Dagli Stati Uniti arrivano gli incitamenti e i proclami di successo sul disarmo nucleare. Come è noto l'accordo fra Usa e Russia lascia sostanzialmente il tempo che trova. Al grido poi di «sarebbe una catastrofe se al Quaida avesse accesso alle testate nucleari» Obama ha convinto una quarantina di Paesi fra i più importanti ad impegnarsi a non fornire armi nucleari ai terroristi. Il guaio è che coloro che abitualmente forniscono questi materiali, quelli meno controllabili e più "canaglia", non erano presenti. Ma la soddisfazione è generale, a quanto pare. E anche noi abbiamo la nostra fettina di gloria in questo avvicinamento Usa e Russia. Strano rilancio di immagine, questo di Obama: di questo accordo internazionale fra pochi giorni tutti si saranno scordati, vista la sua scarsissima rilevanza; e il giovane presidente degli Stati Uniti si ritroverà a dover trovare un ruolo internazionale per il suo grande Paese, che non ricalchi le orme del suo predecessore – anche quando le mosse sono determinate da situazioni geopolitiche difficili da mutare – e che si caratterizzi come "democratico", mentre negli States la situazione è tutt'altro che florida e richiede tutto il suo impegno. Ma vista la situazione – e la tradizione che vuole i presidenti democratici impegnati soprattutto nella politica interna e portati ad una sorta di isolazionismo – è probabile che Obama in politica estera prosegua come ha cominciato: proclami e summit molto spettacolari, assieme ad una politica di "rientro" che abbandona al proprio destino buona parte di quel mondo che, sottrattosi alla dominazione semicoloniale sovietica, era riuscito ad affrancarsi e, con esiti alterni, stava imboccando la strada dell'autonomia e dell'autogoverno. La strategia e la politica estera russa di questi ultimi mesi, volta alla destabilizzazione dei governi ed al recupero delle vecchie arie "imperiali" in Europa e in Asia, è conseguenza di questa manifestazione di indecisione, di improvvisazione – si veda il caso di evidente impreparazione americana di fronte alla caduta del governo Kirghiso – e di debolezza. Debolezza tanto evidente da costringere Obama a piatire un consenso russo e cinese sul freno all'atomica iraniana con sanzioni che, come ha benevolmente risposto Medvedev, «non dovranno comunque nuocere al popolo iraniano». I Cinesi non hanno nemmeno preso in considerazione l'idea. Insomma, un mezzo disastro. Ma c'è ben poco da rallegrarsi, anche per chi può dire di aver previsto tutte queste ingenuità e tutti questi insuccessi: come l'Iran lasciato libero di agire si avvia ormai incontrastato ad assumere un ruolo chiave di media potenza nucleare nella sua area, con le conseguenze che possiamo immaginare, così anche nello scacchiere che ci è proprio questo disimpegno può determinare guai grossi: facendo della Polonia e della Romania – dell'Unione – terre di frontiera, e costringendo la nostra scombinata compagine di vecchi Paesi senza guida unitaria ad assumersi le proprie responsabilità anche sul piano della difesa. E con i chiari di luna del giorno d'oggi…
mercoledì 14 aprile 2010
Il mondo più sicuro
I successi di Obama di Marco Cavallotti
Dagli Stati Uniti arrivano gli incitamenti e i proclami di successo sul disarmo nucleare. Come è noto l'accordo fra Usa e Russia lascia sostanzialmente il tempo che trova. Al grido poi di «sarebbe una catastrofe se al Quaida avesse accesso alle testate nucleari» Obama ha convinto una quarantina di Paesi fra i più importanti ad impegnarsi a non fornire armi nucleari ai terroristi. Il guaio è che coloro che abitualmente forniscono questi materiali, quelli meno controllabili e più "canaglia", non erano presenti. Ma la soddisfazione è generale, a quanto pare. E anche noi abbiamo la nostra fettina di gloria in questo avvicinamento Usa e Russia. Strano rilancio di immagine, questo di Obama: di questo accordo internazionale fra pochi giorni tutti si saranno scordati, vista la sua scarsissima rilevanza; e il giovane presidente degli Stati Uniti si ritroverà a dover trovare un ruolo internazionale per il suo grande Paese, che non ricalchi le orme del suo predecessore – anche quando le mosse sono determinate da situazioni geopolitiche difficili da mutare – e che si caratterizzi come "democratico", mentre negli States la situazione è tutt'altro che florida e richiede tutto il suo impegno. Ma vista la situazione – e la tradizione che vuole i presidenti democratici impegnati soprattutto nella politica interna e portati ad una sorta di isolazionismo – è probabile che Obama in politica estera prosegua come ha cominciato: proclami e summit molto spettacolari, assieme ad una politica di "rientro" che abbandona