"In Belgio primo sì al divieto di velo integrale" (Corriere)
BRUXELLES — Poche righe asciutte: «Sono punite con un’ammenda dai 15 ai 25 euro (indicizzati) e/o con la reclusione da uno a 7 giorni le persone che, fatti salvi i regolamenti particolari di lavoro o le manifestazioni festive previste con l'autorizzazione della polizia, si presentino in luoghi accessibili al pubblico con il viso mascherato o nascosto in tutto o in parte, in modo tale da non essere identificabili ». Poche righe asciutte, ma quasi una bomba ideale: perché vietano per motivi di sicurezza e ordine pubblico il burqa e il niqab, veli integrali che nascondono il viso di alcune donne musulmane; e perché sono, quelle stesse parole, il cuore di una proposta di legge che la commissione Interni del Parlamento belga ha approvato ieri all’unanimità. Il 22 aprile ci sarà il voto dell'assemblea plenaria. E se confermerà quello della commissione, quest'estate il Belgio diventerà il primo Paese dell'Unione Europea dove portare il burqa o il niqab è un reato. A Bruxelles, capitale federale e dell'Unione Europea, si calcola che un cittadino su tre sia di religione musulmana: mentre le donne che abitualmente portano il niqab sarebbero finora poche centinaia, e il burqa è praticamente sconosciuto. L'esito del voto in commissione, dove sono rappresentati tutti i maggiori partiti, non era scontato. «Non possiamo consentire a qualcuno di scrutare il viso altrui senza mostrare il proprio: il burqa non è compatibile con una società libera e tollerante, e del resto nessuna norma islamica lo impone», è stato l'esordio di Daniel Bacquelaine, capogruppo del Movimento riformatore, cioè del partito primo firmatario della proposta. Per Denis Ducarme, un suo collega, «questo è un segnale molto forte per gli islamisti». Proprio come in Francia, anche in Belgio vi sono però altri gruppi e vari costituzionalisti che ritengono questa misura una violazione dei diritti umani. «Ma allora — si chiede Isabelle Praile, belga, vicepresidente dell'Esecutivo dei musulmani — domani sarà vietato il velo e dopodomani il turbante dei Sikh? E dopodomani ancora? Io sono contro l'imposizione del burqa, ma anche contro il suo divieto. Che è una violenza per le donne, oltre che un attentato alle libertà fondamentali e alla nostra Costituzione».
"Legge sbagliata. Così si minano i diritti individuali" (L'unità)
Nawal El Saadawi è contraria alla legge introdotta in Belgio per vietare il burqa nei luoghi pubblici e dichiara: "in Occidente, nella “libera” ed emancipata Europa, vige la convinzione che una donna musulmana che indossa il burqa, il niqab o lo chador, sia di per sé una donna violata, costretta da una società o comunità o famiglia maschilista, patriarcale, sessuofobica, a nascondere il proprio corpo o parte di esso. Non nego che vi sia anche questo, ma eviterei di assolutizzare questo dato". Secondo El Saadawi, perciò, le donne veramente costrette dal marito a nascondersi sotto a un burqa sarebbero una minoranza. I diritti delle vittime del fondamentalismo islamico vanno tutelati, anche se si tratta di poche persone. In ogni caso il burqa non è un costume folkloristico. E' un simbolo ben preciso. Rappresenta la discriminazione e la sottomissione della donna all'uomo. L'occidente ha valori diversi, il burqa non fa parte di questi. Integrazione non significa ignorare completamente il nuovo Stato in cui si vive e i suoi costumi, ma accettarli e condividerli senza perdere la propria identità. Il burqa in Occidente non è il benvenuto per via del suo significato. Vivere in Occidente significa accettare il fatto che la donna deve avere gli stessi diritti dell'uomo, la stessa dignità, la stessa libertà. Il burqa non è conciliabile con questi valori. Nawal El Saadawi continua: "Ero e resto fermamente convinta che la maggioranza dei musulmani non ritenga che sia impossibile coniugare la fede religiosa e la costruzione di una società sostanzialmente laica, plurale nelle sue espressioni politiche, culturali, di fede. La tolleranza e il rispetto delle diversità non sono affatto estranee alla millenaria cultura islamica". Esistono al mondo Paesi musulmani laici? Nawal El Saadawi può fare qualche esempio? E' un dato di fatto che, al giorno d'oggi, le teocrazie esistenti sono tutte musulmane (eccezione il Vaticano che, per altro, si batte