Di fatto è una sentenza di sfratto. Dopo decenni di schermaglie, qualche auto incendiata e tre anni di battaglie legali, ieri l'Alta Corte danese ha dato ragione al governo di centro-destra e torto all'ultima roccaforte hippie. Sfratto all'Utopia, o se preferite alla pacifica illegalità di un altrove chiamato Christiania. «E' la prova che nessuno è al di sopra della legge», cantano vittoria i Liberali. «Faremo appello alla Corte Suprema», assicura il portavoce dei «christianiti» Thomas Ertman. Niente sgomberi, per ora. Ma il verdetto è chiaro: Christiania, il posto più tranquillamente eversivo d'Europa con la sua Pusher Street e i tricicli dal carrello anteriore porta-bambino (uno se l'è comprato pure Angelina Jolie), con la sua vita a misura d'uomo (auto proibite) e (adesso più discretamente) pure di spinello, così com'è non può andare avanti. Quei 34 ettari pittoreschi, abitati da onestissimi fuorilegge e visitati da un milione di turisti all'anno, non appartiene a chi quarant'anni fa con un'occupazione abusiva li «recuperò» dall'abbandono e ora gelosamente li abita, a sbafo e in esclusiva. Christiania è terreno dello Stato, hanno stabilito i giudici, quindi in teoria di tutti, e proprio per questo destinata a sciogliersi, a perdere la propria unicità, a dare cittadinanza e negozi e diritto di proprietà a gente da fuori, per esempio a chi potrà permettersi i nuovi appartamenti già progettati a prezzi di mercato. Per ora i 900 sopravvissuti (150 bambini) della comune più famosa (e integrata) del mondo restano lì, nel loro bucolico centralissimo altrove, nelle case colorate e graffitate di cui godono l'usofrutto per la modica cifra di 200 euro al mese (di spese). Ma adesso la «città libera» (Fristaden) divisa in 19 circoli che adottano la legge dell'unanimità (la maggioranza non è abbastanza) è meno «libera» di prima. E il suo futuro sembra segnato. Ieri mattina fuori dal tribunale la sentenza è stata accolta con qualche mugugno ma senza incidenti dal popolo dei «christianiti» che aspettavano con le loro bandiere rosse e gialle e il loro simbolo, la lumaca. Sono gente pacifica, famiglie con bambini (un paio di primavere fa la battaglia notturna con la polizia fu causata da gruppi di autonomi). La possibilità di rivolgersi alla Corte Suprema è stata discussa in serata nell'assemblea alla Grâ Hal, l'hangar grigio che nei giorni migliori ospita feste e concerti (nella Christiania dei tempi d'oro sono passati Bob Dylan e i Rolling Stones). Dal pop ai tribunali: Knud Foldschak, l'avvocato che ha difeso la comunità in tribunale, sostiene che il verdetto — riconoscendo la realtà di Christiania negli ultimi 40 anni — costituisce «una vittoria morale» e «una buona base» per continuare la battaglia alla Corte Suprema. Tollerati e poi osteggiati dalla politica. Nel 1989 il governo socialdemocratico riconosce a Christiania lo status di «esperimento sociale», spostando il controllo sull'area dalle autorità cittadine allo Stato. Nell'87 un memo del ministero della Giustizia aveva avallato la tesi secondo cui lo Stato poteva recuperarne il controllo solo previo accordo con i residenti. Ma nel 2004 il centro-destra al potere, guidato dal «bel» Anders Fogh Rasmussen, chiede la «normalizzazione» della città hippie. L'autonomia di Christiania, il paradiso fiscale più comunista d'Europa, subisce i primi colpi. Sulla centrale «via degli spacciatori» spariscono i banchetti per la vendita di hashish e marijuana (che secondo la polizia alimentava un mercato di 134 milioni di euro). Gli abitanti sono costretti a pagare le tasse, ma rifiutano di aprire la loro «riserva indiana» all'intervento esterno. Il Parlamento vota la fine dell'«esperimento sociale». Nel 2006 i «christianiti» si appellano ai giudici. Ieri hanno perso. Il governo li invita a lasciar perdere la Corte Suprema: sedetevi al tavolo e discutiamo. Quest'anno Copenhagen ospita la grande conferenza dell'Onu sul clima, la Kyoto 2. Almeno fino ad allora, lo sfratto è rinviato. Chissà se tra i 20 veterani di «Fristaden Christiania» qualcuno sta rispolverando il vecchio inno della comune datato 1976, una canzone del gruppo rock Bifrost: I kan ikke slå os ihjel, voi non potete ucciderci.
Michele Farina
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