La crisi globale non causa soltanto fame e malattie, serve ad alimentare "un barile di miscela esplosiva composta di disuguaglianza, ingiustizia e insicurezza". E "la miscela sta per esplodere". È quanto denuncia il rapporto annuale di Amnesty International, che accusa i governi mondiali di aver messo mano al portafoglio con tempismo per salvare le banche e per finanziare pacchetti di stimolo alle economie, ma di non aver fatto altrettanto per tutelare le fasce più deboli dagli effetti drammatici della recessione. Ancora una volta l'organizzazione per la salvaguardia dei diritti umani, Nobel per la pace nel 1977, punta il dito contro i Paesi che compongo il G20, quelli che hanno le economie più forti e dovrebbero per questo essere di esempio. Quei Paesi, dice Amnesty ancora una volta, non sono in grado di indicare la direzione e anzi, pensano più al profitto dei pochi che ai diritti dei molti. "Vediamo crescere i segnali di scontro e di violenza politica, che si aggiungono all'insicurezza globale già esistente a causa di quei conflitti morali che la comunità internazionale non sa o non vuole risolvere", sostiene la ong. "Negli ultimi due decenni, lo stato ha fatto un passo indietro rispetto ai propri obblighi in materia di diritti umani (se non li ha addirittura rinnegati) in favore del mercato - scrive nell'introduzione al Rapporto annuale 2009 Irene Khan, Segretaria generale di Amnesty International - nella convinzione che la crescita economica avrebbe imbarcato tutti a bordo". Per Irene Khan non è ancora possibile, nonostante i dati del 2008 contenuti nel rapporto siano allarmanti, stabilire quale sarà l'impatto complessivo della dissolutezza di questi ultimi anni, ma "è chiaro che il costo e le conseguenze della crisi economica gettano un'ombra minacciosa sui diritti umani". Meno risorse, meno lavoro, cibo e acqua potabile scatenano tumulti, proteste, violenze. Amnesty denuncia come in molti Paesi alle legittime richieste delle fasce più deboli le risposte siano state la repressione e le incarcerazioni arbitrarie. I governi hanno tagliato le risorse per le politiche sociali, accrescendo disuguaglianza e insicurezza e l'aumento della disoccupazione ha reso ancora più drammatica la situazione dei migranti, accolti da razzismo e xenofobia. "Dietro alla crisi economica si cela un'esplosiva crisi dei diritti umani - ha dichiarato Christine Weise, presidente della Sezione Italiana di Amnesty International - La recessione ha aggravato le violazioni dei diritti umani, distolto l'attenzione da esse e creato nuovi problemi. Prima, i diritti umani erano messi in secondo piano in nome della sicurezza, ora in nome della crisi economica". Il caso italiano. Per Amnesty International in Italia i diritti e l'incolumità di migranti e richiedenti asilo sono a rischio e i Rom sono oggetto di discriminazione e razzismo. Sebbene il rapporto annuale si riferisca ai dati del 2008, la scheda sul nostro Paese denuncia i respingimenti di migranti del mese scorso. "Venendo meno a una politica che le ha viste spendersi per la salvezza di vite umane nel Mediterraneo - accusa Amnesty - nel 2009 le istituzioni italiane hanno mancato ai principi fondamentali dei diritti umani mentre esercitavano le proprie funzioni in mare". Ancora una volta si punta il dito contro le condizioni delle persone rinchiuse a Lampedusa e si guarda con preoccupazione alle norme contenute nel pacchetto sicurezza che "lungi dal rappresentare una pianificazione chiara e comprensibile della politica sull'immigrazione, hanno un impatto pericoloso sui diritti umani". In particolare, Amnesty sottolinea come alcune norme, se approvate, possano "produrre un'allarmante conseguenza sui diritti umani dei migranti irregolari. Costretti dalla minaccia incombente di una denuncia da parte di ogni pubblico ufficiale o incaricato di pubblico servizio, essi sarebbero indotti a sottrarsi dall'incontro con ogni tipo di istituzione e ufficio pubblico, tenendosi alla larga da ospedali, scuole, uffici comunali, con immaginabili conseguenze sul diritto alla salute, all'istruzione per i figli, alla registrazione dei nuovi nati". Il rapporto annuale 2009 denuncia ancora una volta che a distanza di 20 anni dalla ratifica della Convenzione delle Nazioni Unite contro la tortura (Cat) in Italia non esiste uno specifico reato di tortura nel codice penale. Il nostro Paese non ha meccanismi di prevenzione della tortura e dei maltrattamenti e i pubblici ufficiali nell'esercizio delle proprie funzioni che si rendono colpevoli