Roma - La scena è vuota, ma è tutta per loro. Tra le statue di cartone, i cavalli e i guerrieri di Cinecittà, si muovono le comparse. Sono alcune decine di sconosciuti candidati del Partito democratico che oggi hanno attraversato l’Italia per arrivare a Roma e non trovare nessuno. È il loro giorno da protagonisti. Le stelle qui non ci sono. Dal capannone dell’assemblea, lo studio 5, finalmente esce un viso noto: il conduttore del Tg1 Davide Sassoli. Lui nell’ombra non c’è stato mai. Oggi è il suo debutto. Ha scelto il palco delle comparse, forse non se l’aspettava ma non può dirlo. Quando arriva all’aperto assorbe con un sospiro tutta l’aria di Cinecittà: «Siamo pochi? Ma no, dai, guarda, in tutti i luoghi in cui si prendono decisioni si è in pochi. Questo è un Conclave». Non di eletti, ma di ombre. Qualcuno dice che pesi oggi l’arrabbiatura di Goffredo Bettini che ha perso il posto ora dato a Sassoli. Comunque, eccetto Dario Franceschini, e per un attimo, dicono, Piero Fassino, quasi nessuno dei dirigenti è arrivato a infondere un po’ di coraggio a questi candidati comprimari nati, che dal partito non hanno avuto mai nemmeno le bandiere. Anche Franceschini, in fondo, è abbandonato come le sue comparse. «Ci portiamo via un po’ di stemmi, per nostro zio», confidano Carmelo e Paolo, arrivati in autobus da Licata con il candidato Giovanni Picone: «Ci aspettavamo più gente, ma l’avevamo capito in pullman: 52 posti riservati ed eravamo soltanto in dieci». In tre sono arrivati dal consiglio comunale di Alcamo, provincia di Trapani: «Forse gli altri sono impegnati con la campagna elettorale, o forse è sempre lo stesso problema: questo partito non sa comunicare», prova a spiegare Pietro Daidone. Sanno scherzare: «Almeno i parenti non ci devono lasciare!». Sono loro oggi il futuro del partito. Il capannone che ospita l’assemblea dei candidati sindaci è come un cinema a spettacolo finito. Gli spalti sono desolati, le sedie ricoperte dal simbolo del Pd, ma forse sarebbe stato meglio lasciarle di plastica: così si nota di più l’assenza. Mancano tutti gli aspiranti sindaci e presidenti di Provincia delle principali città. Franceschini, in maglioncino azzurro, ascolta le sue comparse con l’attenzione che si riserverebbe a un soldato che sta andando a morte sicura. Eppure c’è un orgoglio di sconosciuti in questi candidati che per la prima volta vengono incoronati da una piccola assemblea, quantomeno per la loro incoscienza. Sono martiri ma idealisti: «Mi definisco candidato sindaco della città perduta, Imperia - dichiara l’aspirante primo cittadino Paolo Verda -. La chiamo la mia mission impossible. Ho bisogno che il Pd ci sia e sia con me. Il mio obbiettivo non è quello di non perdere, ma di non perdere clamorosamente». In assenza di stelle, oggi diventa un punto di riferimento politico la presidente della Provincia dell’Aquila Stefania Pezzopane: ha un terremoto da raccontare e tante polemiche da riversare. Anche Franceschini, più tardi, su questo punto attacca con vigore: «Berlusconi la smetta di giocare a scaricabarile, tentando di coinvolgere l’attuale gestione degli enti locali». All’assemblea delle ombre sembra un leader il candidato sindaco di Trino Vercellese, Alessandro Portinaro: «Regalo a Franceschini una lampadina - esclama - simbolo delle nuove energie rinnovabili! Ma simbolo anche della battaglia di Davide contro Golia. Il centrodestra è fortissimo, ma sappiamo com’è andata a finire tra Davide e Golia». Una lampadina e una fionda: così si parte per la battaglia perduta, il «salto nel voto» come lo definiva ieri l’Unità in prima pagina (nella foto a fianco). Cosa potrebbe essere la fionda? «La sincerità», risponde Sassoli determinato. Basterà? «A Roma il Pd è fortissimo, è al 41 per cento...». Qualcuno lo guarda con tenerezza: «La fionda, la fionda, sono sincero, è un problema - ammette l’aspirante sindaco imperiese Verda -. Dobbiamo tornare ai nostri valori. Abbiamo inseguito troppo il Cavaliere». Dialoghi catturati: «Ma io non capisco, qui c’è gente in gamba, che ha tante cose da dire, ma perché nel partito c’è questo marasma?». Un altro: «Cerchiamo di anticipare il volo, torniamocene». Si aspettavano un’assemblea lunga un giorno, alle due invece è già tutto finito. Cinecittà chiude. «Hanno fatto tanti errori sulle candidature - dice un aspirante sconosciuto che vuole rimanere anonimo - anche nelle primarie proponevano candidati per rispettare equilibri di partito, ma poi la gente li ha bocciati». Una porchetta intera rimane intatta sul tavolo del buffet.
domenica 19 aprile 2009
Io e te da soli...