per i minareti in Svizzera...), come musulmana è la quasi totalità degli attentati terroristici. El Saadawi che cosa ne pensa di questi dati? Trova che siano compatibili con le sue dichiarazioni sulla presunta tolleranza dell'islam? In ogni caso, finora, a difendere il burqa sono solo musulmani e donne occidentali neoconvertite e fanatiche, un po' poco per convincere che sia giusto permettere agli uomini di imporlo alle donne. Nawal El Saadawi, che difende il burqa a spada tratta, però non lo mette, come si può ben vedere dalle sue immagini, perciò il suo giudizio sulla presunta libertà di portarlo ha poca credibilità. Avremmo letto volentieri una domanda di Udg nella quale svelasse il suo pensiero... invano. Eppure, anche con una domanda si può contraddire l'intervistato. Ecco l'intervista:
"Non è con i divieti o le imposizioni di legge che si modificano i costumi o si rendono più libere le donne musulmane. Non credo in una “via giudiziaria” all’emancipazione". A sostenerlo è Nawal El Saadawi l'autrice egiziana femminista più conosciuta e premiata. I suoi scritti sono tradotti in più di trenta lingue in tutto il mondo. Per le sue battaglie in difesa dei diritti delle donne e per la democrazia nel mondo arabo, la scrittrice egiziana compare su una lista di condannati a morte emanatada alcune organizzazioni integraliste. Le donne musulmane non potranno portare nè burqa nè niqab camminando per le strade, nei parchi, in ospedali e scuole, sugli autobus e in tutti i luoghi pubblici. Così ha votato all’unanimità la Commissione affari interni del Parlamento belga. Cosa ne pensa? «Vede, in Occidente, nella “libera” ed emancipata Europa, vige la convinzione che una donna musulmana che indossa il burqa, il niqab o lo chador, sia di per sé una donna violata, costretta da una società o comunità o famiglia maschilista, patriarcale, sessuofobica, a nascondere il proprio corpo o parte di esso. Non nego che vi sia anche questo, ma eviterei di assolutizzare questo dato. Per tornare al Belgio, mi sembra che siamo di fronte ad un provvedimento forzato, che finisce per intaccare profondamente il principio di libertà individuale». «È un segnale molto forte che inviamo agli islamici», ha detto il liberale francofono Denis Ducarme, «fiero» che il Belgio sia il primo Paese europeo a legiferare su una materia così sensibile. «Francamente faccio fatico a capire di cosa il signor Ducarme sia fiero. E ancor più mi preoccupa il presunto “segnale forte” che si è inteso mandare “agli islamici”. Ma di quale Islam parla il signor Ducarme? Quello degli integralisti teocratici e sessuofobici, o l’Islam che punta decisamente a coniugare modernità e tradizione, che rivendica libertà ma non per questo ritiene che la libertà significhi, anche nel campo della liberazione femminile, assumere il modello occidentale? Il segnale è distruttivo e finirà per fornire altro materiale di propaganda a quanti, nel complesso mondo musulmano, teorizzano e praticano lo “scontro di civiltà”». Lei ha sperimentato personalmente l’odio dei fondamentalisti. «Questi fanatici che dicono di agire per conto dell’Islam sono in realtà i primi nemici dell’Islam. Ero e resto fermamente convinta che la maggioranza dei musulmani non ritenga che sia impossibile coniugare la fede religiosa e la costruzione di una società sostanzialmente laica, plurale nelle sue espressioni politiche, culturali, di fede. La tolleranza e il rispetto delle diversità non sono affatto estranee alla millenaria cultura islamica. Non bisogna negare i diritti ma garantirli a tutti, a cominciare dalle donne, che per i fondamentalisti, in Afghanistan come in Egitto, in Bangladesh come in Arabia Saudita e in Iran, esistono solo in quanto “figlie di”, “madri di”, “mogli di”… E la cosa ancor più allarmante e che in molti dei Paesi che discriminano le donne e perseguitano chiunque si batta per i loro diritti, al potere vi sono regimi sostenuti dal civile e democratico Occidente. Quel civile e democratico Occidente che in Belgio decide di dare una lezione agli islamici... Ma il problema non riguarda solo il rapporto tra Occidente e mondo islamico. Riguarda un’Europa sempre più multietnica, multireligiosa. Un’Europa che deve integrare e non vietare. Evitando di considerare le comunità islamiche come incubatrici di fondamentalisti e potenziali jihadisti».
