BERLINO — No, non è il Bronx. «Perché la Germania non è l’America — dice Victoria Reichardt —. E Berlino non è New York». Neukölln — 300 mila abitanti, distretto meticcio nel cuore della capitale tedesca — in effetti non ha segni particolari. Ci sono gli alberi, tanti, le strade sono pulite, le case sembrano decenti, i ristoranti etnici accettabili. Non siamo in un ghetto. Siamo però nel regno dell’autoisolamento, delle comunità chiuse: turchi con turchi, tamil con tamil, arabi con arabi e via dicendo per 139 etnie. Integrazione mancata da Ventunesimo Secolo, muri, degrado, subculture e conflitti coperti dallo Stato sociale che dipinge i condomini. Sotto la crosta urbana, umanità alla deriva.A pochi metri dal Quartiersmanagement, l’Ufficio per l’integrazione sulla Schillerpromenade dove Victoria lavora, lo slang dei ragazzini, dieci-dodici anni, è inconfondibile: frasi incomplete, mozziconi, interrotte dal flusso continuo del ficken, versione locale del bronxiano fucking. Dalle case, spesso le ragazze non possono uscire da sole, i padri non hanno mai capito perché dovrebbero mandarle a scuola. Molte donne, coperte, camminano qualche passo dietro all’uomo. La criminalità è del 40% più alta che nel resto di Berlino. «Qui, alcuni vivono come nel Medioevo», ammette Heinz Buschkowsky, il sindaco di Neukölln, un socialdemocratico che, anche tra l’orrore del suo partito, ha deciso di usare gli strumenti «dolci» di integrazione ma anche la mano dura contro il peggio di quel che succede dietro le facciate per bene dei condomini.Per l’intero distretto, i numeri sono preoccupanti. Ma nella parte Nord di Neukölln diventano impressionanti. Su 160 mila abitanti, più della metà sono immigrati legali e un altro 10% illegali: il 40% turchi, il 12% arabi, l'11% polacchi, il 10% viene dagli Stati della ex Jugoslavia, l'8% dalla Russia e un buon numero sono anche i senza patria, per lo più palestinesi. Ogni quattro ragazzi, tre lasciano la scuola senza un certificato di frequenza o con quello minimo. Alle elementari, il 95% dei bambini non parla il tedesco come madre lingua, e molti non lo parlano proprio. Nell’analisi che ne hanno fatto il Consiglio d’Europa e l’Unione europea: «Violenza giovanile, alto tasso di criminalità, mancanza di competenze linguistiche per molti giovani, conseguenti cattivi risultati scolastici, scolarità incompleta, disoccupazione di lungo termine, comunità che si chiudono su se stesse con sempre minore comunicazione con la società tedesca, crimini d’onore, matrimoni forzati, isolamento femminile». Non è il Bronx, perché giocano peggio a basket. «Ci sono situazioni difficilissime — spiega Alix Rehlinger, responsabile dei progetti sociali di una zona di Neukölln —. I palestinesi che stanno qui, per esempio, non sono gli intellettuali di Parigi e di Londra. Sono persone che hanno passato gran parte della loro vita nei campi Onu in Libano: non hanno mai lavorato, non sono andati a scuola». «Povertà, ignoranza e fondamentalismo risultano in fenomeni insopportabili per la società», dice il sindaco Buschkowsy. Il problema numero uno, continua a ripetere, è l’educazione, la scuola: «Non è tanto il fatto che un cittadino educato non butta i rifiuti dal settimo piano; serve soprattutto a dare alle persone coscienza di se stesse, di quello che hanno raggiunto nella vita. Qualcosa che non può essere sostituito dal Welfare State, che serve solo a dare da mangiare e da bere». Educazione è parola che vola a Neukölln. Solo tra i tedeschi, però. Convincere i gruppi immigrati è un’altra cosa. La signora Rehlinger racconta un progetto tra i più creativi di quelli in corso: Stadtteilmutter, mamma di quartiere. «Organizziamo con le donne dei corsi di sei mesi. Insegniamo loro come approcciare le famiglie, come parlare con le altre madri per convincerle a insegnare ai bambini il tedesco prima che vadano a scuola, come spiegare l’importanza dell’educazione. Poi, si devono cercare da sole i 'clienti' e entrare nelle case. Noi assicuriamo un certo stipendio. Ai corsi hanno partecipato finora 154 donne e 107 di queste lavorano: hanno visitato 1.500 famiglie, in ciascuna delle quali sono andate dieci volte, un tema diverso ogni volta». Anche nel Quartiersmanagement di Schillerpromenade, Victoria Reichardt, Antje Schmücker e Garip Alkas raccontano i loro interventi sociali, finanziati dalla Ue, dallo Stato e dalla città di Berlino, e le collaborazioni tra le chiese cristiane e la moschea. Il problema, sa bene il sindaco Buschkowsky, è però la risposta delle comunità chiuse in se stesse. E la maniera in cui superare i muri. Un anno fa, quando è tornato da una visita di studio a Rotterdam, voleva tenere una conferenza per dire che nella città olandese la polizia va nelle case a prendere i bambini che non vengono mandati a scuola e ce li porta. Il suo partito non ha voluto: politicamente scorrettissimo. «Non mi piace usare la parola forza — dice oggi —. Ma quando si parla di scuola, esiste un obbligo e lo Stato deve intervenire. E in questo caso sì che uso la parola forza: con la forza deve intervenire». Qui, Germania moderna, lo Stato Sociale c’è ancora, le strade sono linde. Ma con il sotto-sotto- proletariato, come lo chiama il sindaco, il sussidio di disoccupazione non cambia nulla. Meglio un poliziotto che prende il bambino per mano e lo porta a scuola. Nemmeno fosse il Bronx.
Taino Danilo
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