giovedì 7 maggio 2009

Francesco Rutelli

Rutelli: «Il Pd non è la sinistra. Dopo Trento, guardiamo al centro». L'ex ministro: «Con l’antiberlusconismo non vinceremo. Aprire all’Udc. Enrico Letta? Sia più risoluto»

ROMA — Dario Franceschini, segretario del Partito Democratico, ha detto al «Cor­riere»: il modello di Berlusconi sono le re­pubbliche ex sovietiche, Turkmenistan, Uz­bekistan. Se stiamo sull’ironia, forse è più efficace la definizione di Giovanni Sartori: il sultana­to. Ma non è questo che serve. Quindi, Franceschini non dovrebbe insi­stere con l’antiberlusconismo... «Le grida d’allarme dove ci portano? Im­portante è presentare al Paese la nostra poli­tica, che convinca i ceti produttivi: piccole imprese, artigiani, cooperative, lavoratori. E importante è fare tesoro del successo del Pd a Trento, con una alleanza che guarda al cen­tro ».

Francesco Rutelli da tempo parla poco di politica. Ha scelto di comparire soprattutto come presidente del Comitato parlamentare per la sicurezza. Ora, però, manca un mese alle elezioni Europee e amministrative, 5 me­si al congresso del Pd.

Al Comune di Trento il Pd ha vinto, qua­si con il 30 per cento. «A Trento il Pd era alleato con Udc, sociali­sti, verdi e l’Unione per il Trentino di Loren­zo Dellai, pioniere della Margherita. Trento conferma che quando c’è un’interpretazione sobria e operosa del cattolicesimo politico gli elettori rispondono con fiducia. Non rie­sco ad accettare che il Pd sia sempre definito 'la sinistra'».

Il Pd non è di sinistra? «Il Pd doveva essere la conclusione di un’intuizione storica, e di un processo: l’in­contro delle tradizioni riformiste italiane per creare un soggetto nuovo. Il patrimonio ideale della sinistra, dei riformisti cattolici, liberali, ecologisti e una coraggiosa innova­zione di contenuti. Invece, dicendo 'la sini­stra' alcuni pensano di ridipingere la casa la­sciata del Pci, e a moltissimi si impedisce di entrare».

Più che altri, è Berlusconi che parla sem­pre di «sinistra». «Se accettiamo questo perimetro, gli sarà sufficiente per vincere: la sinistra arriva a un quarto dei voti in Italia».


C’era anche Di Pietro nell’alleanza trenti­na. «Io credo che parlare in astratto di allean­ze sia la cosa più stupida in questo momen­to. Il Pd deve definire la sua proposta per il governo e poi allearsi con chi la condivide».

Anche con Di Pietro? «Nessuno va escluso a priori. E’ chiaro che la competizione si svolge al centro e che l’Udc è un interlocutore molto adatto. Anche se a Trento ha preso il 2,7 per cento e non credo avrà beneficio da allegre candidature come quella di Emanuele Filiberto...».

Scriveva ieri «Europa», quotidiano a lei vicino, che il Pd si è asserragliato fra pen­sionati e impiegati, ha perso i ceti produtti­vi e non prova neanche a riconquistarli. «Sono d’accordo, ma non è sempre stato così. Nei momenti migliori li abbiamo con­quistati. A Roma io presi un milione di voti, e Veltroni anche. Nel quinquennio di opposi­zione 2001-2006 abbiamo vinto sempre, qua­si ovunque».

Cosa è accaduto, poi? «C’è stata la crisi della coalizione Prodi e la destra ha guadagnato voti sulle paure. Ora ha costruito consenso sulla leadership forte di Berlusconi. Ma non gli durerà, perché è sull’uscita dalla crisi economica che avverrà il confronto».

Come si recupera la parte più produttiva dell’Italia? «Davvero: non con l’antiberlusconismo. Al contrario, con una strategia economica e sociale, visto che Berlusconi di questo non si occupa. E’ possibile che più arretra il mo­dello iperliberista e meno - da parte dei ceti popolari - ci si rivolge ai progressisti? Que­sta è la crisi del Pd. Dobbiamo puntare sugli ambienti più competitivi, sull’efficienza del settore pubblico, sulle piccole e medie im­prese abbandonate. E recuperando credibili­tà sui temi della sicurezza».

E la vita privata del premier? «La vita privata di Berlusconi non va toc­cata. Allo stesso tempo, c’è bisogno di un’im­prenditoria e di un’editoria liberale che non abbiano paura del padrone del vapore».

È giunta l’ora di regolare il conflitto di interessi? «E’ stato il fiasco della legislatura ’96-2001. Ma oggi, più che alle leggi, dobbia­mo affidarci all’intelligenza e al buon senso democratico».

Lei è sempre stato contrario al referen­dum sulla legge elettorale... «La vittoria del Sì produrrebbe il 'Porcel­lissimum'. Peggio del 'Porcellum': liste di nomina padronale, e maggioranza assoluta a un singolo partito. Franceschini aveva giu­stamente detto che dopo il pronunciamento del Pd non ne avrebbe più parlato e invece vedo che insiste ogni giorno per il Sì, al bu­io. La Destra ha già detto che vota Sì e che poi il risultato del voto non si tocca. Bel ca­polavoro di furbizia, da parte nostra. Faccio invece una proposta chiara: verifichi subito il segretario se c’è una maggioranza per una nuova legge elettorale».

Con la Lega, l’Udc, con chi ci sta? «Una maggioranza per una legge: sistema tedesco, doppio turno francese, 'Mattarel­lum'. E solo in quel caso votiamo Sì».

Congresso di ottobre, Franceschini o Bersani? «Del congresso parleremo a fine giugno».

Le sue posizioni non sono lontane da quelle di Enrico Letta... «Su molti aspetti, sì. Anche se Enrico do­vrebbe essere più risoluto: ad esempio sul­l’originalità del Pd in Europa. Abbiamo crea­to un partito nuovo per apparentarci con i socialisti europei, in grave crisi? E il nostro 'treno per l’Europa'? A Parigi non ha neppu­re invitato Bayrou, tornato al 20% dei con­sensi ».

Se il risultato delle elezioni dovesse esse­re molto deludente ci potrà essere una scissione dal Pd? «Diamo il nostro contributo perché il vo­to non sia deludente. Con proposte per il la­voro, l’ambiente, le piccole imprese».

Andrea Garibaldi

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