Il Pd convoca i candidati, non ci sono e Dario Franceschini parla da solo di Emanuela Fontana
Roma - La scena è vuota, ma è tutta per loro. Tra le statue di cartone, i cavalli e i guerrieri di Cinecittà, si muovono le comparse. Sono alcune decine di sconosciuti candidati del Partito democratico che oggi hanno attraversato l’Italia per arrivare a Roma e non trovare nessuno. È il loro giorno da protagonisti. Le stelle qui non ci sono. Dal capannone dell’assemblea, lo studio 5, finalmente esce un viso noto: il conduttore del Tg1 Davide Sassoli. Lui nell’ombra non c’è stato mai. Oggi è il suo debutto. Ha scelto il palco delle comparse, forse non se l’aspettava ma non può dirlo. Quando arriva all’aperto assorbe con un sospiro tutta l’aria di Cinecittà: «Siamo pochi? Ma no, dai, guarda, in tutti i luoghi in cui si prendono decisioni si è in pochi. Questo è un Conclave». Non di eletti, ma di ombre. Qualcuno dice che pesi oggi l’arrabbiatura di Goffredo Bettini che ha perso il posto ora dato a Sassoli. Comunque, eccetto Dario Franceschini, e per un attimo, dicono, Piero Fassino, quasi nessuno dei dirigenti è arrivato a infondere un po’ di coraggio a questi candidati comprimari nati, che dal partito non hanno avuto mai nemmeno le bandiere. Anche Franceschini, in fondo, è abbandonato come le sue comparse. «Ci portiamo via un po’ di stemmi, per nostro zio», confidano Carmelo e Paolo, arrivati in autobus da Licata con il candidato Giovanni Picone: «Ci aspettavamo più gente, ma l’avevamo capito in pullman: 52 posti riservati ed eravamo soltanto in dieci». In tre sono arrivati dal consiglio comunale di Alcamo, provincia di Trapani: «Forse gli altri sono impegnati con la campagna elettorale, o forse è sempre lo stesso problema: questo partito non sa comunicare», prova a spiegare Pietro Daidone. Sanno scherzare: «Almeno i parenti non ci devono lasciare!». Sono loro oggi il futuro del partito. Il capannone che ospita l’assemblea dei candidati sindaci è come un cinema a spettacolo finito. Gli spalti sono desolati, le sedie ricoperte dal simbolo del Pd, ma forse sarebbe stato meglio lasciarle di plastica: così si nota di più l’assenza. Mancano tutti gli aspiranti sindaci e presidenti di Provincia delle principali città. Franceschini, in maglioncino azzurro, ascolta le sue comparse con l’attenzione che si riserverebbe a un soldato che sta andando a morte sicura. Eppure c’è un orgoglio di sconosciuti in questi candidati che per la prima volta vengono incoronati da una piccola assemblea, quantomeno per la loro incoscienza. Sono martiri ma idealisti: «Mi definisco candidato sindaco della città perduta, Imperia - dichiara l’aspirante primo cittadino Paolo Verda -. La chiamo la mia mission impossible. Ho bisogno che il Pd ci sia e sia con me. Il mio obbiettivo non è quello di non perdere, ma di non perdere clamorosamente». In assenza di stelle, oggi diventa un punto di riferimento politico la presidente della Provincia dell’Aquila Stefania Pezzopane: ha un terremoto da raccontare e tante polemiche da riversare. Anche Franceschini, più tardi, su questo punto attacca con vigore: «Berlusconi la smetta di giocare a scaricabarile, tentando di coinvolgere l’attuale gestione degli enti locali». All’assemblea delle ombre sembra un leader il candidato sindaco di Trino Vercellese, Alessandro Portinaro: «Regalo a Franceschini una lampadina - esclama - simbolo delle nuove energie rinnovabili! Ma simbolo anche della battaglia di Davide contro Golia. Il centrodestra è fortissimo, ma sappiamo com’è andata a finire tra Davide e Golia». Una lampadina e una fionda: così si parte per la battaglia perduta, il «salto nel voto» come lo definiva ieri l’Unità in prima pagina (nella foto a fianco). Cosa potrebbe essere la fionda? «La sincerità», risponde Sassoli determinato. Basterà? «A Roma il Pd è fortissimo, è al 41 per cento...». Qualcuno lo guarda con tenerezza: «La fionda, la fionda, sono sincero, è un problema - ammette l’aspirante sindaco imperiese Verda -. Dobbiamo tornare ai nostri valori. Abbiamo inseguito troppo il Cavaliere». Dialoghi catturati: «Ma io non capisco, qui c’è gente in gamba, che ha tante cose da dire, ma perché nel partito c’è questo marasma?». Un altro: «Cerchiamo di anticipare il volo, torniamocene». Si aspettavano un’assemblea lunga un giorno, alle due invece è già tutto finito. Cinecittà chiude. «Hanno fatto tanti errori sulle candidature - dice un aspirante sconosciuto che vuole rimanere anonimo - anche nelle primarie proponevano candidati per rispettare equilibri di partito, ma poi la gente li ha bocciati». Una porchetta intera rimane intatta sul tavolo del buffet.
