sabato 11 aprile 2009

Cofferati

Cofferati: è vero, sono uno del passato. «Se il partito me lo chiede dico sì, anche a costo di incrinare la mia credibilità»

MILANO — «Mi scusi, ma il bambino non si è ancora ad­dormentato».
I primi due ten­tativi di parlare con Sergio Cof­ferati falliscono così. Al terzo, il più discusso tra i capilista del Pd alle europee ha compiu­to la missione. E ammette: «So­no un uomo del passato».

Il ri­ferimento è all'analisi di Paolo Franchi sul Corriere di ieri, con l'invito al sindaco uscente di Bologna a non candidarsi. Ma le critiche alla sua corsa eu­ropea nascono proprio dal Pd. Cofferati, se lo aspettava un simile fuoco di sbarra­mento? «Ovviamente sì. Quel che non mi aspettavo, devo dire, sono state certe volgarità. Mi attendevo giudizi di merito. Ma quando tutto viene ricon­dotto alla sfera personale... Vo­glio sia chiaro: per me questa candidatura è un sacrificio».

Aveva detto: «Se mi candi­dassi, datemi pure del cialtro­ne». «Quando ho detto che non mi sarei ricandidato, l'ho fatto per le ragioni note: a giugno verrò ad abitare a Genova defi­nitivamente. Avevo immagina­to di poter servire: o da consi­gliere regionale per dare una mano a Claudio Burlando. Op­pure, al Carlo Felice per dare una mano a Marta Vincenzi. Il segretario regionale mi aveva chiesto se ero disponibile per l'Europa, e avevo risposto no».

Poi che cosa è successo? «Quel che sanno tutti: le di­missioni di Veltroni e il preci­pitare della crisi del mio parti­to. Con quelle dimissioni, era­vamo sul serio arrivati sull'or­lo del baratro. Magari non l'hanno capito proprio tutti... A quel punto, Franceschini mi ha chiesto con insistenza e af­fetto la disponibilità per l’Eu­ropa. E qui è scattato il mio es­sere antico».

In che senso? «Io ho un’idea della politica che appartiene al passato. Se il partito in un momento di diffi­coltà mi chiede di dare una ma­no, non posso e non voglio sot­trarmi. Anche a costo di un'ap­parente incrinatura della mia credibilità. Se rispondessi di no, annegherei alla radice l'idea antica di partito di mili­tanti».

Oggi Cofferati chi rappre­senta? «Ha visto quelli che erano in piazza alla manifestazione della scorsa settimana? Milio­ni di persone che hanno biso­gno di avere voce. Che io sia parlamentare europeo, consi­gliere regionale oppure il capo dei pensionati di Sampierdare­na, nel mio partito voglio tor­nare ad occuparmi di chi lavo­ra».

E la famiglia? Tra Genova e Bruxelles ci sono 1.037 chilo­metri. «Fin dall’inizio non mi è sfuggito che la richiesta di Da­rio metteva in sofferenza una delle ragioni che avevo indica­to per la non ricandidatura. Anche se c’è una differenza ra­dicale tra fare il sindaco e il parlamentare europeo: l'impe­gno di tempo è molto più limi­tato, non incompatibile con la vita famigliare».

Franchi ricorda la grande manifestazione Cgil del 1992, e le sue scelte successive. Non teme che la sua mancata «discesa in campo» di allora possa pesare sulla candidatu­ra di oggi? «Io allora non avevo legitti­mazione. Per 'scendere in cam­po' ci vuole il voto dei cittadini, non semplicemente il riconosci­mento di un ruolo per quanto importante. Mai ho preteso di svolgere funzioni senza esserne legittimato. Poi, da uomo del passato, quando mi è stato chie­sto di dare una mano a Bologna, quello ho fatto. Posso aver delu­so qualcuno, ma l’unica strada è una trasparente legittimazio­ne ».

C’è chi ha addirittura letto le critiche a Flavio Delbono, il suo possibile successore a Bo­logna, come pressioni per arri­vare alla candidatura. «Non ho attaccato Delbono. Quando mi è sembrato ci fosse­ro dei ritardi, l'ho detto. Quanto al sostegno della lista civica, ba­sta leggere sul loro sito: sono una formazione contraria al Pd. Ma la mia stima nei confronti di Delbono è immutata».

Suvvia, Cofferati. Non pote­va ignorare come certe osserva­zioni sarebbero state lette.«È vero. Mi pareva necessario uno stimolo». La collocazione del Pd a Bru­xelles continua ad essere pro­blematica.«Le culture riformiste in Euro­pa non sono riconducibili a una sola famiglia politica. E la loro riunificazione, in Italia è più ac­centuata che in Europa. Credo che anche gli altri partiti euro­pei debbano prenderne atto: il ri­formismo ha componenti più ar­ticolate di quella prevalente del Pse».

Concludiamo. Che spiegazio­ni si è dato degli attacchi di al­cuni suoi influenti compagni di partito? «Credo che serpeggi il timore che io torni ad occuparmi di tut­to quello che abbiamo detto. Un timore assolutamente fondato: me ne occuperò. Da Bruxelles o da Sampierdarena».

Marco Cremonesi

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