"La sfida della casalinga in burqa: I miei versi contro il fanatismo" (Corriere)
Questa non è la poetessa della quale si racconta nell'articolo. Ma non fa differenza? Voi sapreste riconoscerla? I riflettori sono puntati su una donna, nell’enorme teatro di Abu Dhabi dove ogni mercoledì si gira il programma televisivo «Il Poeta milionario», un concorso popolarissimo nel Golfo. Quella donna si chiama Hissa Hilal, è una casalinga saudita di Riad, 43 anni, madre di quattro figlie. Il suo corpo, avvolto nel velo integrale, è invisibile. Guarda il mondo da due fessure, e il mondo vede l’ombra dei suoi occhi. Ma non ha avuto paura di dire ciò che vede, in versi da lei composti. «La nostra società è in pericolo». La voce, da ragazzina, a tratti tremava. Ma quando Hissa ha accusato i religiosi islamici per i loro editti che opprimono le donne e spingono la società all’estremismo, il suono era forte e limpido, il tono privo d’esitazione. «Ho visto il male negli occhi delle fatwe, in un tempo in cui ciò che è ammesso viene confuso e distorto per poterlo vietare», ha declamato. «Quando svelo la verità, un mostro emerge dal suo nascondiglio: crudele nel pensiero e nelle azioni, rabbioso e cieco, indossa una veste e una cintura di morte», ha aggiunto alludendo ai kamikaze. Hissa è stata elogiata per il suo coraggio dalla giuria, che l’ha scelta per andare in finale, il 7 aprile. Il cameraman inquadrava le donne tra il pubblico. Molte erano giovani, alcune col velo spinto indietro per far vedere i capelli. Applaudivano contente. Insieme alla fama, però, sono arrivate le minacce di morte. Un utente del sito «Ana Al Muslim», usato anche dai seguaci di Al Qaeda, chiedeva indicazioni per trovare l’abitazione della poetessa. «Allah ti ha maledetto», ha affermato un altro, chiamandola «prostituta». C’è chi non accetta che Hissa appaia in tv: anche se velata, fa sentire la sua voce. C’è chi non tollera che abbia criticato i religiosi. I giornali in Arabia Saudita, dove vige una rigida separazione tra uomini e donne, hanno interpretato la sua poesia come un’accusa contro un religioso saudita, Abdul Rahman Al-Barrak, che ha proclamato di recente che chi incoraggia contatti tra i sessi in ufficio o a scuola merita la morte. Lei ha replicato di riferirsi non a lui in particolare, ma in generale al fanatismo. «Ci sono uomini che non stringono la mano nemmeno alle parenti. Una volta non era così. Ora la gente si chiede se sia haram (proibito) persino dire ciao agli estranei». Non è stato facile per Hissa uscire allo scoperto. Le minacce non le impediranno di andare in finale. «Sono prevedibili — ha osservato — quando parli di certi argomenti». Sin da bambina scrive poesie e per 15 anni le ha pubblicate sotto falso nome per paura della reazione della tribù. «Quando mio padre lo scoprì, si infuriò», ha raccontato. Si placò quando un uomo, commosso dalle poesie, chiese Hissa in moglie. Hanno avuto quattro figlie, una delle quali autistica. Il premio in palio di 5 milioni di dirham (un milione di euro) le farebbe comodo. «Vorrei viziarle, comprare una casa, pagare per la loro istruzione». Ma non è solo una questione personale. «La gente nelle strade è contenta che io abbia parlato così apertamente». In Arabia Saudita, in particolare, tante donne l’hanno incoraggiata su internet. «Voglio far capire che una donna, anche se non viene da una famiglia importante, può farcela». Dice queste cose attraverso la poesia Nabati, un genere beduino recitato nel dialetto nel Golfo, come richiesto dal concorso. Una struttura tradizionale che già nelle passate edizioni ha permesso di veicolare contenuti controversi. «Ma non è una contraddizione presentarsi in burqa?», le hanno chiesto i giornalisti stranieri. Lei ha replicato che vuole proteggere gli uomini che ama. «Viviamo in una società tribale. Se non mi coprissi, mio marito e mio fratello verrebbero criticati dagli altri uomini».
giovedì 1 aprile 2010
Contro il belgio
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1 commenti:
io ho firmato la petizione No al burqa in Italia
Maria Luisa
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