Roma - La scena è vuota, ma è tutta per loro. Tra le statue di cartone, i cavalli e i guerrieri di Cinecittà, si muovono le comparse. Sono alcune decine di sconosciuti candidati del Partito democratico che oggi hanno attraversato l’Italia per arrivare a Roma e non trovare nessuno. È il loro giorno da protagonisti. Le stelle qui non ci sono. Dal capannone dell’assemblea, lo studio 5, finalmente esce un viso noto: il conduttore del Tg1 Davide Sassoli. Lui nell’ombra non c’è stato mai. Oggi è il suo debutto. Ha scelto il palco delle comparse, forse non se l’aspettava ma non può dirlo. Quando arriva all’aperto assorbe con un sospiro tutta l’aria di Cinecittà: «Siamo pochi? Ma no, dai, guarda, in tutti i luoghi in cui si prendono decisioni si è in pochi. Questo è un Conclave». Non di eletti, ma di ombre. Qualcuno dice che pesi oggi l’arrabbiatura di Goffredo Bettini che ha perso il posto ora dato a Sassoli. Comunque, eccetto Dario Franceschini, e per un attimo, dicono, Piero Fassino, quasi nessuno dei dirigenti è arrivato a infondere un po’ di coraggio a questi candidati comprimari nati, che dal partito non hanno avuto mai nemmeno le bandiere. Anche Franceschini, in fondo, è abbandonato come le sue comparse. «Ci portiamo via un po’ di stemmi, per nostro zio», confidano Carmelo e Paolo, arrivati in autobus da Licata con il candidato Giovanni Picone: «Ci aspettavamo più gente, ma l’avevamo capito in pullman: 52 posti riservati ed eravamo soltanto in dieci». In tre sono arrivati dal consiglio comunale di Alcamo, provincia di Trapani: «Forse gli altri sono impegnati con la campagna elettorale, o forse è sempre lo stesso problema: questo partito non sa comunicare», prova a spiegare Pietro Daidone. Sanno scherzare: «Almeno i parenti non ci devono lasciare!». Sono loro oggi il futuro del partito. Il capannone che ospita l’assemblea dei candidati sindaci è come un cinema a spettacolo finito. Gli spalti sono desolati, le sedie ricoperte dal simbolo del Pd, ma forse sarebbe stato meglio lasciarle di plastica: così si nota di più l’assenza. Mancano tutti gli aspiranti sindaci e presidenti di Provincia delle principali città. Franceschini, in maglioncino azzurro, ascolta le sue comparse con l’attenzione che si riserverebbe a un soldato che sta andando a morte sicura. Eppure c’è un orgoglio di sconosciuti in questi candidati che per la prima volta vengono incoronati da una piccola assemblea, quantomeno per la loro incoscienza. Sono martiri ma idealisti: «Mi definisco candidato sindaco della città perduta, Imperia - dichiara l’aspirante primo cittadino Paolo Verda -. La chiamo la mia mission impossible. Ho bisogno che il Pd ci sia e sia con me. Il mio obbiettivo non è quello di non perdere, ma di non perdere clamorosamente». In assenza di stelle, oggi diventa un punto di riferimento politico la presidente della Provincia dell’Aquila Stefania Pezzopane: ha un terremoto da raccontare e tante polemiche da riversare. Anche Franceschini, più tardi, su questo punto attacca con vigore: «Berlusconi la smetta di giocare a scaricabarile, tentando di coinvolgere l’attuale gestione degli enti locali». All’assemblea delle ombre sembra un leader il candidato sindaco di Trino Vercellese, Alessandro Portinaro: «Regalo a Franceschini una lampadina - esclama - simbolo delle nuove energie rinnovabili! Ma simbolo anche della battaglia di Davide contro Golia. Il centrodestra è fortissimo, ma sappiamo com’è andata a finire tra Davide e Golia». Una lampadina e una fionda: così si parte per la battaglia perduta, il «salto nel voto» come lo definiva ieri l’Unità in prima pagina (nella foto a fianco). Cosa potrebbe essere la fionda? «La sincerità», risponde Sassoli determinato. Basterà? «A Roma il Pd è fortissimo, è al 41 per cento...». Qualcuno lo guarda con tenerezza: «La fionda, la fionda, sono sincero, è un problema - ammette l’aspirante sindaco imperiese Verda -. Dobbiamo tornare ai nostri valori. Abbiamo inseguito troppo il Cavaliere». Dialoghi catturati: «Ma io non capisco, qui c’è gente in gamba, che ha tante cose da dire, ma perché nel partito c’è questo marasma?». Un altro: «Cerchiamo di anticipare il volo, torniamocene». Si aspettavano un’assemblea lunga un giorno, alle due invece è già tutto finito. Cinecittà chiude. «Hanno fatto tanti errori sulle candidature - dice un aspirante sconosciuto che vuole rimanere anonimo - anche nelle primarie proponevano candidati per rispettare equilibri di partito, ma poi la gente li ha bocciati». Una porchetta intera rimane intatta sul tavolo del buffet.
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