venerdì 22 maggio 2009

Documenti e scuole

E il preside non può chiedere i documenti agli stranieri di Maria Giovanna Maglie

Se c’è qualcosa, anzi se c’è un interesse peloso, del quale i ragazzi extracomunitari dell’istituto professionale di Padova, Leonardo da Vinci, e di qualunque altra scuola del Paese, non hanno bisogno, è quello degli insegnanti iscritti al sindacato dei Cobas, sempre pronto a rinfocolare polemiche, a trovare argomenti di scandalo, essendo spesso loro, quelli del Cobas, con i loro comportamenti e scioperi irresponsabili, il vero scandalo. La stessa considerazione vale per i vari Sos razzismo, Razzismo stop, e altre sigle di professionisti dell’antirazzismo, il cui scopo autentico e noto ai meno ingenui è quello di garantirsi sopravvivenza economica in libera attività di propaganda ideologica. Fosse per loro, le sigle e siglette delle quali siamo carichi, ormai non si potrebbe fare più niente, tantomeno garantire il rispetto della legge. Ci dovremmo far invadere, dovremmo far bombardare le fondamenta della nostra cultura, e morire cantando. Detto questo, la vicenda di Padova, fuor di pseudo scandalo, merita qualche notazione. Il fatto. Nella scuola professionale Leonardo Da Vinci di Padova, la preside, Anna Bottaro, ha inviato alle classi dell’ultimo anno una circolare rivolta a tutti gli studenti stranieri extracomunitari invitandoli a presentare entro il giorno seguente il permesso di soggiorno. «Prevediamo che la commissione per l’esame di Stato vi richieda il permesso di soggiorno, quindi vi invitiamo a consegnarlo entro domani», questa la frase incriminata, in calce alla circolare i nomi e i cognomi dei ragazzi stranieri che dovranno affrontare l’esame di maturità, e che sono stati letti in classe dagli insegnanti. È seguito, naturalmente anonimo, invio di copia della circolare della preside al sindacato Cobas scuola di Padova, che non ha, sempre naturalmente, ritenuto di affrontare il problema con gli organismi competenti, magari chiedendo maggiore discrezione, ma si è prodigato nella propaganda in veste di denuncia, in un incontro organizzato assieme all’associazione Razzismo Stop, per rivelare tutti i dettagli del caso che definiscono «un grave episodio di discriminazione e razzismo». Le ragioni? La preside avrebbe svolto funzioni di spia del pacchetto sicurezza varato del governo, che introduce in Italia il reato di clandestinità. Avrebbe violato il diritto alla privacy dei ragazzi, facendoli chiamare per nome e cognome. L’esempio potrebbe essere contagioso, visto che c’è almeno un altro caso simile noto, a Genova, dove una preside di tre istituti professionali è andata personalmente nelle varie aule, e ha scritto alla lavagna i nomi dei possibili studenti clandestini, invitandoli a presentare i documenti in segreteria. La preside del Leonardo Da Vinci, un istituto con alta frequenza di stranieri iscritti, risponde che sono tutte sciocchezze pretestuose: «Avrò fatto trecento circolari per gli stranieri dall’inizio dell’anno e non vedo niente di anomalo. I ragazzi hanno portato il permesso di soggiorno a scuola e adesso è inserito nei loro fascicoli». Non si può che darle ragione. Ha chiesto dei documenti necessari, e lo ha fatto nella forma un po’ brutale e pubblica che nelle scuole si segue sempre, sventolando nome e cognome. A scuola ci siamo andati tutti, sappiamo bene di non essere mai stati risparmiati, figuriamoci in nome della privacy, da pubblici rimbrotti, sospensioni, rampogne. Le scuole sono come le caserme, si risponde all’appello, e se ti tocca la punizione, di solito lo vengono a sapere tutti, come palesemente sei lodato, diventi il primo della classe, con dispiacere degli altri. Dovrebbe essere proprio questa la palestra di vita. Senza scordare che agli esami ci si presenta con un documento di identità. Tuttavia, nel clima tremendo che il nostro Paese attraversa, nella faticosa e appena intrapresa opera di difesa delle nostre regole, e delle regole di una immigrazione controllata, una volta dato agli antirazzisti di professione quel che si meritato, ovvero disprezzo, mi sento di suggerire cautela. Non in nome dell'orrendo politically correct, tantomeno di una privacy per tutte le stagioni, penso che ragazzi che si sentono a tutti gli effetti italiani, e che a noi preme che tali si sentano, abbiano diritto a qualche cautela. Il ministro Gelmini emani una disposizione, che i presidi seguiranno di buon grado, e faccia convocare i genitori per comunicazioni di questo tipo. Lasciamo che i ragazzi si sentano ragazzi.

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