese, non ha dubbi: «Bloccare l’immigrazione, non c’è altra strada. Le statistiche ufficiali, già preoccupanti, nascondono la drammatica deriva di Malmö. Non dicono, per esempio, che i bambini figli di genitori entrambi svedesi sono ormai una minoranza rispetto a quelli che hanno un padre o una madre, o tutti e due, nati all’estero. Negli uffici pubblici ci sono dipendenti che sono stati assunti solo perché parlano arabo. Nelle piscine si tengono corsi separati per maschi e femmine. Le tradizioni natalizie si stanno perdendo per il timore di discriminare la popolazione musulmana. Per non parlare dei reati: il 90 per cento degli autori è straniero, il 90 per cento delle vittime è svedese». Karlsson non fa mistero delle ambizioni del suo partito: «Alle elezioni di settembre supereremo lo sbarramento del 4 % ed entreremo in Parlamento. A Malmö siamo già al 7,5%, e puntiamo a raddoppiare i nostri consensi».

Il fatto è che, come molte città post-industriali, anche Malmö sembra avere una vita sdoppiata. Paure alimentate da una dose di facile populismo, ma anche tante possibilità. Se da un lato la percentuale di reddito prodotta negli ultimi 40 anni dall’industria - in testa quella portuale - è precipitata dal 50 al 12 per cento, dall’altra la forte spinta migratoria ha contribuito ad abbassare l’età media della popolazione, collocandosi a livelli che il resto d’Europa si sogna, e facendo guadagnare a Malmö l’appellativo di città giovane, alla moda. «Cool and glamour» per usare le parole del giudice Kristina Hedlund, che in Tribunale si occupa dei ricorsi di quegli immigrati che per un motivo o per l’altro si sono visti negare il permesso di soggiorno.

«Questione di prospettive» ammette Kent Andersson, il vice sindaco socialdemocratico di Malmö. Che spiega: «Come tutti i grandi cambiamenti, anche quello che sta affrontando Malmö è una medaglia a due facce. Me ne accorgo quando presento i dati sull’età media della nostra popolazione. I professori universitari ne sono entusiasti: “Che fortuna, avete un futuro assicurato”. Se invece ne parlo con un poliziotto, sono certo che quello scuoterà la testa: “Poveretti, chissà quanta criminalità giovanile...”. Hanno ragione entrambi. Ma io mi dico: meglio avere tanti giovani da educare - per quanto sia difficile integrarli - che nessuno, come in Danimarca».

Questione di prospettive, certo. Anche Andreas Konstantinidis non vuole arrendersi: «Molte delle persone che vivono a Rosengard non si sentono svedesi, non vogliono essere svedesi, e forse ci vorrebbero più risorse da investire nella scuola per fargli cambiare idea. Ma io credo nel modello di questo Paese, e sono sicuro che alla fine ce la faranno come ce l’ho fatta io». Fra i 2 mila membri della comunità ebraica sono pochi a pensarla allo stesso modo: «E’ un illuso. Malmö è diventata una provincia del Medio Oriente. I nostri studenti sono minacciati di morte. Quando entriamo nelle classi per parlare dell’Olocausto i ragazzi stranieri escono perché si rifiutano di ascoltare. Molti di noi hanno già fatto le valigie e si sono trasferiti in Israele».

"La sfida non è cacciarli, ma farne dei cittadini a tutti gli effetti"

«La politica della Svezia sugli asili politici non cambia» assicura il ministro per l'immigrazione Tobias Billström, conservatore. Ma aggiunge: «L’Unione europea deve fare di più. È ora che i 27 Paesi si dotino di una legislazione comune per affrontare i flussi legati ai rifugiati politici».

Non è la prima volta che la periferia di Malmö è scossa da scontri tra immigrati e polizia. Non avete nulla da rimproverarvi? «Errori ne sono stati commessi parecchi. Per esempio, abbiamo investito molti, troppi soldi nelle scuole di Rosengaard, a Malmö, senza verificare l’effettivo ritorno di quell’investimento. A volte è più utile per l’integrazione chiudere le scuole che non funzionano e distribuire gli alunni negli altri istituti della città».

Sotto accusa, in realtà, rischia di finire una politica che non impedisce la concentrazione di immigrati nelle grandi aree urbane. Non pensa che sia arrivato il momento di cambiare? «No. In Svezia ognuno deve essere libero di scegliere dove vivere. Certo, sarebbe auspicabile una distribuzione più omogenea dei rifugiati politici, per esempio nel Nord del Paese. E abbiamo intenzione di avviare una campagna di informazione proprio per incentivare i trasferimenti. Spero di ottenere lo stesso risultato con l’arma del dialogo e della persuasione».

Cosa si può fare per favorire davvero la piena integrazione degli stranieri? «Il lavoro è l’unica strada. Perché è il lavoro che fa davvero integrare i cittadini. Dal 15 aprile è entrata in vigore una nuova legge per dovrebbe incentivare gli immigrati in questo senso: chi non ha risorse per mantenere la propria famiglia o vive in ambienti giudicati poco adatti non può ottenere il ricongiungimento familiare.

La spaventa la campagna dei nazionalisti? «Ma no. E’ facile usare gli immigrati come capro espiatorio. C’è una rapina? Colpa loro. Un omicidio? Sono stati loro. Piove? Sempre loro. E tutti dimenticano la vera sfida: trasformarli in cittadini svedesi, in energia positiva per il Paese.

1 commenti:

acqua2626 ha detto...

Peccato che 99 su 100 preferisca non integrarsi e restare sempre e solo musulmano.