al proprio destino buona parte di quel mondo che, sottrattosi alla dominazione semicoloniale sovietica, era riuscito ad affrancarsi e, con esiti alterni, stava imboccando la strada dell'autonomia e dell'autogoverno. La strategia e la politica estera russa di questi ultimi mesi, volta alla destabilizzazione dei governi ed al recupero delle vecchie arie "imperiali" in Europa e in Asia, è conseguenza di questa manifestazione di indecisione, di improvvisazione – si veda il caso di evidente impreparazione americana di fronte alla caduta del governo Kirghiso – e di debolezza. Debolezza tanto evidente da costringere Obama a piatire un consenso russo e cinese sul freno all'atomica iraniana con sanzioni che, come ha benevolmente risposto Medvedev, «non dovranno comunque nuocere al popolo iraniano». I Cinesi non hanno nemmeno preso in considerazione l'idea. Insomma, un mezzo disastro. Ma c'è ben poco da rallegrarsi, anche per chi può dire di aver previsto tutte queste ingenuità e tutti questi insuccessi: come l'Iran lasciato libero di agire si avvia ormai incontrastato ad assumere un ruolo chiave di media potenza nucleare nella sua area, con le conseguenze che possiamo immaginare, così anche nello scacchiere che ci è proprio questo disimpegno può determinare guai grossi: facendo della Polonia e della Romania – dell'Unione – terre di frontiera, e costringendo la nostra scombinata compagine di vecchi Paesi senza guida unitaria ad assumersi le proprie responsabilità anche sul piano della difesa. E con i chiari di luna del giorno d'oggi…
Dagli Stati Uniti arrivano gli incitamenti e i proclami di successo sul disarmo nucleare. Come è noto l'accordo fra Usa e Russia lascia sostanzialmente il tempo che trova. Al grido poi di «sarebbe una catastrofe se al Quaida avesse accesso alle testate nucleari» Obama ha convinto una quarantina di Paesi fra i più importanti ad impegnarsi a non fornire armi nucleari ai terroristi. Il guaio è che coloro che abitualmente forniscono questi materiali, quelli meno controllabili e più "canaglia", non erano presenti. Ma la soddisfazione è generale, a quanto pare. E anche noi abbiamo la nostra fettina di gloria in questo avvicinamento Usa e Russia. Strano rilancio di immagine, questo di Obama: di questo accordo internazionale fra pochi giorni tutti si saranno scordati, vista la sua scarsissima rilevanza; e il giovane presidente degli Stati Uniti si ritroverà a dover trovare un ruolo internazionale per il suo grande Paese, che non ricalchi le orme del suo predecessore – anche quando le mosse sono determinate da situazioni geopolitiche difficili da mutare – e che si caratterizzi come "democratico", mentre negli States la situazione è tutt'altro che florida e richiede tutto il suo impegno. Ma vista la situazione – e la tradizione che vuole i presidenti democratici impegnati soprattutto nella politica interna e portati ad una sorta di isolazionismo – è probabile che Obama in politica estera prosegua come ha cominciato: proclami e summit molto spettacolari, assieme ad una politica di "rientro" che abbandona al proprio destino buona parte di quel mondo che, sottrattosi alla dominazione semicoloniale sovietica, era riuscito ad affrancarsi e, con esiti alterni, stava imboccando la strada dell'autonomia e dell'autogoverno. La strategia e la politica estera russa di questi ultimi mesi, volta alla destabilizzazione dei governi ed al recupero delle vecchie arie "imperiali" in Europa e in Asia, è conseguenza di questa manifestazione di indecisione, di improvvisazione – si veda il caso di evidente impreparazione americana di fronte alla caduta del governo Kirghiso – e di debolezza. Debolezza tanto evidente da costringere Obama a piatire un consenso russo e cinese sul freno all'atomica iraniana con sanzioni che, come ha benevolmente risposto Medvedev, «non dovranno comunque nuocere al popolo iraniano». I Cinesi non hanno nemmeno preso in considerazione l'idea. Insomma, un mezzo disastro. Ma c'è ben poco da rallegrarsi, anche per chi può dire di aver previsto tutte queste ingenuità e tutti questi insuccessi: come l'Iran lasciato libero di agire si avvia ormai incontrastato ad assumere un ruolo chiave di media potenza nucleare nella sua area, con le conseguenze che possiamo immaginare, così anche nello scacchiere che ci è proprio questo disimpegno può determinare guai grossi: facendo della Polonia e della Romania – dell'Unione – terre di frontiera, e costringendo la nostra scombinata compagine di vecchi Paesi senza guida unitaria ad assumersi le proprie responsabilità anche sul piano della difesa. E con i chiari di luna del giorno d'oggi…
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