di tali reati vengono perseguiti attraverso figure di reato ordinarie (lesioni, abuso d'ufficio, falso) e puniti con pene non adeguatamente severe, o non puniti affatto per la prescrizione. Amnesty fa esplicito riferimento ai fatti di Genova e alle sentenze relative emesse nel luglio e nel settembre 2008, sottolineando che proprio la lacuna nel nostro codice penale farà sì che "è improbabile che i funzionari e gli agenti imputati sconteranno le condanne, a causa dell'intervento della prescrizione. In questi anni la ricerca della verità non è stata agevolata dalle istituzioni coinvolte, né nell'ambito dei processi, né attraverso l'istituzione di strumenti di monitoraggio, quali una commissione indipendente o di una commissione parlamentare d'inchiesta". Infine, come già fatto negli ultimi due anni, Amnesty richiama l'Italia e gli altri Paesi europei a fare luce sul caso delle rendition illegali, che non sono ancora state condannate pubblicamente. Il nuovo cammino americano e l'Europa. Amnesty riconosce agli Stati Uniti di Obama un'inversione di tendenza rispetto alla politica di Bush, ma si aspetta ancora molto. Se da un lato nel rapporto 2009 si plaude alla chiusura di Guantanamo e alla presa di posizione sulla tortura, da Obama ci si aspettano "franchezza e forza" nel chiedere "il rispetto dei diritti umani a paesi come Israele e Cina, così come sta facendo verso altri, quali Sudan e Iran". "L'impegno dell'Unione europea sui diritti umani resta ancora ambiguo - osserva Amnesty - Determinati su temi come la pena di morte, la libertà d'espressione e la protezione dei difensori dei diritti umani, gli Stati membri si mostrano meno intenzionati a rispettare gli obblighi internazionali in materia di tutela dei rifugiati e di eliminazione di razzismo e discriminazione al proprio interno, così come ad ammettere le proprie collusioni col programma Cia di consegne straordinarie di sospetti terroristi". Alcune cifre. Il Rapporto annuale 2009 (pubblicato in Italia da EGA Editore) fornisce una panoramica globale sulla situazione dei diritti umani nel mondo e contiene capitoli su oltre 150 paesi, oltre a documentare l'azione di Amnesty International nel 2008 per promuovere il rispetto dei diritti umani e contrastare le violazioni. Il dato sconcertante è che sulle cifre totali delle varie violazioni di diritti umani, un'ampia percentuale spetti ai Paesi del G20, quelli che, come si diceva in apertura, dovrebbero dare il buon esempio. Nel rapporto sono descritte limitazioni alla libertà di espressione in almeno 81 paesi e la messa a morte di almeno 2390 prigionieri in 25 paesi. Il 78 per cento delle esecuzioni ha avuto luogo nei paesi del G20, dove sono state riscontrate anche il 47 per cento delle esecuzioni extragiudiziali, od omicidi illegali, commessi in oltre 50 paesi. Torture e altre forme di maltrattamento sono state compiute, nel corso degli interrogatori, in circa 80 paesi, il 79% nei paesi del G20. Processi iniqui sono stati celebrati in circa 50 paesi, ancora una volta il 47% di essi nel gruppo dei G20. Altissima la percentuale di prigionieri sottoposti a periodi di detenzione prolungata, spesso senza accusa né processo, nei Paesi ricchi, il 74% su 90 totali. Persone che chiedevano asilo politico sono state respinte da almeno 27 paesi verso stati in cui sono andate incontro ad arresti, torture e morte; obiettori di coscienza sono finiti in carcere in almeno 50 paesi. Almeno 24 Paesi hanno eseguito sgomberi forzati e deportazioni. Questi i casi documentati, ma Amnesty mette in guardia che le cifre possono essere molto più alte. La campagna per la dignità. La presentazione del rapporto annuale serve anche per lanciare una nuova campagna di mobilitazione dell'opinione pubblica. Con lo slogan "Io pretendo dignità", Amnesty vuole infatti chiedere conto a livello nazionale e internazionale delle violazioni dei diritti umani che conducono alla povertà e la acuiscono. "Oggi noi pretendiamo dignità per i prigionieri della povertà, affinché possano cambiare la loro vita" è il progetto che Amnesty, nata quasi 50 anni fa per chiedere il rilascio dei prigionieri di coscienza. Per ottenere tale dignità la ong intende chiedere responsabilità a governi, imprese e istituzioni finanziarie internazionali; l'accesso ai diritti e ai servizi essenziali per la dignità umana senza discriminazione e la partecipazione attiva delle persone che vivono in povertà e dei loro rappresentanti alla lotta contro la povertà.
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